Lomellina, lotta nel fango da depurazione. Ambiente e occupazione tra i peggiori in Lombardia

Inquinamento nella provincia di Pavia: il termovalorizzatore che doveva creare occupazione lascia a casa 53 lavoratori, e i fanghi depurati sparsi nei campi costituiscono un risparmio costosissimo in termini di qualità della vita. Alcune testimonianze dal territorio.

Pavia è tra le province lombarde con minore occupazione: solo Sondrio e Cremona hanno una situazione peggiore a livello lavorativo.

*Dati Istat Tasso di Occupazione nelle province della Regione Lombardia anno 2019 e anno 2020.

Ma il triste primato della provincia di Pavia è quello rappresentato dal più alto tasso di inquinamento: in ogni classifica sulla qualità dell’aria il pavese è sempre ai primi posti, e una sentenza della Corte Europea del 2020 l’ha inserita nelle zone in cui più volte sono stati superati i limiti del PM10, cioè le cosiddette polveri sottili.

Secondo Mal’Aria, il dossier annuale di Legambiente sull’inquinamento atmosferico, a Pavia nel 2019 sono stati 115 i giorni di superamento dei limiti di PM10 e ozono. Il massimo previsto per legge è di 60 giorni.

*Fonte: Dossier Mal’aria di città 2019 – Dossier di Legambiente

Negli anni, in particolare in Lomellina – la zona al confine con il Piemonte il Milanese – si sono accumulati impianti altamente inquinanti: un termovalorizzatore e due acciaierie a Parona, una raffineria a Sannazzaro de Burgundi, una fabbrica dalle forti emissioni a Mortara. Negli ultimi anni anche l’agricoltura è caduta nell’abbaglio del guadagno facile, dal momento che gli agricoltori locali non esitano a dare i loro campi a disposizione delle società che si occupano di smaltimento dei fanghi da depurazione. Nell’ultimo decennio sono in tre quelle che hanno trasferito la loro sede in Lomellina.

Termovalorizzatore in Lomellina, più occupazione a costo della salute

Le amministrazioni comunali, quasi tutte, hanno ingaggiato una lotta a suon di ordinanze per limitare le zone di spandimento dei fanghi, ma spesso il TAR le ha annullate.

Furono raccolte 495.000 firme in 57 Comuni tra Pavia e Lodi per chiedere la limitazione degli idrocarburi da parte di Regione Lombardia, ma anche qui per avere una vittoria è stato necessario l’intervento del tribunale. La volontà politica, al di là dei discorsi sul turismo di prossimità e sui tour enogastronomici che dovrebbero attirare frotte di turisti in provincia, non sembra quella di un rilancio green e occupazionale della zona.

Eppure, a inizio anni Duemila, quando iniziò la trasformazione di una zona agricola in una discarica non c’era politico che non spiegasse come gli impianti inquinanti erano il prezzo da pagare per il rilancio occupazionale, che passava giocoforza da un modello pubblico privato. Come era allora il CLIR (Consorzio Lomellino Incenerimento Rifiuti), le cui quote erano possedute dai sindaci della zona.

Il compito di questo ente era di raccogliere rifiuti e portarli al termovalorizzatore di proprietà, costruito a Parona. Un modello pubblico- privato, che in un certo senso avrebbe potuto anticipare le multi-utility come l’attuale A2A. Per il piccolo centro di Parona nell’immediato rappresentò una svolta: contributi a pioggia, terreni venduti al CLIR, tasse azzerate e un inceneritore dove i paronesi lavoravano e che portava un notevole indotto. A breve arrivarono anche un multisala e un centro commerciale.

Debiti, consulenze e sprechi: così il CLIR abbandona i suoi 53 lavoratori

Nel giro di meno di vent’anni, come nella favola di Re Mida, ciò che l’impianto tocca non si trasforma più in oro.

La crescita esponenziale della differenziata ha ridotto la quantità di rifiuti bruciati dal termovalorizzatore (si viaggia abbondantemente sotto le 380.000 tonnellate consentite all’anno) che negli ultimi anni ha fatto ricorso più volte alla cassa integrazione.

L’impianto, oggi di proprietà di Lomellina Energia (controllata di A2A), per essere remunerativo deve lavorare a pieno regime, e così è costretto a smaltire rifiuti provenienti da altre regioni. O a diversificare, creando un impianto per l’essiccazione dei fanghi, la cui autorizzazione è stata richiesta a Regione Lombardia.

Mentre si aspetta l’arrivo del nuovo impianto il CLIR, consorzio da cui tutto è partito (poi trasformato in S.p.A.), ha iniziato il percorso verso la liquidazione. Nato per incenerire i rifiuti, negli ultimi anni il CLIR si è limitato a effettuare la raccolta dell’immondizia nei Comuni soci, che votavano le tariffe quasi sempre al di sotto dei prezzi di mercato.

