- Advertisement -
La rivincita degli irrequieti

La rivincita degli irrequieti

Chi sono gli irrequieti? Una speranza per il futuro del lavoro: curiosi e insofferenti delle regole, portatori sani di innovazione. Ecco un loro ritratto.

Ivan Ortenzi

29 Aprile 2019

La parolalavoro” viene spesso associata al concetto di regole. Regole che riguardano l’aspetto normativo e comportamentale delle persone e regole di funzionamento delle aziende. In accordo con una delle basi fondamentali del nostro pensiero: “Se esiste una cosa deve esistere il suo contrario”, concetto affermato non solo da Eraclito di Efeso (Efeso 535 a.C.-475 a.C.) con la sua “Dottrina dei contrari”, ma anche da molte altre dottrine, quali quella buddista, taoista e shintoista. Quindi la prima cosa che penso quando leggo la parola regole, come limiti o paradigmi, è quella di focalizzare l’attenzione su chi va oltre le regole, su chi non si ferma di fronte alle regole, su chi si chiede se ci sia un modo diverso, e migliore, di fare quella cosa andando oltre la regola. Queste persone sono gli irrequieti, coloro che non si fermano e vanno oltre la discussione dello status quo. 

Faccio outing e mi dichiaro irrequieto! Nel mio ruolo di Chief Innovation Evangelist agisco come irrequieto, come “agitatore culturale di aziende” per aiutarle a capitalizzare, individuare e scovare la presenza di irrequieti al loro interno e non solo. Per interpretare, senza seguire le regole, i nuovi paradigmi dei trend tecnologici, dei fenomeni socio-comportamentali, della nuova conoscenza che nasce dalle informazioni dei nuovi dati e genera la necessità di dotarsi di nuove competenze. Un incrocio che delinea il perimetro e una chiave di interpretazione che solitamente chiamiamo “innovazione”.

Azienda o cliente: chi sta al centro?

Questi quattro elementi si combinano in modo continuo generando effetti nei mercati, nella società e nelle aziende. L’aspetto curioso è che negli ultimi 25 anni l’attenzione di tutti si è concentrata su come interpretare questi effetti sui clienti. Abbiamo iniziato a parlare di customer satisfaction, poi diventata customer loyalty, poi customer experience, poi customer centricity; fino ad arrivare all’odierna customer intimacy, vero mantra di chi si occupa di marketing e di digitale. Questi concetti che si trasformano in strategie, quindi in azioni e iniziative concrete, non possono prescindere da chi ha la responsabilità di metterle in atto, ovvero le risorse dell’azienda.

Se si vuole realmente dare priorità al cliente bisogna anche mettere l’azienda al centro: corporate centricity. Per fare corporate centricity dobbiamo però ragionare sul modello di gestione. Polarizzando, in questo momento possiamo evidenziare due linee guida. La prima è quella tradizionale, al netto dei progetti di change management, attuativa della catena del valore tradizionale: controllo e comando. La seconda, nata dal combinato disposto tra i manager e i consulenti, è sintetizzata in un modello customer focused che ribalta la classica piramide gerarchica mettendo all’apice dell’organizzazione il cliente, capace così di dare forma ai processi, ai prodotti e ai servizi dell’azienda. Per essere così, però, occorre nascere cosi. L’esempio più eclatante di questa organizzazione è rappresentato dall’azienda che oggi ha il valore di capitalizzazione di borsa più alto al mondo, ovvero Amazon, una customer focused organization. Tutto quello che vogliono i clienti lo ha reso processo aziendale, e tutto ciò di cui il cliente ha bisogno impatta sui processi aziendali. Tutto quello che viene creato viene testato dai clienti. 

Questi due modelli organizzativi sono vissuti dalle aziende come dicotomici e non integrabili, identificando così un “dentro/fuori” che rappresenta un limite. E visto che il limite è una regola, proviamo ad andare oltre il limite identificando una terza linea guida nell’organizzazione delle aziende. Un modello che cerca di superare questa dicotomia, dedicando attenzione all’esperienza del cliente e delle risorse come componenti di un tutt’uno. Un’organizzazione adattiva che si modella sull’esperienza che l’azienda vuole far vivere ai propri clienti e dipendenti, ragionando equamente su entrambi gli elementi. E il punto di incontro è dato dal purpose, ovvero il proposito, anche definito value proposition, la proposizione di valore. Partire dall’identificazione di un motivo, di una ragione d’esistere alla quale clienti e risorse dell’azienda partecipano con ruoli distinti, ma con la medesima contribuzione di responsabilità e coinvolgimento spesso chiamata customer and employee engagement.

La leadership si è fatta ibrida

Questo modello deve essere gestito e condotto da chi è capace di esprimere una leadership differente da quelle che caratterizzano oggi le aziende. Siamo partiti dalla leadership dei “baby boomers”, la b-leadership, quella dei “creatori” o degli onnipotenti che hanno saputo dare forma a un modello industriale che ha colmato l’asimmetria tra i bisogni di un mercato nascente e le catene del valore aziendali. Questa visione deterministica è stata progressivamente integrata dalla m-leadership emersa con i diplomati MBA: i portatori di un modello di gestione manageriale che, sulla base di concetti quali vision, mission and values, hanno dotato le aziende di strumenti di analisi, di azione e di controllo in un ciclo continuo.

