La Regione Marche non ne sa nulla di se stessa

Le Marche sono sicuramente una delle regioni meno conosciute del Belpaese, seppur di grande fascino. Dal mio punto di vista, originario di Genova e diventato marchigiano adottivo per scelta a partire dalla metà degli anni ’90, nelle Marche si vive bene. Fa piacere godere di qualcosa che sfugge alle masse e questa scarsa notorietà permette […]

Le Marche sono sicuramente una delle regioni meno conosciute del Belpaese, seppur di grande fascino.

Dal mio punto di vista, originario di Genova e diventato marchigiano adottivo per scelta a partire dalla metà degli anni ’90, nelle Marche si vive bene. Fa piacere godere di qualcosa che sfugge alle masse e questa scarsa notorietà permette ai marchigiani di godere in modo quasi esclusivo del proprio territorio. Dall’altro però dispiace, perché le cose belle dovrebbero essere condivise, soprattutto quando parliamo di natura. Ma è solo questione di tempo: gli italiani prima, e gli stranieri poco dopo, scopriranno le bellezze di queste terre e forse cominceranno a valorizzarle di più anche gli stessi marchigiani che per carattere sono poco inclini a esaltare ciò che hanno.

Speriamo che la “scoperta” di questa regione non avvenga troppo presto.

Le Marche, infatti, hanno ancora un lungo percorso davanti a sé per proteggere e valorizzare questo patrimonio naturale. Il territorio offre moltissimo in termini di risorse naturali e biodiversità, ma queste ricchezze per ora sembrano essere ignorate da un punto di vista delle strategie di conservazione.

 

Si fa ancora troppo poco per la biodiversità

La rete Natura 2000 mette a sistema tutti gli habitat di valore e da proteggere in Europa. Rappresenta il più importante progetto per la conservazione della biodiversità in Italia e interessa oltre il 20% del territorio nazionale ma, nelle Marche, questa rete copre solo il 15% del territorio e include soprattutto siti di interesse comunitario (SIC) ovvero aree ricche di biodiversità da proteggere. Nelle Marche ce ne sono 76 per una superficie complessiva di circa 98.500 ha ed occupano l’11% del territorio (contro una media nazionale del 16%). Tuttavia, finora sono state censite solo il 40% delle aree ricche di biodiversità. Il 60% di queste viene ancora una volta ignorato e non rientra né all’interno dei SIC né nelle Zone a Protezione Speciale (ZPS). In questi habitat spicca la presenza di piante endemiche (ovvero esclusive di questi territori): querceti di rovere, boschi di quercia bianca, faggeti, orchidee, praterie montane, alpine e subalpine. Solo una parte di questi habitat è all’interno di parchi e moltissimi siti di interesse comunitario sono, di fatto, abbandonati a loro stessi.

All’interno delle aree protette delle Marche sono compresi in modo rilevante solo i 2/3 degli habitat che meriterebbero di essere preservati nonostante anche la Direttiva Europea richieda espressamente di adottare forme di protezione per tutti questi ambienti.

Insomma facciamo troppo poco.

 

E la Regione Marche sta a guardare

La Regione Marche possiede un solo parco nazionale, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, e tre parchi regionali: il Parco Naturale Regionale del Conero, il Parco Naturale Regionale del Monte San Bartolo, il Parco Naturale Regionale della Gola della Rossa e di Frasassi. E poi c’è una Riserva Naturale Statale, la Gola del Furlo.

Tutti questi parchi rappresentano un autentico patrimonio della Regione ma anche in questo caso mancano finanziamenti adeguati e strategie di ampliamento. Sorprende, inoltre, il dato relativo alle aree umide e agli ambienti di transizione tra mare e acque dolci, che includono ecosistemi particolarmente ricchi di specie di interesse comunitario. Finora sono state identificate 40 zone umide ma la maggior parte manca di forme adeguate di protezione. Eppure nelle Marche sono presenti dal 20 al 40% delle specie animali di rilevante interesse presenti in Italia. In altri termini, le Marche sono in ritardo: non solo non proteggono adeguatamente gli habitat che la Comunità Europea ci chiede di identificare e proteggere, ma non conosce neanche le specie vulnerabili o a rischio di estinzione del proprio territorio.

I dati disponibili alla Regione sono ancora largamente incompleti, in particolare per quanto riguarda alcuni gruppi faunistici in grave rischio di estinzione. Nonostante stiano proseguendo i censimenti, questi avvengono in tempi troppo lunghi. Non possiamo proteggere quello che non conosciamo e la protezione delle specie non può essere fatta senza aree protette di adeguata estensione. L’estensione della maggior parte dei parchi regionali, infatti, appare decisamente insufficiente a garantirne la protezione e pertanto andrebbero ampliati.

