Le geografie del cervello da nord a sud

Il tempo ha una consistenza diversa a seconda della latitudine? Forse: è una questione di lingua e di geografie del cervello. Vediamo in che senso.

Il tempo è una dimensione inafferrabile delle esperienze quotidiane. Non possiamo vederlo né toccarlo, tuttavia percepiamo chiaramente il suo flusso e adeguiamo il nostro comportamento di conseguenza. Quando balliamo, il nostro corpo si muove al ritmo musicale. Anche senza un orologio, possiamo rilevare quando l’autobus che stiamo aspettando è in ritardo”. Queste sono le prime frasi dell’articolo pubblicato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste.

Crono-mappe cerebrali: la geografia del
cervello

Secondo quest’interessante studio, nel nostro cervello esistono delle mappe del tempo, che permettono di percepire il trascorrere di minuti, giorni e anni. Per i ricercatori della Sissa, queste mappe sarebbero generate in un’area chiamata “corteccia supplementare motoria” con uno specifico meccanismo. Le zone anteriori di quest’area vengono attivate da stimoli di durata più breve, le parti posteriori da stimoli di durata più lunga; in questo modo la nostra mente decodifica il passare del tempo.

Esiste quindi una geografia del
cervello
che identifica delle crono-mappe in cui le parti che rispondono a
durate simili sono spazialmente vicine. Inoltre la qualità delle mappe è
legata alla percezione del tempo: più questa è accurata, migliore è la mappa
registrata. In conclusione alla ricerca rimane però aperta una questione:
il tempo così definito nel cervello è quello fisico e oggettivo o è il tempo percepito e individuale? E ancora: la mappa del tempo
nasce con noi oppure è determinata dall’esperienza e dall’educazione?

Eh già, ce lo chiediamo anche noi. Il festival del lavoro Nobìlita quest’anno è stato aperto con “Le geografie invisibili del lavoro” in cui si discuteva delle differenze culturali del lavoro tra nord e sud, reali o presunte, stereotipi oppure no.

E le geografie invisibili del tempo e della sua gestione? C’è una differenza reale tra nord e sud o si tratta solo di un pregiudizio?

Il tempo al nord, il tempo al sud

Un intrigante articolo di Business Insider delinea quali differenze ci siano nella percezione del tempo in varie parti del mondo, anche se il cervello, secondo gli studiosi, funziona allo stesso modo ovunque. È quindi la cultura a influire sulla definizione che diamo al tempo?

Per uno statunitense per esempio il tempo è realmente denaro. È un bene
prezioso e scarso, come il denaro, e come questo può essere sprecato o
risparmiato (si usa infatti il verbo to
spend
per entrambi). Il tempo per questa cultura scorre velocemente, e
quindi per poterne godere bisogna muoversi velocemente insieme a lui; se non
fai soldi e quindi non sfrutti bene il tempo non sei nessuno. E difatti gli
americani sono persone d’azione, mai inattive.

Il tempo viene rappresentato come una
freccia su linea retta
che da sinistra va verso destra e viene divisa in
parti: passato, presente e futuro. Il passato è finito mentre l’oggi si pianifica
per far funzionare il futuro.
Questa visione lineare del tempo si
riscontra anche in molti Paesi europei:
dalla Svizzera alla Germania, dall’Austria ai paesi Scandinavi, fino
all’Olanda. In tutti questi Paesi troviamo forti lavoratori, con poco tempo e
ben programmato, persone che pianificano, organizzano, perseguono azioni
concatenate, fanno una cosa alla volta.

Poi c’è il sud d’Europa, popolato
da persone loquaci e vitali, che organizzano il loro tempo e le loro vite in un
modo completamente diverso. A loro piace impegnarsi su più fronti; più cose
possono fare allo stesso tempo e più si sentono felici e soddisfatte. Non sono
molto interessate agli orari e alla puntualità; fanno finta di osservarli, ma
ritengono che la realtà contingente sia più importante di tutto il resto.
Nell’organizzare il loro tempo danno la priorità alle emozioni del momento e al
significato relativo di ogni incontro: lo scambio umano conta più di tutto il
resto, se questo non è concluso nessun’altra cosa, nessun’altra programmazione
è più importante.

Per gli abitanti del sud i punti di vista sul tempo possono essere diversi:
il momento contingente è tanto
importante quanto la visione d’insieme. Questo non vale per i popoli del nord,
per i quali la realtà è una sola, scientificamente provata dall’orologio e dal
calendario. La teoria e la programmazione possono pure coincidere in entrambe
le culture; quello che cambia è la realtà dei fatti, che influenza totalmente
la giornata dei popoli del sud, i quali vedono un continuo differire delle
attività sulla linea del tempo. Una linea del tempo completamente diversa da
quella programmata, e quindi totalmente sfasata rispetto a quelle dei popoli
del nord (che invece nel frattempo non hanno sgarrato e hanno mantenuto quanto
pianificato). Per questi ultimi il tempo è correlato all’orologio e al
calendario, segmentato e misurato in modo astratto
e oggettivo
. Nelle culture del sud invece il tempo è legato alla persona e
agli eventi; si tratta di un bene soggettivo che può essere manipolato e
plasmato indipendentemente da ciò che dice l’orologio.

Ho l’impressione che queste comparazioni tra etnie del nord Europa e i latini del sud sottolineino differenze nell’approccio al tempo che possono forse suggerire la forma di in un’ipotetica crono-mappa italiana.

La lingua del tempo

Veneti e lombardi stacanovisti e precisi, siciliani e napoletani socievoli e approssimativi? Piemontesi tempo organizzato e pugliesi tempo empatico? Forse si tratta solo di pregiudizi e stereotipi. O forse una diversa percezione del tempo c’è.

Secondo un altro studio pubblicato sul Journal of Experimental Psychology il nostro modo di parlare influenza il modo di intendere lo scorrere dei minuti e delle ore. Per esempio: le popolazioni del nord e gli anglofoni descrivono il tempo riferendosi a distanze fisiche (una pausa corta, un lungo evento) mentre i popoli latini lo indicano in termini di quantità e volume (una piccola pausa, un grande evento). 

Il mio tempo è scaduto” (my time is up) è un’espressione comune
tra gli anglofoni che devono accelerare il ritmo per riuscire a fare tutto, ma dai
latini, sprezzanti di questo atteggiamento sottomesso agli orari, viene usata solo
se la morte è imminente.
Nel dialetto dei miei paesi di origine (Veneto del nord) si direbbe “no son dà a ora”, “non ho fatto in tempo”,
per indicare che insomma non è che non volevo, ma che in qualche modo l’ora è
passata, un pochino è colpa sua.

Forse, quindi, analizzando la nostra
lingua
, riusciamo a trovare veramente che
relazione istauriamo con il tempo
e il suo trascorrere. Ed essendo l’Italia
così ricca di dialetti potremmo mappare che cosa avviene e se esiste una
differenza di approccio. Allora che modi di dire si usano nella vostra regione
o nel vostro paese per indicare il passare del tempo e la nostra relazione con
lui?

E se non avete tempo di scriverlo, almeno rispondetemi: “Me despiase: no gò tenpo!

Photo credits: Artmajeur

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