Morte di un agente di commercio

Una via di mezzo tra un impiegato e un imprenditore privato, ma con nessun dipendente. Un piccolo esercito: sono gli agenti di commercio, che in Italia, secondo FN USARCI (Federazione Nazionale Unione Sindacati Agenti Rappresentanti Commercio Industria), nel 2019 contano più di 240.000 addetti. Rappresentano il ruolo di intermediatore per antonomasia tra azienda e cliente, […]

Una via di mezzo tra un impiegato e un imprenditore privato, ma con nessun dipendente. Un piccolo esercito: sono gli agenti di commercio, che in Italia, secondo FN USARCI (Federazione Nazionale Unione Sindacati Agenti Rappresentanti Commercio Industria), nel 2019 contano più di 240.000 addetti. Rappresentano il ruolo di intermediatore per antonomasia tra azienda e cliente, facendo da trait-d’union nel migliore dei casi, e nel peggiore rappresentando chi si trova tra l’incudine e il martello: l’azienda (o le aziende) di riferimento e il cliente.

Non hanno uno stipendio fisso, sia che lavorino per una sola azienda (i monomandatari) sia che rappresentino diverse aziende (i plurimandatari); gli agenti di commercio vivono di sole provvigioni di vendita. In soldoni: se vendi, guadagni. Se non vendi, amen.

Sono davvero degli imprenditori senza esserlo, perché se da una parte dipendono dall’azienda che rappresentano, dall’altra il rischio d’impresa è al 100% anche sulle loro spalle. Infatti l’azienda, fino a quando non incassa l’ordine, non procede al pagamento delle provvigioni. E se il cliente non paga? Nonostante l’ordine, l’agente non incassa nulla.

 

La solitudine dell’agente di commercio, stretto tra Stato e pandemia

Ma non è stato sempre così. Entriamo in un settore specifico come quello dell’HoReCa, acronimo per definire il settore dell’Hotellerie, Restaurant and Cafè: “Prima era diverso, l’80% ci veniva pagato al conseguimento dell’ordine e il restante 20% quando l’azienda incassava la fattura. Poi le cose sono cambiate come sono oggi, la nostra provvigione viene pagata nel momento in cui l’azienda incassa la fattura totalmente. Con questo sistema però le aziende hanno scaricato il rischio d’impresa su di noi”, afferma Marco, che lavora nel Lazio e ha una solida e lunga esperienza nel settore.

Nel settore dolciario, per esempio, esistono campagne di prenotazione: si prendono gli ordini per i prodotti che andranno in consegna a settembre/ottobre e si deve calcolare che, dopo 60 giorni dal ricevimento della merce, l’assegno solitamente verrà ritirato dallo stesso agente nel punto vendita: “Noi da settembre del 2019 fino allo scorso febbraio abbiamo lavorato per la campagna di Pasqua, che poi è andata a farsi benedire, senza avere nessun tipo di riscontro dal punto di vista delle provvigioni che si sarebbero concretizzate per giugno, quando sarei andato a incassare la mia fattura. Ora non ho niente da incassare perché, causa pandemia, l’80% dell’ordinato verrà annullato con il rischio da parte di noi venditori di aver lavorato a vuoto. Senza contare poi l’azienda, che dovrà emettere note di credito a favore del cliente; a quel punto la parte che andremo a incassare si restringerà in maniera ancor più significativa”.

L’Enasarco o altre associazioni vi hanno fornito supporto? “Gli aiuti erano a favore dei redditi molto bassi, e per ottenerli avrei dovuto dimostrare anche di aver avuto delle perdite di almeno il 30% nell’ultimo mese. Ma per noi è impossibile, perché paradossalmente nei primi mesi dell’anno ho incassato il 70% delle provvigioni relative alle fatture andate a buon fine, che si riferiscono agli ordini fatti tra novembre e dicembre del 2019, quindi per me non è dimostrabile poiché nel lasso di tempo che chiede il governo io non ho subito perdite a livello di fatturato”.

 

Paga, non paga: aziende in difficoltà e provvigioni ferme

Il problema per gli agenti di commercio si presenterà nel periodo estivo: se a gennaio, febbraio e marzo si è proceduto con gli ordini, una volta incassata la fattura, le provvigioni verranno pagate dall’azienda intorno al mese di luglio. Ma l’azienda incasserà la fattura dal cliente? 

