Baby sitter: le famiglie italiane fanno da sole. Chi cerca non sempre trova

Baby sitter, c’è chi si forma e chi si improvvisa. Ma quanti ricercano questa figura, e quante volte il rapporto di lavoro si concretizza?

Vivere alla giornata: chi non vorrebbe farlo? Si tratta di un intento stimato ma difficilmente praticabile. Piuttosto si vive ipotizzando molteplici piani B per districarsi tra impegni lavorativi e di gestione familiare. Tutto questo cercando di cadere in piedi – o quasi – su entrambi i fronti, perché se uno dei due è punto da un imprevisto, l’effetto domino è quasi sempre inevitabile. Ancora una volta il coronavirus lo dimostra tirando al massimo la corda dell’esperienza.

La chiusura prolungata delle scuole avvenuta la scorsa primavera è stata un detonatore da questo punto di vista. Nel frattempo il governo ha dato il via libera a possibili soluzioni per conciliare, almeno in parte, gli orari della vita lavorativa dei genitori con quelli di bambini e adolescenti bisognosi di un contesto sicuro e stimolante. Tra esse figurano anche le baby sitter, con tanto di bonus COVID-19 INPS dedicato.

È infatti diffusa la mancata messa in regola di queste figure, spesso pagate in nero anche nel caso di un monte ore lavorativo corposo. Il coronavirus paradossalmente ha comportato un cambiamento positivo su questo fronte: non solo per la presenza del bonus ma anche per un fenomeno di mini-regolarizzazione da pandemia, così definito da Veneto Lavoro in una sua analisi, e che accomuna altre figure operanti a livello domestico. Dovendo giustificare ogni spostamento tramite autocertificazione, determinati rapporti di lavoro hanno dovuto essere regolarizzati.

Lavoratori alla ricerca di baby sitter o baby sitter alla ricerca di lavoro?

La scuola è ricominciata, ma con una diffusa sensazione di incertezza. “Speriamo continui”, è la frase ripetuta spesso da famiglie e docenti. Nel frattempo però sono aumentate le iscrizioni su alcune piattaforme che mettono in contatto famiglie e baby sitter. Ad esempio, secondo i dati forniti da Sitly.it, tra maggio e agosto 2020 le nuove registrazioni sulla piattaforma sono raddoppiate rispetto all’anno precedente, sia da parte dei genitori che delle babysitter, e sono oltre 2.000 i nuovi genitori registrati nelle settimane a cavallo tra agosto e settembre. Un trend simile viene rilevato in Spagna.

In tanti sembrano aver messo le mani avanti, ma ci chiediamo: quanto la ricerca si traduce poi in reali rapporti di lavoro? Si tratta solo di nomi da tenere in caldo per il famoso piano B, di cui parlavamo a inizio articolo? Un dato numerico non è reperibile, ma è importante riflettere sulla dinamica. Da mesi infatti SenzaFiltro monitora la situazione confrontandosi non solo con le pagine social gratuite (canali diversi rispetto ai portali), che incrociano domanda e offerta, ma anche con i genitori e le persone che prestano servizio come baby sitter, tra le quali figurano anche madri che nei mesi scorsi non riuscivano a farlo perché avevano lo stesso problema dei loro potenziali datori di lavoro: non sapevano a chi lasciare i propri figli.

Numerose poi le testimonianze di chi, nelle fasi 1 e 2, temeva di coinvolgere una figura esterna per paura del contagio. Molti si sono dirottati sui parenti, in particolare i nonni, categoria ritenuta più a rischio. C’è poi chi ha dovuto rinunciare al proprio lavoro: le donne sono state indubbiamente le più penalizzate.

Mantova, Confartigianato: “Chi vuole fare questo lavoro cerca una tutela contrattualistica”

Approdiamo sul territorio mantovano per fare il punto della situazione a ottobre inoltrato.

Segnaliamo subito che il Comune di Mantova ha attivato già da tempo un albo dedicato alla figura delle baby sitter. In questa occasione ci confrontiamo però con Confartigianato Imprese Mantova, che ha creato un registro per incrociare domanda e offerta tra famiglie e figure di baby sitter formate. L’ufficio paghe dell’ente eroga un servizio dal punto di vista contrattualistico, contrastando così il fenomeno del lavoro in nero.

