Il lavoro minorile incide in negativo sullo studio, tutto questo in tempi dove per ottenere posti di lavoro più qualificati vengono richiesti sempre più titoli, come specializzazioni o master, oltre alla laurea. Si innesca così una situazione paradossale, da cane che si morde la coda: il lavoro “precoce”, quindi prima dei 16 anni, non solo trancia diritti, tempo e possibilità di studio, ma toglie anche la possibilità di occupazione futura. A darne dimostrazione sono i dati esplicitati da un’altra indagine cardine, dal titolo Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali, a cura della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che a sua volta si è confrontata con i dati ISTAT.
“Il 46,5% degli occupati e delle occupate con meno di 35 anni che hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni consegue al massimo la licenza media, mentre il 10,6% completa il ciclo della formazione obbligatoria, con un diploma secondario di due-tre anni”, rivela l’indagine. “Il 31,7% ha invece un diploma secondario di 4-5 anni, e soltanto l’11,2% raggiunge il traguardo della laurea”. E ancora: “Tra quanti hanno invece iniziato a lavorare in età legale, il 27,3% consegue la laurea, il 47,3% un diploma secondario, e solo il 17,9% si ferma alla licenza media”.
Più la scolarizzazione è bassa e più incide sui percorsi di carriera. La stessa indagine rivela che solo il 17% arriva a svolgere una professione di elevata qualificazione, mentre il 31,5% di chi lavora dopo i 16 anni raggiunge professioni di elevata qualificazione.
Le indagini parlano attraverso numeri precisi e testimonianze schiette. Il rinnovamento non può davvero più attendere, a meno che non si continui a rischiare un presente che imbrigli il futuro, guardacaso proprio a danno di coloro al quale viene più promesso.
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