Le testimonianze di due madri che si sono confrontate con insegnanti che chiedevano diagnosi per bambini privi di problematiche.
Aggressioni a scuola, il cinque in condotta non fa più paura
Le violenze verbali e fisiche contro il personale scolastico sono in aumento, e coinvolgono insegnanti, collaboratori e dirigenti: 28 denunce solo nei primi mesi del 2024. Le testimonianze di alcuni docenti e di Lucia Donat Cattin, USB Scuola: “Ormai ci trattano come arbitri di calcio. Non volevo denunciare, ma succede troppo spesso”
“Gli insegnanti ormai sono trattati come gli arbitri di calcio”. Sono le parole di Anna, docente romana che ha subito più di un’aggressione verbale da parte dei genitori dei suoi alunni.
Io ci rifletto un attimo e penso che sia stata un po’ troppo morbida, perché memoria non mi vengono in mente arbitri di calcio accoltellati o attaccati al muro e quasi strangolati. E invece agli insegnanti italiani succede anche questo: lo abbiamo visto di recente a Reggio Calabria e a Varese, casi eclatanti che rimarranno impressi nella nostra mente per mesi. Ma quanto sta crescendo il fenomeno delle violenze agli insegnanti e quali sono i motivi che hanno trascinato il sistema scolastico in questa situazione?
Dare la colpa ai genitori è facile e spesso ci si prende, ma ci sono anche altre cause da analizzare. Per schiarirmi le idee ho contattato due sindacati degli insegnanti, USB Scuola e Gilda, e tanti amici che insegnano nel bolognese. Inizialmente ero solo alla ricerca di testimonianze dirette di docenti aggrediti dai genitori, ma parlando con chi fa questo mestiere da trent’anni ho scoperto anche altro. Ad esempio come sono cambiati i ragazzi durante la pandemia, quali sono le risposte che il sistema scolastico dovrebbe dare e non dà. Ma anche il fatto che spesso alla scuola facciamo le domande sbagliate.
Aggressioni al personale scolastico in aumento: le esperienze degli insegnanti
Il primo racconto mi arriva da un professore di un liceo romano iscritto alla Gilda degli insegnanti.
“Mi è capitato recentemente di convocare un genitore perché suo figlio aveva bestemmiato in classe. Arrivato a scuola il genitore, scoperto il motivo della convocazione, ha cominciato a inveire: mi avete fatto prendere il permesso dal lavoro per una bestemmia? Gli ho risposto che mi sembrava una cosa grave, soprattutto in un contesto scolastico e a maggior ragione per il fatto che il padre del ragazzo aveva un crocifisso al collo. Il genitore, sempre più irritato, mi ha risposto testuali parole: ‘Ma che c’entra, questo è un gingillo come un altro’. E poi se ne è andato sbattendo la porta.”
E poi c’è la testimonianza di un’insegnante romana che chiameremo Anna (nome di fantasia perché preferisce rimanere anonima, anche per evitare ulteriori problemi e ritorsioni). Anna era in Romagna in gita con la sua classe, una seconda media, e al momento di dividere i ragazzi nelle rispettive camere è successo il putiferio perché uno degli alunni, che era stato appositamente diviso dal suo compagno per evitare che facessero danni, ha cominciato a urlare e piangere perché voleva stare con il suo amico. Nonostante la scenata, il ragazzo non è stato accontentato perché la distribuzione delle camere era frutto di una scelta precisa. Incapace di accettare il rifiuto, il ragazzo ha chiamato il padre che la sera stessa si è fatto centinaia di chilometri per venirlo a prendere e riportarlo a casa. Anna raccontandomi l’accaduto ha pensato all’episodio come a un fatto diseducativo, soprattutto per il ragazzo, visto che il genitore si era presentato in albergo con toni molto aggressivi visto che il figlio non era stato accontentato.
Io, invece, ho anche pensato che per me sarebbe assurdo fare tutti quei chilometri per assecondare i capricci di mio figlio, e per di più fargli perdere la gita, soprattutto dopo che l’avevo già pagata.