Questo periodo – che ha coinciso per buona parte con il lockdown – causerà una perdita reale per gli agenti di commercio proprio in coincidenza dei mesi estivi, e con un doppio danno: il periodo estivo, che non viene riconosciuto “critico” come quello che si è verificato durante la pandemia, e l’impossibilità a ricevere gli aiuti del governo. Ora ci si ferma in attesa della campagna di settembre.

Le spese vive e i costi fissi ci sono tutti, le variabili indipendenti anche. E se prima del mese di marzo e del successivo lockdown da sempre si pianificava e si lavorava su una programmazione annuale divisa in due campagne di vendita, adesso si rischia di vanificare l’intero anno di lavoro. Gli agenti di commercio sono stati lasciati a loro stessi, per chi vive di provvigioni, con il rischio oggettivo di trascorrere tutto il 2020 senza incassare nulla per poi pagarne le conseguenze nel prossimo futuro, sperando che l’emergenza sia definitivamente alle spalle.

 

Mesi di lavoro svaniti nel nulla: “Ci sentiamo poco considerati”

In Italia ci sono circa 140.000 bar e bisogna cercare di ripartire anche con le loro attività, così come con quella degli agenti di commercio: è il rappresentante di commercio che “coccola” i clienti acquisiti e cerca di procacciarne di nuovi, ma si è ritrovato nel mezzo del lockdown con bar, pasticcerie e gelaterie chiuse, mantenendosi in contatto telefonicamente, anche con videochiamate: “Ci si confortava a vicenda”.

Gennaro segue i suoi clienti del settore HoReCa in tutta la Lombardia da più di vent’anni. Come detto, in estate, che dovrebbe rappresentare il momento ideale per ricaricare le pile e ricominciare con la difficoltosa “campagna di settembre”, la coperta diverrà improvvisamente corta: “Quello che ho potuto bloccare, l’ho fatto. Ma tra leasing auto e altri finanziamenti accesi se le entrate non ci sono diventa difficile riuscire a far fronte a tutte le spese vive che mensilmente bisogna affrontare. L’importante è comprendere e rendersi conto che, dove ci sono i clienti che non sono riusciti a vendere tutto quello che avevano in stock, occorre riconoscergli la perdita per intero, e questo ovviamente inciderà sui nostri guadagni sia nell’immediato che nel futuro”.

“Lavoriamo con una programmazione annuale, in base alle campagne di vendita: durante il periodo prima delle festività pasquali partiamo con il catalogo autunno-inverno. Tutto quel periodo è svanito, letteralmente: si va dal cliente e insieme quantifichiamo l’invenduto, programmiamo le consegne per settembre e dicembre, e in quel momento riconosciamo l’importo del reso dell’invenduto, che noi in gergo chiamiamo bonifico.”

Bar e pasticcerie hanno sofferto maggiormente rispetto alle panetterie o agli alimentari, ma anche gli spacci dolciari si sono trovati in estrema difficoltà. “Le aziende hanno dato la disponibilità al cliente, ma il supporto per i propri agenti è pari a zero: ottenendo le provvigioni sull’incassato, se il cliente ci paga subito, bene; se invece gli vengono concesse delle dilazioni di pagamento noi incasseremo a fine anno, con diversi mesi scoperti e senza alcuna copertura economica”.

Ci sentiamo poco considerati: gasolio da mettere nell’auto, le rate del leasing che non conviene bloccare, dobbiamo andare a sollecitare i clienti per le ordinazioni, considerato che nel momento del lockdown la loro idea non era quella di ordinare, ma di limitare i quantitativi che di solito venivano fatturati. C’è stato un calo di almeno il 70%. Nel periodo del lockdown si chiedeva di fare l’ordine con il presupposto che, se le cose fossero andate male, l’ordine poteva essere annullato. Resi e note di credito influiranno anche sulle mie provvigioni, senza contare che se la percentuale di insoluti prima dell’emergenza era nell’ordine del 25%, con l’emergenza è salita al 50%, e anche la merce non pagata dal cliente incide sulla nostra mancata provvigione”.