Nel 2020 si è scoperto un buco da sei milioni di euro, e la società sta per portare i libri in tribunale. In tutto c’erano 53 dipendenti, alcuni dei quali visti i chiari di luna hanno cambiato lavoro. In 23, che fino alla fine hanno creduto alle rassicurazioni della politica, hanno occupato la sede chiedendo di continuare a lavorare, ma con il blocco dei fidi da parte delle banche, vista la richiesta di liquidazione, non è stato possibile pagare i fornitori ed effettuare il servizio.

I Comuni, pur rimanendo soci, hanno affidato a privati la raccolta rifiuti e i lavoratori hanno visto calpestato anche l’articolo 6 del contratto nazionale, quello che dice che anche se cambia la società che gestisce, va garantito il lavoro dell’operativo.

«Nessuno dei sindaci – dice Riccardo Panella della CGIL Pavia – quando il servizio del CLIR è venuto meno negli affidamenti a ditte private della raccolta rifiuti ha voluto inserire la clausola del passaggio dei lavoratori. Abbiamo richiesto gli ammortizzatori sociali, qui si lasciano per strada 23 famiglie. Ma non è l’unico problema: stiamo parlando di un patrimonio pubblico che andrà perso. Si sta regalando la raccolta dei rifiuti ai privati, che spesso applicano altri contratti meno vantaggiosi rispetto a quelli che vengono utilizzati nel pubblico. In alcuni casi i lavoratori che passano ad aziende private, come è capitato ad alcuni di quelli del CLIR, si trovano a guadagnare anche 200 o 300 euro in meno rispetto al pubblico.»

Cambia l’aria, ma in peggio: basta rifiuti, arrivano i fanghi

Oggi la raccolta di rifiuti sembra un business non più predominante in Lomellina, anche perché le province di Pavia, Lodi, Monza e Como negli ultimi anni sono state travolte dal problema degli incendi delle discariche, dietro le quali si celavano anche gli interessi della malavita.

Da qualche anno il nuovo obiettivo è lo smaltimento dei fanghi. Niente impianti né ciminiere, costi bassissimi e agricoltori disponibili a spargerli sui propri campi. Anche se diversi studi confermano che sì, hanno effetto concimante, ma che sul lungo periodo possono portare a un impoverimento del terreno. Eppure una piccola azienda agricola di 10.000 metri quadrati con i fanghi arriva a risparmiare circa 10.000 euro in concimi.

Insomma un business allettante che negli anni è stato normato, anche se per stessa ammissione delle Forze dell’ordine è quasi impossibile controllare la qualità dei fanghi sparsi e se siano in regola. A farne le spese sono i cittadini, che sentono fastidiosi odori, che in provincia di Pavia sono diventati oggetto di segnalazioni ad ARPA, carabinieri e anche alla procura. Segnalazioni da cui, però, non è mai scaturita nessuna indagine.

Conati di vomito, diossina ed esposti nel vuoto: le proteste dei cittadini muoiono in archivio

«Mi sono trasferita da Milano in un paesino vicino a Garlasco otto anni fa. Purtroppo ho potuto fare direttamente esperienza dei lezzi andandoci a sbattere con il naso», dice Gaia Colombi. «Tre anni fa ho presentato un esposto alla procura di Pavia dopo diverse notti che mi svegliavo a causa dei forti lezzi maleodoranti. Ho richiesto anche ad ARPA di inviarmi le analisi di acqua e terreno, ma senza avere un effettivo riscontro. L’esposto presentato a luglio è stato archiviato, e la comunicazione mi arrivò qualche giorno prima di Natale».

«Essendo una sportiva, mi capitava spesso di andare a correre nei campi; un giorno dovetti tornare indietro a causa dei conati di vomito dovuti ai lezzi. Ho anche lamentato, nei periodi di forti odori, giramenti di testa e oppressione toracica. Essendo una persona sana e attenta al mio benessere, sono stati sintomi che non sono passati inosservati. Tuttavia, essendo sintomi generici è facile da parte delle istituzioni non ritenerli validi per fare approfondimenti».

Ma non è l’unica in questi anni ad aver richiesto l’intervento della magistratura. «Ho scritto più volte – dice Enrico Canna – alla procura della Repubblica segnalando la situazione di Parona, dove a causa della diossina dal 2011 esiste una delibera che vieta il consumo del pollame e delle uova prodotte in loco. Ci sono sempre state archiviazioni nonostante la Comunità Europea invitasse l’Italia a fare delle indagini. Uno dei motivi delle archiviazioni è che io non sono parte lesa, perché non sono residente a Parona. Infatti abito a circa 15 chilometri».  

I primati della provincia di Pavia, quindi, sono poco invidiabili, ma non sembra che politica e giustizia stiano facendo granché per intaccarli.

Photo credits: laprovinciapavese.gelocal.it

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