“Noi siamo rimasti di stucco – mi spiega Anna – e dopo questo episodio il ragazzo ha avuto altre note disciplinari, ma non c’è da stupirsi visto l’esempio che riceve in famiglia. Succede spesso che davanti alle note disciplinari i genitori decidano di scavalcare l’insegnante e chiedano di parlare direttamente con il preside o con il dirigente. E questo è un atteggiamento che ci scredita. Ora poi è periodo di pagelle e, manco a dirlo, i genitori contestano di continuo i voti: bisogna sempre dare mille spiegazioni per giustificare il voto che non li accontenta.”
“Non volevo denunciare, ma questi episodi succedono troppo spesso”: dinamiche e cause delle aggressioni
“Gli insegnanti ormai sono trattati come gli arbitri di calcio”. Questa frase continua a risuonarmi in testa mentre i casi di aggressione aumentano. Ad oggi non ci sono delle statistiche ufficiali del ministero perché fino a pochi anni fa questo non è mai stato un problema reale, ma la crescita dei casi di aggressione la vediamo da tutti i giornali. Ne ho parlato con Lucia Donat Cattin di USB Scuola, che oltre a essere una rappresentante sindacale insegna da 23 anni.
L’aumento dei casi è reale o sono i giornali che ora danno più rilievo alla situazione?
Se l’anno scorso abbiamo avuto 36 aggressioni denunciate, quest’anno (e siamo solo a febbraio) siamo a 28. E queste sono soltanto le aggressioni che emergono, perché molte ancora rimangono sommerse. Che sia fatta una denuncia o meno è il risultato di molte variabili: la volontà della scuola, del docente, il livello di aggressività del genitore e dell’alunno. Poi i telegiornali non distinguono mai: per loro è sempre tutta scuola e non si dice che, in realtà, molte aggressioni sono avvenute in ambito di formazione professionale, ad esempio il caso del ragazzo di Varese che ha accoltellato una professoressa dell’ENAIP, che è un ente nazionale ACLI di istruzione professionale. Quello è il luogo dove vanno ragazzi che escono dalle medie non solo con voti bassi, ma con situazioni famigliari difficili, e dove gli insegnanti sono del tutto soli davanti a situazioni molto complicate.
È inutile negare che ci siano scuole di serie A e di serie B, dove insegnare è più semplice e dove invece è una sfida quotidiana.
Ogni scuola comunque ha le sue difficoltà. In un istituto professionale, ad esempio, è più difficile che tu riceva violenza dalla famiglia, ma è più facile trovarsi davanti ragazzi aggressivi che provengono da situazioni sociali, famigliari ed economiche complicate. Io ho insegnato per anni in un istituto professionale e credo di non aver mai visto un genitore al ricevimento. Nei licei, invece, ci sono famiglie che non riescono ad accettare la situazione di difficoltà dei figli e inveiscono contro insegnanti, presidi e dirigenti. A parole è molto facile che accada, per fortuna questi genitori vengono alle mani di rado.
Perché le aggressioni verbali sono così frequenti?
Per diversi motivi. In primo luogo, in questi anni c’è stata una svalutazione pesantissima della nostra professione e chiunque ormai si sente autorizzato a contestare la figura dell’insegnante e l’istituzione scolastica; il COVID-19 ha avuto il suo peso, perché i ragazzi non stanno bene. La pandemia ha accentuato le problematiche già esistenti di ansia, disturbi alimentari e psicologici, e la scuola non ha gli strumenti per risolvere queste situazioni. Il COVID-19 ha staccato ancora di più le famiglie e i ragazzi dalla scuola.
In che modo?
I genitori non seguono più neanche i consigli orientativi. C’è la paura di mandare i ragazzi negli istituti tecnici e professionali e così li iscrivono nella scuola che considerano socialmente più tranquilla, che poi però non è la scuola adatta. C’è una liceizzazione estrema nelle scelte delle famiglie perché gli istituti tecnici e professionali vengono percepiti come luoghi pericolosi. Di conseguenza i ragazzi vengono mandati tutti al liceo, senza considerare che lì sono richieste capacità ben precise e tempi di studio più lunghi.
