Quanto c’entra il lavoro nella dispersione scolastica?

Il 40% dei minori che lavorano durante gli studi riferisce di non riuscire a conciliare le due cose: è l’inizio di un circolo vizioso che conduce a serie difficoltà di inserimento. Antonella Inverno, Save the Children: “I ragazzi ritengono che la scuola non porti nulla di concreto”

Dispersione scolastica, una classe con diversi banchi vuoti vista dall'alto

Strade interrotte sul fronte dell’istruzione: la dispersione scolastica è un fenomeno sul quale tenere la guardia molto alta, compresa la correlazione che detiene con un altro fenomeno preoccupante e tuttora presente in Italia: quello del lavoro minorile. Proprio su questo rapporto sono state attivate importanti indagini, tra cui quella recente, pubblicata ad aprile 2023, di Save the Children, dal titolo emblematico Non è un gioco. Chiara la restituzione: “In quasi un caso su due (40,4%) il lavoro incide sulla possibilità di studiare e i 14-15enni che lavorano sono stati bocciati quasi il doppio delle volte rispetto ai loro coetanei che non hanno mai lavorato. Anche le interruzioni temporanee della scuola sono più che doppie nel caso di studenti lavoratori”.

Sempre Save the Children, con l’indagine Alla ricerca del tempo perduto pubblicata a settembre 2022, aveva evidenziato che in Italia il 23,1% dei e delle giovani compresi nella fascia di età 15-29 anni si trova in un limbo, fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione, tanto che il numero dei NEET nel nostro Paese raggiunge il livello più alto dell’Unione europea. Quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%), più del doppio di Germania e Francia (9,2%). Il 12,7% degli studenti non arriva nemmeno al diploma perché abbandona precocemente gli studi.

Il lavoro minorile aumenta la dispersione e l’abbandono scolastico

Prima di addentrarci in ulteriori dati è opportuno fare una distinzione. Finora abbiamo parlato infatti di dispersione scolastica, che racchiude situazioni di mancata, incompleta o irregolare fruizione dei servizi dell’istruzione da parte di bambine, bambini e adolescenti in età scolare. In essa rientrano anche le interruzioni temporanee della frequenza scolastica, il ritiro dalla scuola per determinati periodi, il dover ripetere l’anno a causa di una o più bocciature e la totale mancanza di scolarizzazione. Nella dispersione è compreso lo stesso abbandono scolastico precoce, ossia il fenomeno per il quale i giovani, giunti alla licenza media, lasciano gli studi senza conseguire ulteriori titoli di studio o qualifiche professionali.

L’indagine di Save the Children mette in evidenza come entrambe queste conseguenze siano favorite dal lavoro minorile, che “influisce negativamente sull’apprendimento riducendo il tempo dedicato allo studio, aumentando il rischio di bocciature, limitando la frequenza a scuola e alimentando così, in molti casi, il fenomeno della dispersione e dell’abbandono scolastico”. Un vero e proprio danno, tanto che il lavoro minorile svolto durante il periodo scolastico – almeno 4 ore e più volte a settimana – costituisce uno dei parametri dell’ambito di definizione dei cosiddetti lavori dannosi per lo sviluppo e il benessere dei minorenni.

Dall’indagine emerge anche che il 25% dei minori intervistati con esperienze di lavoro minorile dichiara di lavorare o di aver lavorato anche durante i giorni di scuola, e il 4,9% di non andare a scuola o saltare le lezioni per lavorare. Ma non si parla solo di frequenza, bensì di possibilità di studiare e lavorare allo stesso tempo. Il 52,3% dei minori con esperienze di lavoro minorile ha dichiarato di poter studiare e lavorare insieme senza problemi, mentre il 40,4 %, quasi un caso su due, ha affermato che il lavoro impatta sulla possibilità di studio.

I risvolti sono variegati: il 19,9% ha evidenziato che ci riesce nonostante sia stancante, il 14% afferma che quando lavora non riesce a studiare, mentre il 6,5% parla di una possibile conciliazione tra studio e lavoro, ma solo alcune volte. Non a caso esiste anche una cosiddetta dispersione scolastica implicita, riferita agli studenti e alle studentesse che, pur avendo conseguito un titolo di studio di scuola secondaria di secondo grado, non raggiungono i traguardi di competenza previsti per l’intero percorso dei 13 anni di scuola.

Antonella Inverno, Save the Children: “I ragazzi ritengono che la scuola non porti nulla di concreto”

La correlazione causa-effetto tra lavoro minorile e dispersione scolastica è dunque lampante, come ci conferma Antonella Inverno, giurista italiana, responsabile ricerca dati e politiche per l’infanzia e l’adolescenza in Save the Children: “I dati della nostra indagine la confermano chiaramente”, afferma.

