Musei di impresa, il turismo che avanza

Sofisticati strumenti di content marketing, i musei di impresa permettono alle aziende di raccontare la propria storia e identità, creando valore aggiunto per loro stesse e il territorio di cui fanno parte. Destinazioni alternative all’interno di un turismo culturale in costante fermento, queste strutture oggi identificano però anche spazi per la produzione, divulgazione e formazione […]

Sofisticati strumenti di content marketing, i musei di impresa permettono alle aziende di raccontare la propria storia e identità, creando valore aggiunto per loro stesse e il territorio di cui fanno parte. Destinazioni alternative all’interno di un turismo culturale in costante fermento, queste strutture oggi identificano però anche spazi per la produzione, divulgazione e formazione del saper fare italiano.

 

Produttori di cultura

Simbolo del legame tra impresa e cultura è il riconoscimento letterario più prestigioso d’Italia, il Premio Strega, la cui 73esima edizione si è conclusa il 4 luglio scorso. A fondare il Premio con Maria e Goffredo Bellonci, infatti, fu Guido Alberti, proprietario nel 1947 di Strega Alberti Benevento.

L’investimento in cultura fa parte del Dna dell’azienda di liquori e dolciumi che oggi rivive nello Spazio Strega, «situato all’interno dello storico stabilimento, in uno snodo strategico e di passaggio; il museo dove il visitatore vede la distilleria in funzione, ammira la sala dedicata al riconoscimento letterario e quella dedicata alle imitazioni, con oltre 350 bottiglie contraffatte di Liquore Strega», racconta Emanuele Sacerdote, membro del Cda di Strega Alberti. «Meta di un turismo industriale che sta crescendo (accogliamo circa 3.000 visitatori all’anno), il museo è per noi anche un luogo di incontro, sede di eventi dell’azienda (ad esempio in relazione al Premio Strega, come la presentazione dei dodici libri in concorso), di riunioni con la forza vendita, di appuntamenti di formazione (per i bartender) o istituzionali che possono coinvolgere l’Università del Sannio, che ha sede proprio a Benevento».

Per Sacerdote la propensione allo storytelling è un elemento fondamentale per l’azienda, nata nel 1860 e «caratterizzata da un’elevata densità narrativa che merita di essere conosciuta, anche per il contributo che Strega Alberti ha dato alla cultura e alla storia dell’Italia. Ben vengano altri musei di impresa che ricostruiscano da prospettive diverse la storia produttiva dell’Italia».

 

Ingresso del Museo Strega, Benevento.

 

Uno dei prodotti di Strega Alberti è il liquore alla liquirizia realizzato con un’altra eccellenza imprenditoriale del Sud, la fabbrica di liquirizia Amarelli: una collaborazione che consacra due aziende storiche, dotate non a caso di due musei di impresa.

Aperto nel 2001, il Museo della LiquiriziaGiorgio Amarelli” è oggi un modello di riferimento nell’ambito dei musei di impresa italiani. In 18 anni di attività il museo ha maturato il know how per attrarre 60.000 visitatori l’anno (statistiche Touring Club), secondo solo alla Ferrari, e per affermarsi come «piccola impresa culturale che genera un milione di euro di ricavi e impiega 14 persone nel periodo di massimo afflusso, in grado di autosostenersi economicamente», spiega Fortunato Amarelli, amministratore delegato della plurisecolare Fabbrica di Liquirizia di Rossano Calabro. «Abbiamo ideato il museo a partire dall’idea, che spesso ancora manca in Italia, di un’accoglienza in azienda mirata a costruire un rapporto di appartenenza e fidelizzazione con il cliente, che diventa il primo promotore del marchio e dei suoi valori».

 

La Galleria del Museo Amarelli, Rossano Calabro (CS).

Contenitore culturale aperto al territorio, che ospita nell’Auditorium “Alessandro Amarelli” circa settanta eventi all’anno, molti dei quali gratuiti e organizzati da associazioni non-profit, il Museo della Liquirizia è scelto dalle aziende come luogo per ospitare convention e meeting delle proprie reti vendita in Calabria e zone limitrofe, beneficiando dei servizi di accoglienza e catering assicurati dalla struttura museale.