Quindi le famiglie non seguono i consigli orientativi anche perché non accettano che i figli “non siano all’altezza” di un certo tipo di scuola?
Spesso chi ha un figlio che alle medie prende sette lo considera in grado di fare un liceo, ma ci vuole un otto, o meglio un nove, alla scuola media per essere sicuri che il liceo sia il luogo per te.
I genitori spesso non vogliono accettare i limiti dei figli, ma per non incorrere in problemi, aggressioni o denunce, alcuni insegnanti oggi tendono a non esporsi e a non contraddire mai le scelte delle famiglie.
È così, ma dobbiamo considerare anche un’altra problematica. In particolare, una volta fatta la scelta sbagliata, oggi è anche difficile rimediare perché non ci sono posti, le classi sono state riempite a dismisura e i ragazzi non si possono spostare con facilità. E poi succede che i genitori si presentano a scuola convinti che sia sempre l’insegnante a sbagliare, mentre spesso è stata sbagliata la scelta a monte.
A lei è capitato di essere aggredita da un genitore?
Mi è successo, anche se non ero direttamente coinvolta. Pochi giorni fa il padre di un alunno si è permesso di entrare in sala professori urlando, venendomi sotto il naso perché pretendeva di parlare con un collega che in quel momento non era presente. Tra l’altro questo genitore si era presentato fuori dall’orario di ricevimento, quindi anche la pretesa di avere l’insegnante a disposizione era di per sé sbagliata. Il preside ha dovuto chiamare i carabinieri per farlo uscire dall’istituto perché lui continuava a urlare dicendo che aveva anche mandato diverse mail al professore in questione senza aver mai ricevuto risposta. In seguito abbiamo verificato e il collega non aveva nessuna mail. Oggi tutti dimenticano che l’insegnante è un pubblico ufficiale e si permettono di aggredirlo nella convinzione di essere sempre nel giusto. Io non ci tenevo a fare denuncia, ma questi episodi ormai succedono troppo spesso.
Lei insegna da 23 anni e sicuramente ha visto cambiare i ragazzi e le famiglie.
I ragazzi sono fragili e le loro famiglie spesso sono disorientate e davanti a un taglio generale dei servizi; altrettanto spesso non hanno neanche gli strumenti per aiutare i ragazzi. Poi i figli sono meno di un tempo e su di loro si scaricano aspettative pesantissime, per loro il fallimento non è contemplato, la normalità non è contemplata. Non è più importante il percorso, ma soltanto il titolo che si ottiene. E poi oggi sono tutti insegnanti: il genitore sa come si insegna, sa dove è meglio andare in gita e a volte sa anche quali sono i libri scolastici migliori. Non c’è più la capacità di distacco dai figli e i genitori pretendono di assumere tutti i ruoli.
Se siete arrivati fino qui, vorrei che fosse chiaro che non c’è alcuna volontà di prendere di mira i genitori. Vorremmo piuttosto far riflettere su alcuni atteggiamenti che spesso adottiamo perché siamo troppo coinvolti nella vita dei nostri figli e carichiamo su di loro aspettative che non gli appartengono. E questo poi ci porta a scontrarci con il resto del mondo, che cerca solo di fare il suo mestiere – in molti casi anche bene. Lo facciamo con gli insegnanti, con gli allenatori che non li convocano alle partite (soprattutto di calcio, ma anche di altri sport), con i maestri di musica. Davanti a un insuccesso di nostro figlio, sono sempre gli altri che non capiscono.
Proviamo a cambiare prospettiva e a pensare che forse siamo noi adulti a non aver capito cosa vogliono i nostri ragazzi, e che chi li segue a scuola, in campo o dietro a un pianoforte, grazie a una certa esperienza e a un maggiore distacco, forse, ha colto qualcosa in più di quello che abbiamo capito noi.
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