La carne di Napoli

Ai quartieri spagnoli, nel ventre di Napoli, c’è un edificio dal nome volutamente particolare. Si chiama Foqus, con la q, ed è da qualche anno la “casa” voluta da Rachele Furfaro, un’ex assessore comunale dotata di pragmatismo e lungimiranza, per un progetto speciale. Perché speciale è l’obiettivo di fare incontrare le classi sociali della città. […]

Ai quartieri spagnoli, nel ventre di Napoli, c’è un edificio dal nome volutamente particolare. Si chiama Foqus, con la q, ed è da qualche anno la “casa” voluta da Rachele Furfaro, un’ex assessore comunale dotata di pragmatismo e lungimiranza, per un progetto speciale. Perché speciale è l’obiettivo di fare incontrare le classi sociali della città. In quello che un tempo era un convento di epoca cinquecentesca ci sono ora seimila metri quadrati di creatività, dove i ragazzi del disagio imparano a studiare, a fotografare, a lavorare la ceramica, a scoprire le regole per diventare buoni cittadini e aspiranti lavoratori.

All’altro capo della città, periferia est, zona di San Giovanni a Teduccio, storico quartiere industriale ancorché in crisi, decine di giovani laureati in ingegneria, matematica e non solo costruiscono il loro futuro di programmatori di app, esperti di gestione di software e di sistemi finanziari presso le Academy insediate dall’Università Federico II insieme ad Apple e Deloitte. In un caso e nell’altro il lavoro, inteso come possibilità di partecipare attivamente a un’attività o a un processo produttivo da cui ricavare un salario più o meno gratificante, non c’è. Lo si può ipotizzare, sognare, individuare nella nebbia che a 14 anni come a 23 avvolge molti giovani di queste parti. Ma se si vuole partire dal concreto per “capire” la nuova Napoli e il suo comunque complicatissimo rapporto con il lavoro, questa è forse la strada più credibile.

Perché la formazione, tra volontariato e alta qualità scientifica, sembra essere diventata sempre più il fil rouge che aiuta a immaginare, e forse anche a costruire, uno scenario meno banale di quello che immancabilmente si proietta su Napoli. Intendiamoci, l’emergenza della criminalità giovanile c’è e fa paura, come pure l’emorragia degli under 35 che, con o senza un titolo di studio finito, lasciano la città per trasferirsi al Nord o all’estero, memori forse del famosissimo e amaro fuitevenne (fuggitevene) di Eduardo De Filippo, pessimista sul futuro. Eppure si farebbe un torto alla realtà se si continuasse a parlare della terza area metropolitana d’Italia con schemi mentali, pregiudizi culturali e stereotipi del passato, consoni a chi forse vorrebbe che la storia fosse sempre la stessa per specularci su in ogni modo.

 

Napoli e la sua carne, dai giovani imprenditori al suo racconto

Per fortuna le cose cambiano anche qui. Magari più lentamente, ma cambiano. Concetta, 24 anni, è figlia di un tappezziere di Scampia. Non ha voluto o potuto studiare oltre la terza media, l’attività del padre non è mai stata florida. Poi lui è morto, lasciando nel panico e con i debiti la moglie e i cinque figli. Concetta non è la primogenita, ma è stata la più rapida a riaversi dallo choc. Ha chiesto dove e come si potesse imparare un mestiere pensando già a quello del padre, che in fondo le piaceva, anche se non aveva alcuna idea di come iniziare. L’hanno indirizzata – udite udite – a Garanzia Giovani, che per molti è uno dei flop più clamorosi tra i programmi dell’Unione europea e che invece stavolta è stata la chiave giusta per aprire un percorso tutt’altro che virtuale.

Concetta si era iscritta al portale come neet, una tra le centinaia di migliaia del Sud, e quando l’hanno contattata ha giocato le sue carte. Oggi, con la collaborazione della Regione Campania, ha messo su la sua ditta di tappezzeria, e dal momento che essere giovane vuol dire stare sui social e saperli utilizzare ha pensato che il modo migliore per stare sul mercato fosse quello di vendere i suoi prodotti online. Morale: sono arrivati i clienti e nel capannone dove si realizzano i manufatti ci sono già dieci operai.

Miracolo? Forse no, se si tiene conto che ce ne sono tanti di questo tipo (Napoli e la Campania sono al primo posto nella classifica nazionale per numero di casi di autoimprenditorialità creati da Garanza Giovani). E soprattutto se si abbandona l’idea di una città di piagnistei continui, di rivendicazioni obsolete, di rimpianti fini a loro stessi. La Napoli letta senza questi filtri è sempre la Napoli carnale” mirabilmente raccontata da fior di campioni della letteratura del passato come Matilde Serao, o del presente, come Maurizio De Giovanni. Una realtà fatta di emozioni spesso e volentieri esasperate o contraddittorie, impensabili a Bologna o a Milano, ma testimoni di una vitalità che non sono riuscite a limitare neanche le pericolose “stese” della camorra, i colpi di pistola o di kalashnikov esplosi ai danni di negozi o abitazioni di boss rivali, o il discusso realismo di una serie tv come Gomorra.

