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Malattie lavoro correlate. Cioè?

Malattie lavoro correlate. Cioè?

Il manager come il medico di famiglia: le malattie lavoro correlate colpiscono più lavoratori di quanti si pensi. Si rischia anche la morte. Come agire?

Dying for a paycheck. È il titolo di un libro scritto da Jeffrey Pfeffer, professore di Organizational Behavior presso la Graduate School of Business, Stanford. 

Qualche mese fa, con lo Stanford Club Alumni Italia, lo abbiamo ospitato per presentare il suo libro dal titolo autoesplicativo. Non che il fenomeno dello stress e delle malattie lavoro correlate fosse una novità, per me; ma aver visto insieme nello stesso momento tutta una serie di dati (che in parte fedelmente ripropongo) mi ha fatto guardare a questo tema con occhi diversi, e con quel senso di responsabilità a cui una persona che ha fatto il manager per molti anni della sua vita – come me – non può proprio sottrarsi. 

Negli Stati Uniti il tema delle malattie lavoro correlate sta avendo una grandissima attenzione. Anche perché, se osservato da un punto di vista strettamente economico, in un Paese dove domina un sistema di sanita privata è decisamente rilevante. 

L’86% delle spese sanitarie annuali (2.700 miliardi di dollari) è destinato a persone con malattie croniche e con patologie di salute mentale. Le perdite totali associate a malattie croniche dal 2010-2030 sono 16 trilioni di dollari per la Cina, 5,7 trilioni di dollari per il Giappone e 2,5 trilioni di dollari per la Corea del Sud. Le malattie croniche causano due terzi dei costi sanitari canadesi. Diciamo che se non fosse sufficiente porsi il problema da un punto di vista esclusivamente etico, economicamente ha una certa rilevanza. Insomma: It’s not just the right thing to do, it’s also good for the business

La premessa iniziale del suo intervento si basa su quattro principi:

  1. Ogni organizzazione deve considerarsi come un’azienda del settore sanitario, a causa degli effetti che gli ambienti di lavoro hanno sulla salute e a causa del pagamento per l’assistenza sanitaria (negli Stati Uniti).
  2. Il posto di lavoro è una fonte della crisi dei costi sanitari in tutto il mondo. Pertanto, lo stesso luogo di lavoro è da considerarsi un problema di salute pubblica.
  3. Le pratiche di management possono generare un enorme costo su persone, aziende e società. 
  4. I leader possono fare un’enorme differenza costruendo luoghi di lavoro salutari.

Lavoratori patologici: le malattie lavoro correlate

Sono stato di fronte a mille amministratori delegati l’altro giorno a San Antonio, in Texas, e ho detto: “Sei la causa della crisi sanitaria, perché il 74% delle malattie è cronico. La più grande causa di malattia cronica è lo stress. E la più grande causa di stress è il lavoro.

Robert Chapman, CEO di Barry Whemiller

Dunque niente di nuovo nell’appurare che la più grande causa di stress è il lavoro, ma va detto che lo è ancor di più la perdita del lavoro. Secondo Eliason e Storrie (2009), il rischio totale di mortalità aumenta del 44% nei primi quattro anni dopo la perdita del lavoro, e registra un aumento pari al doppio nei suicidi e nella mortalità alcol-correlata. Secondo un’indagine realizzata da Strully, essere licenziati aumenta le probabilità di generare problemi di salute dell’80% 

Quindi il lavoro genera stress e lo stress genera patologie, ma la mancanza di lavoro genera uno stress superiore e aumenta ancor di più i rischi di generare malattie. 

Il manager come il medico di famiglia 

Secondo la Mayo Clinic, la persona a cui si riporta al lavoro è persino più importante per la propria salute del medico di famiglia. Delle molte metafore sui manager, quella del manager come il medico di famiglia non l’avevo mai sentita; ma sapere che quando gestisci risorse puoi essere più influente del medico curante sul benessere delle tue persone e sulla loro salute fa un certo effetto. 