Questo approccio è andato in crisi quando sono arrivati i nuovi imprenditori partiti dai garage, tendenzialmente in ciabatte e felpa, i leader di quella che chiamo la i-leadership, capaci di sfruttare con nuovi pensieri (esponenziali, piattaforme, digitali, democratizzazione della tecnologia, strategie dell’abbondanza) il momento di passaggio. Questo modello oggi inizia a scricchiolare sotto il peso della privacy, dell’abuso di posizione dominante, della redistribuzione, dell’iniquità fiscale e della trasparenza d’azione. Per andare nuovamente oltre non ci si può concentrare più solo sui clienti o sui dipendenti. Occorre un concetto nuovo di leadership: la leadership ibrida (h-leadership). 

La leadership ibrida cerca di coniugare due sistemi valoriali apparentemente in conflitto tra di loro che hanno impatti sia sui clienti che i dipendenti. Questo nuovo modello propone di conciliare le esigenze di controllo, potere e guadagno con un secondo sistema che è fatto di autonomia, proposito e distribuzione. Un punto di incontro che ha già dato vita a concetti quali innovability (crasi di innovazione e sostenibilità), a strumenti normativi e gestionali come le B Corp, a iniziative di disseminazione culturale come le e-mail inviate agli azionisti da Laurence D. Fink, CEO di Blackrock, nel 2017, e nel 2018 e il fenomeno mediatico Greta. 

Chi c’è nel mezzo dei due insiemi di valori-obiettivo? Chi sono coloro i quali possono accompagnare questa evoluzione delle aziende e dei mercati? Chi è portavoce di questa nuova visione del modello di business? Sono gli irrequieti e le irrequiete; sono quei profili che negli USA vengono definiti maverick, i ribelli. Fare leadership ibrida significa unire quei due sistemi valoriali, ma soprattutto mettere al centro del progetto sia i clienti sia le risorse irrequiete, coloro che oggi sanno affrontare i cambiamenti del mercato perché vanno oltre le regole. Se il mercato è rapido, imprevedibile, fatto di nuovi soggetti imprenditoriali e nuove dinamiche, di incertezza e di riforme, alle aziende è richiesta la necessità di applicare strumenti e regole nuovi. Dopotutto, le regole sono sempre sostituite da nuove regole: oggi abbiamo bisogno di nuove dinamiche che consentano di coniugare esigenze apparentemente divergenti, ma comuni nella sostanza; un nuovo obiettivo comune per rispondere tempestivamente a dinamiche molto più veloci.

Irrequieti: come riconoscerli e dove trovarli

Di certo non è facile riconoscere gli irrequieti in azienda e sul mercato, perché non basta andare a cercare quelli più bravi o i migliori clienti. Bisogna cercare di capire come lavorano e quali sono i tratti comportamentali di un irrequieto e un’irrequieta. Partendo da queste assunzioni, queste sono le lezioni che ho imparato da tutti loro. 

Gli irrequieti: 

  • amano stare insieme agli altri irrequieti, si cercano tra di loro; 
  • si annoiano, perché le regole sono noiose, e la noia consente loro di pensare come andare oltre;
  • sono curiosi del perché esistono le regole
  • sono affascinati dalle persone che non la pensano come loro, è un fattore che consente loro di essere irrequieti; 
  • vogliono essere riconosciuti come tali da chi non lo è
  • hanno una pessima gestione del tempo, della capacità di organizzazione; 
  • si immedesimano nei bisogni degli altri per condividere gli obiettivi del loro essere irrequieti.

La leadership ibrida consiste nel non avere paura di trovarli, valorizzarli e lasciare che permeino l’azienda con nuove interpretazioni. La mia esperienza mi ha insegnato che gli irrequieti si trovano in quelle che io chiamo “intersezioni” in azienda e sul mercato; nei ruoli e luoghi che non sono classificabili, segmentabili o “clusterizzabili”, nelle zone di conflitto in cui si possono confrontare con gli altri e nelle zone che si creano per trovare lo spazio del loro benessere. 

Le aziende per trovarli devono creare degli spazi dedicati agli gli irrequieti, e io ne ho identificati quattro di natura diversa: lo spazio tecnologico in cui gli irrequieti cercano di capire come la tecnologia può rompere le regole e impattare sui comportamenti imparando da loro; lo spazio del talento dove gli irrequieti possono essere riconoscibili secondo nuove metriche, perché se li conformiamo al catalogo di formazione o alla segmentazione non li troviamo, non li formiamo e non li valorizziamo; lo spazio dell’azione, perché gli irrequieti vogliono stare tra di loro e abbiamo la necessità di farli incontrare sia fisicamente sia digitalmente. Infine, deve esserci la consapevolezza e il coraggio di capire che gli irrequieti pensano in modo divergente, e per questo c’è bisogno di uno spazio di intelligenza, uno spazio che crea valore e che aiuta l’azienda a comprendere la realtà in maniera diversa. 

Se il mondo è, come si dice nei convegni, VUCA, esponenziale, trasformativo e dirompente, allora solo gli irrequieti e le irrequiete riusciranno a salvare le aziende rappresentando un nuovo equilibrio tra mercato e modello di business. L’azienda dal canto suo deve dare una risposta all’atavico dilemma dell’irrequieto/a esemplificato da un aforisma di Nietzsche: “Nella solitudine, il solitario è divorato da sé stesso. Nella moltitudine, il solitario è divorato dagli altri. Ora scegli”. Una risposta che non può che essere ibrida.

Photo by Samuel Zeller on Unsplash