La porta girevole

Le misure di politica economica sono modellate dalle entità sovraordinate quali i governi, le organizzazioni intergovernative, i grandi gruppi industriali con le loro potenti lobby. Questo è un approccio top-down che lascia ai margini i veri protagonisti: i nuovi imprenditori della società della conoscenza. I quali, per di più, sono stati relegati ai margini dalla […]

Le misure di politica economica sono modellate dalle entità sovraordinate quali i governi, le organizzazioni intergovernative, i grandi gruppi industriali con le loro potenti lobby. Questo è un approccio top-down che lascia ai margini i veri protagonisti: i nuovi imprenditori della società della conoscenza. I quali, per di più, sono stati relegati ai margini dalla strenua difesa degli interessi particolari delle associazioni di categorie saldamente radicate nella consolidata società industriale. Si deve anche considerare che una gran parte dei decisori politici (“policy maker” nel gergo anglofilo) hanno svolto la loro carriera come insider delle entità sovraordinate, e quindi lontani dalle esperienze sul campo degli imprenditori.

Ci sono paesi come l’Italia in cui i policy maker provengono dalle fila dei parlamentari i quali appartengono per circa il 50% a un ordine professionale e tra loro alcuni sono presidenti o esponenti di spicco degli ordini stessi.
Le lobby negoziano gli interventi con le istituzioni pubbliche. Ciò che, per un verso, allunga il processo decisionale e quindi tarpa le ali alla rapidità degli interventi ritardandone gli effetti, e, per un altro verso, piega quegli interventi ai dettami degli interessi particolari. Ne conseguono misure sbilanciate nel loro vigore e nella loro direzione. Il vigore è indebolito dal ritardo dei loro effetti e la direzione non corrisponde agli interessi generali delle comunità dei cittadini.

C’è comunità di intenti e d’azione, con conseguenti pesanti conflitti d’interesse, tra i decisori politici e le lobby professionali. La porta girevole è l’immagine della continuità degli uni con gli altri. E lo stesso si può dire dell’intreccio tra i decisori politici e gli alti burocrati ministeriali. Oggi lobbisti o burocrati, domani politici e viceversa. Negli USA, dopo Henry Truman che non utilizzò la porta girevole una volta concluso il suo mandato presidenziale, da quella porta è passato un numero crescente di personaggi a cavallo tra politica e gruppi di interesse. Come scrive Zephyr Teachout, “La porta girevole tra il Congresso e l’industria delle lobby – circa la metà di tutti i membri uscenti del Congresso continuano a diventare ben pagati lobbisti – incoraggia i legislatori a servire i loro futuri padroni futuro anziché i loro elettori correnti”. In Italia, attraverso la porta girevole, direttori generali dei ministeri e anche funzionari dei ministeri passano direttamente, senza un lasso temporale ragionevole, ad occupare posizioni di governo e seggi in Parlamento.

I rapporti tra decisori politici e banche d’affari sono molto stretti. Sono tutt’altro che rari i casi di decisori politici a libro paga come consulenti o dipendenti di banche d’affari che hanno finanziato o prestato servizi lautamente retribuiti dalla stato. Accade anche frequentemente che alti dirigenti di banche d’affari assurgano al ruolo di decisori politici. In entrambi i casi, non c’è un significativo intervallo di tempo nel passaggio da un ruolo all’altro. La porta girevole dà accesso al mondo della finanza che i politici lobbisti di professione occupano estendendone l’influenza al mondo dell’impresa che finisce con l’essere subordinato al primo. È così che la casta politico lobbista comprime lo spazio vitale della vecchia imprenditorialità in via di riammodernamento e alla nascente e neonata imprenditorialità innovativa.

All’uso della porta girevole è tutt’altro che estranea la galassia delle organizzazioni internazionali e intergovernative. Questo è un fenomeno che desta crescente allarme visto il peso che hanno assunto organismi di controllo delle crisi economiche il cui più vistoso esempio è quello della troika composta da Fondo monetario internazionale (FMI), Banca centrale europea (BCE) e Commissione europea (CE) in relazione alla crisi da debito di alcuni paesi all’interno della zona euro.

Darsi reciprocamente la voce ed essere tra loro leali: la collusione tacita tra politica e lobby professionali che nel corso della Grande Recessione si è apertamente manifestata con il salvataggio di istituzioni finanziarie a spese dei contribuenti ha fatto vedere quanto sia largo e profondo il fossato tra i policy maker e la società imprenditoriale, soprattutto con il milieu imprenditoriale dell’economia della conoscenza potenziata dalle tecnologie digitali. All’inizio del 2015 lo sbocco politico della crisi greca ha messa a nudo la troika e, più in generale, la sovranità e credibilità dei decisori politici la cui età dell’oro potrebbe così volgere al tramonto.

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