Erika Medau, referente per l’area Welfare Aziendale all’interno di Confartigianato, ci parla innanzitutto del corso di formazione per baby sitter: “Abbiamo deciso di attivare un percorso di 32 ore gestito da docenti specializzati tra cui una psicologa, una pedagogista, un medico del pronto soccorso e una fisioterapista. Si è cercato di trattare le problematiche dei bambini piccoli, tenendo conto delle differenze tra la fascia 0-3 anni e 3-6 anni”.

Il corso, a pagamento, ha coinvolto 12 iscritti con schiacciante presenza femminile: 11 donne e un uomo. Indaghiamo anche le motivazioni che hanno portato all’iscrizione: “Diverse persone sono disoccupate e cercavano un’occasione di rientro nel mercato del lavoro con una tutela contrattualistica. Altre invece si sono iscritte per supportare una loro formazione universitaria legata sempre all’ambito dei bambini”.

Erika Medau segnala un ulteriore dato interessante: nei mesi scorsi il patronato di Confartigianato non ha ricevuto alcuna richiesta per il bonus baby sitter COVID-19. Forse perché le famiglie hanno gestito la pratica autonomamente? A questo punto viene naturale domandarsi se le richieste rispetto al registro aperto siano state numerose in questo periodo di incertezze: “Sinceramente mi aspettavo che fossero molte di più”, risponde.

Quali possono essere le motivazioni? “Credo che molto dipenda dalla riapertura delle scuole e dal fatto che per i lavoratori ci sia la possibilità di congedi con il 50% di retribuzione o di fare smart working. Inoltre, se il bambino è indisposto o se in famiglia ci sono sintomi sospetti, il genitore stesso viene invitato ad assentarsi dal lavoro per motivi precauzionali”.

I lavoratori autonomi non godono però di determinate forme di tutela. “Questo è vero: ci riferiamo solo alla parte dei dipendenti che, al di là dei congedi, preferisce evidentemente organizzarsi con altre figure della famiglia piuttosto che puntare su qualcuno di esterno”.

“I portali costano troppo” e non danno garanzie: le baby sitter si trovano col passaparola

Per capire meglio la situazione è opportuno chiedere la testimonianza di una famiglia coinvolta nella ricerca di baby sitter. Ne abbiamo raggiunta una, sempre del territorio mantovano.

Riavvolgiamo il nastro tornando alla scorsa estate, tra scuole chiuse da tempo e periodi non coperti dai centri estivi. “Abbiamo il dente avvelenato con i portali perché per mettersi in contatto con i profili occorre pagare un abbonamento anche di 15 euro al mese”, commenta una madre.

Una volta trovata la figura però non è necessario proseguire: “È vero, però mettendosi in contatto non sei automaticamente sicuro che questo porterà all’attivazione del rapporto di lavoro. Così sei costretto a cercare su più portali e la cifra diventa esagerata: non tutti possono permettersela”.

In diversi si sono organizzati con il fai da te di pagine social, oppure con il vecchio passaparola offline. “Quest’estate si rendevano disponibili educatrici o anche insegnanti per arrotondare lo stipendio. Le stesse però adesso non riescono, perché impegnate a scuola”, spiega la nostra intervistata. “Purtroppo c’erano anche diverse persone che lo facevano perché avevano perso il lavoro, improvvisandosi troppo su un servizio che richiede predisposizione e attenzione: io stessa ho dovuto cambiare figura per evitare ulteriori disagi. C’è stato anche chi sparava scorrettamente prezzi alti e differenti a seconda delle famiglie, pur coinvolgendo lo stesso numero di bambini e la medesima zona di lavoro”.

Emblematica infine la questione della sicurezza. Persino nella delicatissima Fase 1 si è ipotizzata l’adozione di questa figura, sicuramente necessaria, senza predisporre però un protocollo specifico a tutela sua e della famiglia destinataria del servizio. Tutto questo mentre venivano stoppati servizi educativi a livello domiciliare rivolti a bambini e adolescenti con disabilità intellettiva, come se il virus facesse distinzioni nel contagio.

“Noi ci siamo arrangiati con il fai da te”, spiega la nostra testimone. “Non abbiamo mai ricevuto nessun vademecum: ovviamente chi veniva era dotato di mascherina chirurgica”.

A proposito di cultura del lavoro: non sarebbe ora di tutelare davvero questa figura e i suoi destinatari con una formazione che non sia discrezionale e con un riconoscimento maggiore?

Photo credits: www.educaciontrespuntocero.com

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