«Abbiamo accolto una lezione del Master in marketing dell’Università della Calabria e ospitiamo le assemblee annuali e gli incontri delle associazioni di cui facciamo parte, come l’Unione Imprese storiche italiane (Uisi). Inoltre, delegazioni di università italiane e straniere (Palermo, Bocconi, Loyola University di Chicago) interessate ai temi del family business vengono in Calabria per studiare i nostri passaggi generazionali e visitano il Museo. Di recente, la Kellogg School of Management ha condotto in Calabria un gruppo di imprenditori statunitensi impegnati in un percorso di formazione sulle storiche aziende familiari in tutta Italia.»

L’esperienza del Museo Amarelli ha aiutato altre realtà a fare della propria storia e della cultura aziendale un elemento distintivo e di competitività. «Mi piacerebbe – conclude Fortunato Amarelli – che nella nostra regione nel mondo dell’agroalimentare ci fossero musei di impresa per far comprendere meglio le peculiarità del territorio, aumentare la percezione della qualità dei prodotti calabresi e la loro forza in termini di riconoscibilità dei brand».

 

Musei di impresa e mestieri

La dimensione formativo-professionale è un aspetto che sempre più completa e arricchisce il profilo dei musei di impresa. È il caso di MUMAC – Museo della Macchina per Caffè di Gruppo Cimbali, situato nell’headquarter a Binasco, alle porte di Milano, che ha ospitato gruppi universitari, master, eventi e presentazioni aziendali. La MUMAC Academy al suo interno, inoltre, forma professionisti e coffee lovers, e promuove la cultura del caffè; è a disposizione delle aziende per l’organizzazione di percorsi formativi e teambuilding ad hoc.

L’Accademia di Gruppo Cimbali opera come centro accreditato secondo i requisiti della Speciality Coffee Association, avendo un Training Centre per l’attività pratica e teorica e una Sensory Room dedicata a degustazioni, sessioni di assaggio alla cieca e processo di lavorazione del caffè: nel 2018 sono state formate oltre 1600 persone nell’arco di circa 300 giornate. Il 70% della formazione si concentra sulla professione del barista e sull’espresso; il restante 30% su altri profili quali roaster, assaggiatore e importatore di caffè.

Una delle sale al MUMAC, Museo della Macchina per Caffè a Binasco (Milano).

 

Laboratori alla MUMAC Academy: gli aromi che si possono trovare nel caffè. Foto Archivio MUMAC.

 

C’è poi chi perpetua un mestiere in estinzione, insegnando l’arte della stampa con caratteri vintage in piombo e legno, la calligrafia e la legatoria creativa. È il Museo della Stampa e del Design Tipografico Tipoteca Italiana, gestito dall’omonima fondazione privata voluta dai fratelli Franco, Silvio, Mario e Carlo Antiga, titolari di Grafiche Antiga, diventato un punto di riferimento per il mondo della comunicazione a livello internazionale.

Del resto a Cornuda, in provincia di Treviso, non si arriva per caso, ma mossi dalla volontà di studiare, recuperare e far rivivere l’eredità artistica della tipografia italiana e delle sue aziende storiche. Questa officina contemporanea non organizza solo mostre, incontri e convegni, ma attività didattiche (coinvolti circa 10.000 studenti all’anno di ogni ordine e grado, provenienti da tutta Italia e non solo), laboratori e workshop mensili.

«La stamperia è un luogo di lavoro per grafici, designer, docenti del mondo della comunicazione e privati, che con la consulenza del personale interno possono visionare gli archivi di caratteri e stampare in letterpress i loro progetti editoriali e di design», spiega Michela Antiga, responsabile comunicazione di Tipoteca e Grafiche Antiga. «Tipoteca è frequentata a livello nazionale e internazionale da circa 1000 professionisti all’anno per attività di studio e ricerca, formazione pro-fessionale, realizzazione di progetti di comunicazione, team building e turismo culturale».