L’organizzazione mondiale della salute stima 850.000 morti in tutto il mondo a causa dei rischi professionali incluso lo stress. Secondo dati OSHA, due milioni di persone all’anno sono vittime di violenza sul posto di lavoro (e si ritiene che questo numero sia sottostimato). Si stima che in Cina almeno un milione di persone all’anno muoia di troppo lavoro. Negli Stati Uniti, invece, si stimano circa 120.000 morti in eccesso all’anno (che renderebbero il posto di lavoro la quinta principale causa di morte). Non è diversa la situazione del vecchio continente: secondo un sondaggio della Gallup, nell’efficientissima Germania la percentuale di lavoratori esaurita o prossima all’esaurimento è altissima: 4,1 milioni di tedeschi hanno sperimentato stress mentale o emotivo sul posto di lavoro, e il 19% del totale ha sofferto o soffre di una malattia psichiatrica a esso correlata. 

In Italia, secondo l’indagine WorkForce Europe 2108 condotta da ADP, il 40% dei lavoratori si sente così stressato che vorrebbe cambiare lavoro, e il 16% pensa che la sua azienda non si interessi minimamente al suo benessere psicofisico. 

Stress, prestazioni e problemi di salute 

Nel 2008, un sondaggio Watson Wyatt (ora Towers Watson) ha rilevato che il 48% delle organizzazioni ha affermato che lo stress legato al lavoro ha influito sulle prestazioni aziendali, ma solo il 5% ha dichiarato che stavano intraprendendo qualche azione per affrontare I problemi di stress. 

Se diventa quindi anche un tema di business e di performance, che ruolo possono avere per esempio le business school, che formano e preparano i manager di domani? Non pervenute, direi. Dame Carol Black & Cary Cooper ha intervistato 100 scuole di business in UK per vedere se ci fosse del materiale sulla salute dei dipendenti e il benessere, in uno dei loro corsi. La risposta: “Un sonoro no“. 

Diversi studi, inoltre, mostrano che il consumo di alcool, l’uso di farmaci e il fumo sono tutti connessi allo stress. 

“Nessuno si stupirà nell’apprendere che lo stress rende le persone più propense a cercare conforto in droghe o cibo (si chiama “comfort food” per un motivo). Ora abbiamo molte ricerche che rendono definitiva la connessione tra stress e dipendenza”, ha dichiarato lo psichiatra della Cornell University Richard Friedman.

Anche nel caso degli straordinari e della produttività i dati non sorprendono più di tanto, ma sconfessano il principio per il quale più si lavora e più aumenta in modo lineare la produttività. Il National Institute for Occupational Safety and Health (2004) ha riferito che in 16 dei 22 studi, gli straordinari erano associati a un peggioramento della salute generale, a un aumento dei tassi di infortunio, a più malattie o a un aumento della mortalità. Lo straordinario è stato associato a un aumento di peso malsano in due studi, a un aumento del consumo di alcol in due studi su tre, a un aumento del fumo in uno studio su due e a un peggior rendimento del test neuropsicologico in un altro studio. Invece, da uno studio condotto su 18 diverse industries negli Stati Uniti è emerso che l’uso di ore di straordinario riduce la produzione media oraria lavorata per quasi tutte le aziende del campione. 

Un Grafico OCSE 1990-2012 ha verificato la correlazione delle ore lavorate per persona e la relativa produttività, arrivando alla conclusione che la produttività è più alta quando le persone lavorano meno ore. Dall’osservazione di 18 paesi OCSE dal 1950 si è poi dimostrato che un aumento in orario di lavoro è sempre stato accompagnato da una diminuzione in produttività per ora. 

Che cosa fare, dunque? 

Norme e responsabilità

Alla luce di questi numeri il professor Pfeffer si chiede perché non si intervenga da un punto di vista normativo, visto che, se gli effetti sulla salute del fumo passivo sono considerati sufficientemente ampi da giustificare l’intervento del legislatore, non si capisce perché non si debba intervenire sulle norme anche in questo caso, dato che i risultati della loro meta-analisi mostrano che lo stress sul posto di lavoro aumenta le probabilità di gravi problemi di salute all’incirca nella stessa misura dell’esposizione al fumo passivo. Conclude poi invitando tutti a una presa di consapevolezza e di responsabilità: “Bisogna dare priorità alla salute umana, al benessere e alla sostenibilità”.

Così siamo passati dallo slogan degli anni Settanta “lavorare meno, lavorare tutti” al più recente “lavorare meno ma lavorare smart” di Morten T Hansen in Great at Work. Ora, forse, dovremo passare al “vivere bene e lavorare meglio”. Non può essere sempre e solo una questione di soldi; la vita umana e il benessere sono sacri.