 

Ideali, contrasti e politica

In fondo la vera Napoli sta proprio nella capacità di attrarre gli opposti, pressoché in ogni campo. Chi volesse tentare un ragionamento per così dire unitario finirebbe per perdersi nei vichi e vicarielli di cui è costellata la storia dell’ex capitale del Regno. Non è un mistero che oggi convivano, sia pure su livelli differenti, i dibattiti e le iniziative promosse dai nostalgici della stagione borbonica e dai centri sociali; la tradizione della pizza, appena diventata patrimonio dell’umanità con l’Unesco; i ristoranti stellati che riescono a esaltare i prodotti agroalimentari del territorio, tutti ormai contraddistinti da marchi di qualità; una politica che rimpiange i Masaniello o i Lauro (quest’ultimo era il sindaco di destra degli anni Sessanta, eletto con un suffragio quasi universale di consensi) e un’altra che sogna di riprodurre il “Rinascimento” moderno della città dei tempi nemmeno troppo lontani di Antonio Bassolino.

Tutto e il contrario di tutto, compreso lo scontro istituzionale in atto da mesi tra l’attuale primo cittadino Luigi de Magistris, ex magistrato, e il governatore campano Vincenzo De Luca, al quale dopo tre anni di leadership alla Regione molti continuano a non perdonare la salernitanità delle origini. L’uno e l’altro sono divisi su tutto anche se non ce ne sarebbe bisogno: incapaci di dialogare sul riassetto e la bonifica di Bagnoli, la più grande area ex industriale (un tempo ci sorgeva l’Italsider) che Napoli non riesce a recuperare da trent’anni; lontani anni luce sulla gestione dei rifiuti, il sindaco favorevole alla raccolta differenziata, il governatore sponsor dei termovalorizzatori; conflittuali sulla gestione dei trasporti pubblici, sulle municipalizzate, sugli investimenti produttivi. Farà a dir poco scintille il duello annunciato per le prossime elezioni regionali, tra un anno e mezzo, avendo De Magistris fatto capire di voler puntare a quell’obiettivo, mentre De Luca ha raddoppiato i suoi già notevolissimi tempi di azione per prepararsi alla sfida del secondo mandato.

Ma Napoli è anche la città nella quale il Movimento 5 Stelle ha pensato di sfidare De Magistris, al suo secondo mandato dopo un successo inaspettato e con alle spalle un movimento quasi sconosciuto ma riconoscibile almeno dal colore (arancione), con un candidato di nome Brambilla; già, proprio come se si dovesse votare a Milano. Oggi i grillini hanno un leader come il presidente della Camera, Fico, napoletano doc, ma la discesa in campo del sindaco è un’incognita anche per loro considerato il consenso popolare ancora forte di De Magistris, capace perfino di scontrarsi con il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis senza temere contraccolpi significativi in termini di consenso.

 

Napoli, dalla carne allo spirito

Leggere Napoli nelle sue contraddizioni, più che capirla, vuol dire anche chiedersi come mai una classe di intellettuali di altissimo spessore, da Benedetto Croce a Giuseppe Galasso per citare solo due straordinari esempi, non sia di fatto mai riuscita a imporre una corrente di pensiero forte e soprattutto stabile ai suoi concittadini. Al Nord questo problema storicamente non è mai esistito, perché ogni corrente di pensiero nata da quelle parti ha trovato un’eco immediata anche sul piano nazionale. Qui no: i grandi pensatori sono stati scoperti e valorizzati sempre al di fuori della loro casa. Non è un caso che un filosofo come Gerardo Marotta, depositario di una biblioteca unica per quantità e qualità di volumi, abbia dovuto penare come un disperato per sapere a chi sarebbero finiti quei libri dopo la sua morte, non avendo le risorse per poter provvedere in proprio al loro futuro.

Napoli è questo e molto, moltissimo altro ancora, che le parole non riuscirebbero mai a raccontare compiutamente. Perché forse per coglierne l’essenza servirebbero più le immagini, la musica, i colori, l’olfatto. Lacarneche diventa spirito, direbbe qualcuno, e che continua a rendere irripetibile e inimitabile questo universo nel quale Concetta e il suo coetaneo ingegnere digitale non si sentono affatto antitetici. E nemmeno estranei, nella vita e nel lavoro.

 

(Foto di copertina: Sprea Fotografia)

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