Ogni due anni, Tipoteca è sede di un workshop aperto a designer di tutto il mondo promosso da Legacy of Letters di New York, che ha annoverato tra i guest designer Luca Barcellona, Tony Di Spigna, Alan Kitching ed Erik Spiekermann. Preziose sono le collaborazioni con università italiane e straniere, scuole private di design, centri di ricerca sulla comunicazione come Fabrica, musei come l’Hamilton Wood Type Museum di Two Rivers del Wisconsin (dedicato ai caratteri in legno). «Tipoteca – sottolinea Michela Antiga – mette a confronto e favorisce il dialogo tra professionisti di campi diversi, rinnovando l’essenza stessa della tipografia: la sua trasversalità nelle discipline artistiche, dall’editoria alla fotografia, dall’architettura alla musica, e la sua capacità di legarsi alla comunicazione visiva e al design riflettendo il proprio tempo».

Una delle sale che accoglie laboratori e didattica per gli ospiti di Tipoteca, Cornuda (TV).

 

Heritage e creatività

Un archivio di 10.000 pezzi, tra abbigliamento, scarpe e accessori, senza dimenticare cataloghi, fotografie, bozzetti e materiale per le campagne pubblicitarie che legano il marchio Fila alla storia dello sport e della moda, rievocando le imprese di campioni quali Adriano Panatta, Björn Borg, Boris Becker, Monica Seles, Reinhold Messner e Giovanni Soldini. Nata nel 2010, la Fondazione Fila Museum ha aperto le sue porte al pubblico nel 2012.

«Iniziato nel 2010, il lavoro di archiviazione è tuttora in progress, con un percorso espositivo in costante evoluzione e ampliamento che oggi conta dieci sale tematiche», spiega la responsabile Annalisa Zanni. Visitato da scolaresche e appassionati del brand, soprattutto stranieri, il museo è frequentato da studenti (ad esempio del Politecnico di Torino e dell’Istituto Marangoni) che vogliono realizzare tesi di laurea e ricerche in materia di design o marketing. E, dal 2014, vede crescere il suo contributo strategico, ospitando il Global collaboration meeting dell’azienda e non solo: «L’archivio – continua Annalisa Zanni – è oggi fonte di ispirazione per i designer che, immergendosi nel passato, trovano l’input per creare nuove linee. Si tratta di designer interni o di licenziatari che firmano collezioni a marchio Fila, provenienti soprattutto da Inghilterra, Asia e America. Dal 2018, uno o due gruppi di professionisti giungono ogni settimana a Biella per studiare l’archivio: degli 8000 visitatori complessivi del 2018 circa 3500 sono designer, che animano le sale anche durante la fashion week milanese». Se il rapporto con il territorio resta forte – significativo l’impegno per la candidatura di Biella a Città Creativa Unesco – la Fondazione Fila Museum oggi guarda anche all’estero.

A maggio, a Seoul, si è tenuta la prima tappa del Museum Exhibition Tour, un’esposizione che racconta 108 anni di storia della Fila e dello stile del brand. In soli nove giorni sono stati 20.040 i visitatori paganti della mostra, che ha attirato l’interesse di distributori internazionali e di un pubblico curioso e trasversale, composto da molti giovani. «La Corea è il paese del presidente Gene Yoon, che con lungimiranza ha voluto dare vita al Fila Museum per custodire e diffondere l’italianità del marchio. In questo periodo di rilancio e ricrescita per Fila, è fondamentale non disperdere il patrimonio storico aziendale, ma anzi valorizzarlo portandolo all’estero. La prossima del tour sarà a ottobre in Cina».

Coda all’ingresso del Fila Museum Exhibition Tour, Seoul 2019.

 

Museimpresa, l’associazione italiana degli archivi e musei di impresa nata a Milano nel 2001 e promossa da Assolombarda e Confindustria, gioca un ruolo decisivo nella promozione del circuito. L’Associazione, di cui fanno parte tutte queste realtà tranne Tipoteca, permette ai suoi membri di fare rete e attivare scambi e collaborazioni, nell’ottica di rafforzare un fenomeno – non solo turistico – in grado di valorizzare le specificità produttive del nostro Paese.

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