L’aumento dei casi è reale o sono i giornali che ora danno più rilievo alla situazione?
Se l’anno scorso abbiamo avuto 36 aggressioni denunciate, quest’anno (e siamo solo a febbraio) siamo a 28. E queste sono soltanto le aggressioni che emergono, perché molte ancora rimangono sommerse. Che sia fatta una denuncia o meno è il risultato di molte variabili: la volontà della scuola, del docente, il livello di aggressività del genitore e dell’alunno. Poi i telegiornali non distinguono mai: per loro è sempre tutta scuola e non si dice che, in realtà, molte aggressioni sono avvenute in ambito di formazione professionale, ad esempio il caso del ragazzo di Varese che ha accoltellato una professoressa dell’ENAIP, che è un ente nazionale ACLI di istruzione professionale. Quello è il luogo dove vanno ragazzi che escono dalle medie non solo con voti bassi, ma con situazioni famigliari difficili, e dove gli insegnanti sono del tutto soli davanti a situazioni molto complicate.
È inutile negare che ci siano scuole di serie A e di serie B, dove insegnare è più semplice e dove invece è una sfida quotidiana.
Ogni scuola comunque ha le sue difficoltà. In un istituto professionale, ad esempio, è più difficile che tu riceva violenza dalla famiglia, ma è più facile trovarsi davanti ragazzi aggressivi che provengono da situazioni sociali, famigliari ed economiche complicate. Io ho insegnato per anni in un istituto professionale e credo di non aver mai visto un genitore al ricevimento. Nei licei, invece, ci sono famiglie che non riescono ad accettare la situazione di difficoltà dei figli e inveiscono contro insegnanti, presidi e dirigenti. A parole è molto facile che accada, per fortuna questi genitori vengono alle mani di rado.
Perché le aggressioni verbali sono così frequenti?
Per diversi motivi. In primo luogo, in questi anni c’è stata una svalutazione pesantissima della nostra professione e chiunque ormai si sente autorizzato a contestare la figura dell’insegnante e l’istituzione scolastica; il COVID-19 ha avuto il suo peso, perché i ragazzi non stanno bene. La pandemia ha accentuato le problematiche già esistenti di ansia, disturbi alimentari e psicologici, e la scuola non ha gli strumenti per risolvere queste situazioni. Il COVID-19 ha staccato ancora di più le famiglie e i ragazzi dalla scuola.
In che modo?
I genitori non seguono più neanche i consigli orientativi. C’è la paura di mandare i ragazzi negli istituti tecnici e professionali e così li iscrivono nella scuola che considerano socialmente più tranquilla, che poi però non è la scuola adatta. C’è una liceizzazione estrema nelle scelte delle famiglie perché gli istituti tecnici e professionali vengono percepiti come luoghi pericolosi. Di conseguenza i ragazzi vengono mandati tutti al liceo, senza considerare che lì sono richieste capacità ben precise e tempi di studio più lunghi.
Quindi le famiglie non seguono i consigli orientativi anche perché non accettano che i figli “non siano all’altezza” di un certo tipo di scuola?
Spesso chi ha un figlio che alle medie prende sette lo considera in grado di fare un liceo, ma ci vuole un otto, o meglio un nove, alla scuola media per essere sicuri che il liceo sia il luogo per te.
I genitori spesso non vogliono accettare i limiti dei figli, ma per non incorrere in problemi, aggressioni o denunce, alcuni insegnanti oggi tendono a non esporsi e a non contraddire mai le scelte delle famiglie.
È così, ma dobbiamo considerare anche un’altra problematica. In particolare, una volta fatta la scelta sbagliata, oggi è anche difficile rimediare perché non ci sono posti, le classi sono state riempite a dismisura e i ragazzi non si possono spostare con facilità. E poi succede che i genitori si presentano a scuola convinti che sia sempre l’insegnante a sbagliare, mentre spesso è stata sbagliata la scelta a monte.
A lei è capitato di essere aggredita da un genitore?
Mi è successo, anche se non ero direttamente coinvolta. Pochi giorni fa il padre di un alunno si è permesso di entrare in sala professori urlando, venendomi sotto il naso perché pretendeva di parlare con un collega che in quel momento non era presente. Tra l’altro questo genitore si era presentato fuori dall’orario di ricevimento, quindi anche la pretesa di avere l’insegnante a disposizione era di per sé sbagliata. Il preside ha dovuto chiamare i carabinieri per farlo uscire dall’istituto perché lui continuava a urlare dicendo che aveva anche mandato diverse mail al professore in questione senza aver mai ricevuto risposta. In seguito abbiamo verificato e il collega non aveva nessuna mail. Oggi tutti dimenticano che l’insegnante è un pubblico ufficiale e si permettono di aggredirlo nella convinzione di essere sempre nel giusto. Io non ci tenevo a fare denuncia, ma questi episodi ormai succedono troppo spesso.
Lei insegna da 23 anni e sicuramente ha visto cambiare i ragazzi e le famiglie.
I ragazzi sono fragili e le loro famiglie spesso sono disorientate e davanti a un taglio generale dei servizi; altrettanto spesso non hanno neanche gli strumenti per aiutare i ragazzi. Poi i figli sono meno di un tempo e su di loro si scaricano aspettative pesantissime, per loro il fallimento non è contemplato, la normalità non è contemplata. Non è più importante il percorso, ma soltanto il titolo che si ottiene. E poi oggi sono tutti insegnanti: il genitore sa come si insegna, sa dove è meglio andare in gita e a volte sa anche quali sono i libri scolastici migliori. Non c’è più la capacità di distacco dai figli e i genitori pretendono di assumere tutti i ruoli.
Se siete arrivati fino qui, vorrei che fosse chiaro che non c’è alcuna volontà di prendere di mira i genitori. Vorremmo piuttosto far riflettere su alcuni atteggiamenti che spesso adottiamo perché siamo troppo coinvolti nella vita dei nostri figli e carichiamo su di loro aspettative che non gli appartengono. E questo poi ci porta a scontrarci con il resto del mondo, che cerca solo di fare il suo mestiere – in molti casi anche bene. Lo facciamo con gli insegnanti, con gli allenatori che non li convocano alle partite (soprattutto di calcio, ma anche di altri sport), con i maestri di musica. Davanti a un insuccesso di nostro figlio, sono sempre gli altri che non capiscono.
Proviamo a cambiare prospettiva e a pensare che forse siamo noi adulti a non aver capito cosa vogliono i nostri ragazzi, e che chi li segue a scuola, in campo o dietro a un pianoforte, grazie a una certa esperienza e a un maggiore distacco, forse, ha colto qualcosa in più di quello che abbiamo capito noi.
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