 

“La merce invenduta donata in beneficenza, ma verso di noi sono mancati i gesti solidali”

Luca ha 50 anni, lavora come capo area nel settore Food e copre le regioni del Sud, in particolare Campania, Calabria e Sicilia. “Consideriamo un fatto: se la mia azienda ha quasi 14.000 clienti su scala nazionale, circa l’85% dei miei clienti a partire dall’11 marzo ha chiuso la propria attività per il lockdown. Due danni in uno: durante l’emergenza ci siamo ritrovati alla vigilia della Pasqua avendo consegnato più del 60% dei prodotti. E dal primo aprile la campagna gelateria ha subito un contraccolpo, dato che si è fermato tutto: i nostri clienti hanno perso tra l’80 e l’85% del loro fatturato”.

“Abbiamo il 63% dei nostri agenti che è plurimandatario, e il 47% è monomandatario. Abbiamo vissuto dentro a un grande punto di domanda senza avere certezze per il futuro, perdendo tutte le provvigioni che riguardavano la campagna di primavera, senza contare i problemi reali degli agenti che si sono ritrovati senza alcuna copertura economica. Abbiamo cercato di dare un aiuto ai nostri agenti e inoltrato delle richieste al nostro amministratore delegato e al direttore finanziario, per sostenere il nostro team di vendita con aiuti mensili di 500€ per un totale di 1.500€ da restituire a partire dal gennaio del prossimo anno”.

Ma il bar che ha chiuso per due mesi che cosa farà con la merce invenduta? “Durante il coronavirus ci siamo preoccupati insieme all’azienda di comunicare ai clienti che erano chiusi – l’85% di cui dicevo – che erano autorizzati a donare la merce a enti solidali, come parrocchie ed enti di beneficenza.” Che cosa ti ha colpito particolarmente della gestione dell’emergenza nel tuo settore? “La cosa che mi ha colpito maggiormente è stata quella di non aver visto da parte dei vertici aziendali gesti di solidarietà concreta, mentre ne arrivavano continuamente da chi si trova alla base della piramide. In passato ho visto con i miei occhi grandi aiuti economici da parte dei top manager, mentre nel periodo del lockdown sono mancati i gesti simbolici, quelli autentici. Oggi ce ne sono molti meno, purtroppo”.

 

Sconforto e rischio d’impresa: la lunga crisi degli agenti di commercio

Fabio lavora da diversi anni come agente monomandatario nella zona di Napoli, sempre nel settore HoReCa: “Le diverse chiusure per il lockdown ci hanno dato una bella mazzata. Il problema delle provvigioni incassate nei mesi di febbraio, marzo e aprile sono quelle del 2019, ed è ancora da dimostrare la perdita attuale subita. Per avere un aiuto per i mancati guadagni siamo fuori dal periodo richiesto dal governo, senza contare che con i mesi estivi perderemo tutta la campagna di Pasqua e il post-COVID. Con la riapertura al pubblico dei miei clienti c’è un clima di sconforto sulla ripartenza, e sulle modalità con cui ci si riuscirà a lasciare alle spalle i danni economici causati dalla pandemia. Consideriamo che il cliente comprerà di meno, e speriamo soprattutto che resistano e che non abbandonino la nave, decidendo di chiudere la propria attività. Personalmente con il lockdown ho deciso di bloccare il pagamento del leasing dell’auto, almeno una boccata d’ossigeno anche per me. Poi si vedrà”.

Non sono dipendenti ma è come se lo fossero, soprattutto se parliamo degli agenti monomandatari che lavorano per una sola azienda. Non sono imprenditori, ma pur non essendo tali il rischio d’impresa è al 100% a loro carico. A sentire loro non sembrano avere interlocutori sindacali o politici a cui rivolgersi, e rimangono sempre nell’oblio del loro stesso destino incerto, che parte dalla genesi della loro professione: né dipendenti, né a capo di un’impresa; sostanzialmente soli.

Giuseppe, con oltre 30 anni di esperienza in ambito commerciale nel comparto Food (marketing, trade marketing e vendite), e con una spiccata passione per il cioccolato fondente, afferma: “Gli agenti si sono ritrovati soli a combattere non solo con l’emergenza, ma anche con le difficoltà economiche oggettive causate dalle mancate entrate, salvaguardate in parte dagli acconti messi a disposizione dell’azienda, che comunque andranno restituiti a partire dall’inizio del prossimo anno. Un’altra strada era possibile e, forse, eticamente doverosa.”

In uno scenario come questo, ci auguriamo che Morte di un commesso viaggiatore rimanga solo il titolo dell’opera di Arthur Miller.

 

 

Photo credits: www.teatrostabileveneto.it

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