 

Nel blu affogato di blu

E poi basta spostarsi sulle sponde dell’Adriatico per vedere come per il mare non sia stato fatto quasi nulla per la sua preservazione. In realtà, sono stati segnalati numerosi siti di interesse comunitario ma nessuna misura è stata presa per la loro difesa. L’area marina protetta del Conero, pianificata dal 1998, resta ancora in attesa di attuazione.

In un contesto in cui l’ambiente non viene protetto, inquinare è più facile e le Marche non sono esenti dal problema.

Riportare suolo, sottosuolo, acque sotterranee o ambienti marini contaminati a livelli accettabili per la sua fruizione risulta non solo un obbligo normativo ma anche una necessità sociale ed economica. La bonifica dei siti contaminati resta purtroppo una delle problematiche ambientali emblematiche e irrisolte del nostro Paese che non vede eccezioni nelle Marche. L’evoluzione tecnologica e i cambiamenti normativi dovrebbero rendere il processo di bonifica regolamentato e realizzabile, ma nulla è stato fatto di concreto nel territorio marchigiano, nonostante la presenza di numerosi siti contaminati.

 

Siti contaminati: fuori i numeri, fuori i nomi

Finora, di siti contaminati ne sono stati censiti 1025 ma solo per 474 sono state completate le procedure e 281 sono ancora oggi da bonificare. La maggior parte sono aree di piccole dimensioni (ad esempio vecchie stazioni di rifornimento di benzina), ma alcuni siti sono piuttosto estesi, come quello dell’ex FIDEA a Fabriano, che rappresentano ferite aperte che continuano a contaminare le acque di falda del territorio. Altri siti come quello dell’area ex Montedison di Falconara Marittima non sono mai stati caratterizzati  – ovvero mai studiati – nella porzione marina. Non esistono sistemi di confinamento dell’eventuale contaminazione e non ci sono restrizioni rispettate dai pescatori che continuano a pescare con nasse o vongolare gli organismi che in presenza di contaminanti concentrano all’interno dei loro tessuti le sostanze tossiche. I problemi non risolti in termini di inquinamento ambientale si ripercuotono sulla salute pubblica e sulla qualità complessiva della vita.

I risultati di uno studio nazionale sulla qualità della vita nel nostro Paese vedono luci ed ombre per la Regione Marche. Ancona è al 12° posto su 110 province, Ascoli Piceno al 16°, Macerata al 19°, Pesaro e Urbino al 35° e Fermo al 56° posto. Complessivamente la Regione appare confrontabile con la Toscana e l’Emilia Romagna per qualità di vita ma queste graduatorie sono dovute all’efficienza delle strutture sanitarie e ai servizi scolastici, al trasporto pubblico e all’efficienza energetica. Le cose non vanno invece bene in termini di qualità dell’aria se si pensa al biossido d’azoto e alle polveri sottili. 

Il problema delle Marche riguardo all’ambiente non è quello di essere un territorio più inquinato o poco industrializzato rispetto ad altre regioni ma la mancanza di una strategia ambientale che permetta di definire una traiettoria di recupero.

 

Nemmeno con le rinnovabili si guadagna punteggio

Le Marche non brillano neppure per le energie rinnovabili: sestultimo posto tra le regioni italiane, peggio di Regioni come la Liguria, la Campania e la Sicilia. Nell’ultimo decennio quasi tutte le Regioni hanno registrato un miglioramento degli indicatori di benessere ambientale presi in esame dall’ISTAT e i territori italiani che hanno la migliore situazione ambientale sono la provincia di Bolzano, la Valle d’Aosta e l’Abruzzo seguiti dalla provincia di Trento, dalla Sardegna e dal Veneto.

Le Regioni con la situazione peggiore sono invece la Calabria, la Sicilia e le Marche. Il miglioramento della qualità ambientale offre occasioni di nuova imprenditorialità e possibilità di nuove professioni e occupazione. Esistono esempi virtuosi come California e Germania mentre quello che continua a mancare nelle Marche è una visione integrata e prospettica delle politiche di sviluppo che riesca a rendere ecologicamente sostenibile l’uso del territorio e lo renda elemento di promozione di un’economia basata su turismo e infrastrutture verdi. 

Il verde resta ancora il colore della speranza?

 

Photo credits by Diving Conero

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