Andando alla radice della questione, Antonella Inverno ci rivela come il dirottamento sul lavoro minorile scaturisca anche da una profonda delusione da parte degli adolescenti nei confronti della scuola. “Abbiamo intervistato studenti e studentesse di 14-15 anni che ci hanno raccontato esperienze attuali o passate”, spiega. “Oltre a emergere la volontà di essere autonomi economicamente, è rilevante anche una diffusa svalutazione della scuola: semplificando potremmo dire che diversi ragazzi ritengono che il lavoro porti a qualcosa di concreto, mentre la scuola no”. E aggiunge: “Decisamente minore è la quota di chi intraprende questa strada per pressanti situazioni economiche e famigliari: sono coloro che cadono in situazioni più pesanti di sfruttamento”.

È palese come per diversi giovani la scuola risulti frustrante, inutile e non concreta. Che cosa potrebbe fare quindi la scuola per scardinare questa delusione e prevenire determinate derive? “Riprendendo ciò che ha detto Anna Maria Ajello, presidente INVALSI: credo sia importante che soprattutto nel mondo di oggi, dove è possibile avere accesso a diverse informazioni in maniera autonoma, la scuola attui un rinnovamento che parta dalle fondamenta. La scuola non deve limitarsi a trasmettere nozioni, ma insegnare ad acquisire consapevolezza, a mettere a frutto le conoscenze e a lavorare in gruppo”.

Parliamo quindi di un rinnovamento che investe diversi aspetti. “Sì, c’è necessità prima di tutto di un rinnovamento didattico che sappia mettere in relazione le diverse discipline e che valorizzi il saper comprendere attraverso argomenti e non tramite le materie. Di pari passo il rinnovamento deve riguardare anche il modo di strutturare gli spazi: ancora oggi ci sono le cattedre che sovrastano l’aula. C’è necessità di ambienti di apprendimento che facilitino il lavoro di gruppo e il confronto, di percorsi in linea con la transizione verde e digitale. È fondamentale che la scuola concretizzi percorsi il più vicini possibile alle necessità e aspirazioni di ogni singolo studente”.

Per le situazioni di dispersione scolastica correlate a lavoro minorile a causa di situazioni di indigenza economica che cosa propone, invece? “L’istruzione è un diritto di tutti e va sostenuto, per questo è necessario prevedere misure a sostegno delle famiglie che versano in uno stato di povertà certificata tramite doti educative. Si tratta di un insieme di servizi diretti al minorenne con l’obiettivo di supportarlo nel suo percorso educativo e nello sviluppo dei suoi talenti, compresa la possibilità di fare sport e studiare musica gratuitamente. Resta fondamentale che ci sia un orientamento che illustri tutte le opportunità di supporto e i rimborsi previsti: purtroppo accade che ci siano le opportunità, ma che non vengano utilizzate perché non sono conosciute”.

Gli effetti del lavoro minorile sul futuro: sfruttamento e crescita limitata

Il lavoro minorile incide in negativo sullo studio, tutto questo in tempi dove per ottenere posti di lavoro più qualificati vengono richiesti sempre più titoli, come specializzazioni o master, oltre alla laurea. Si innesca così una situazione paradossale, da cane che si morde la coda: il lavoro “precoce”, quindi prima dei 16 anni, non solo trancia diritti, tempo e possibilità di studio, ma toglie anche la possibilità di occupazione futura. A darne dimostrazione sono i dati esplicitati da un’altra indagine cardine, dal titolo Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali, a cura della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che a sua volta si è confrontata con i dati ISTAT.

“Il 46,5% degli occupati e delle occupate con meno di 35 anni che hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni consegue al massimo la licenza media, mentre il 10,6% completa il ciclo della formazione obbligatoria, con un diploma secondario di due-tre anni”, rivela l’indagine. “Il 31,7% ha invece un diploma secondario di 4-5 anni, e soltanto l’11,2% raggiunge il traguardo della laurea”. E ancora: “Tra quanti hanno invece iniziato a lavorare in età legale, il 27,3% consegue la laurea, il 47,3% un diploma secondario, e solo il 17,9% si ferma alla licenza media”.

Più la scolarizzazione è bassa e più incide sui percorsi di carriera. La stessa indagine rivela che solo il 17% arriva a svolgere una professione di elevata qualificazione, mentre il 31,5% di chi lavora dopo i 16 anni raggiunge professioni di elevata qualificazione.

Le indagini parlano attraverso numeri precisi e testimonianze schiette. Il rinnovamento non può davvero più attendere, a meno che non si continui a rischiare un presente che imbrigli il futuro, guardacaso proprio a danno di coloro al quale viene più promesso.

 

 

 

Photo credits: newsday.com

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