Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione

Cerchiamo di approfondire e comprendere quali siano gli aspetti più intangibili delle prime volte: come affrontare paure e speranze, pregiudizi e aspettative che influiscono sugli atteggiamenti e sui comportamenti relazionali, in funzione delle attitudini personali. Inviate curriculum o  vi hanno richiamato per un primo colloquio? Fate prospezione commerciale?  Incontrate per la prima volta un H.R. […]

Cerchiamo di approfondire e comprendere quali siano gli aspetti più intangibili delle prime volte: come affrontare paure e speranze, pregiudizi e aspettative che influiscono sugli atteggiamenti e sui comportamenti relazionali, in funzione delle attitudini personali.

Inviate curriculum o  vi hanno richiamato per un primo colloquio? Fate prospezione commerciale?  Incontrate per la prima volta un H.R. manager, un head hunter, o un nuovo potenziale cliente?

È sempre così: nei venti secondi iniziali, con i primi gesti, espressioni e parole, sarete collocati nella sfera emozionale della simpatia oppure in quella dell’antipatia. L’ideale, invece, sarebbe creare subito un clima di empatia.

Ho chiesto ad alcuni piccoli imprenditori che spesso fanno selezione per le loro imprese – quindi non head hunter di professione – che cosa osservino nei candidati o nelle candidate durante i colloqui. Quali comportamenti influenzano le loro percezioni mentre svolgono un colloquio di selezione?

Già, quali?

Che cosa osserva quando deve selezionare nuovi collaboratori Danio, imprenditore nel mondo della comunicazione, specializzato nel settore della educazione alimentare?

“Dopo aver verificato le capacità, il saper fare di cui necessita il ruolo, osservo gli aspetti del  carattere. Chiedo al candidato o alla candidata  di scrivere, con un limite massimo di 500 parole, le motivazioni per le quali intende lavorare per la mia organizzazione. Già da qui, posso comprendere la qualità della sua scrittura. Poi  osservo come parla: mentre mi interesso al contenuto sto attento  agli aspetti pragmatici e alle sue ‘credenze’ di fondo. Mi interessa comprendere se sono elastiche, attinenti alla realtà professionale, oppure troppo astratte, rigide, ideologizzate.”

Fabio, CEO dell’agenzia di comunicazione Jack Blutharsky, riceve i candidati, copy o designer nel suo ufficio, perché non ama le barriere delle scrivanie della sala riunioni e preferisce un ambiente più intimo. Osserva la postura sulla sedia; a volte rileva segnali di rigidità, chiusura, oppure di “sbragatezza”, di eccessiva disinvoltura. Preferisce invece una postura che definisce mediana. Presta attenzione al livello di concentrazione del candidato. Ne osserva lo sguardo e se vaga sull’ambiente attorno, o se sfugge all’incontro con il suo: preferisce il contatto visivo e ne trae un segnale favorevole riguardo le capacità di concentrazione e di interesse verso l’interlocutore. Sulla sua valutazione incide anche l’abbigliamento, se sobrio o troppo sobrio, oppure smisurato rispetto allo stile vissuto in agenzia.

Anche Gabriella si occupa di selezioni in agenzia, e si affida al suo istinto. Anche lei osserva se l’occhio del candidato è vivace, se cerca il suo sguardo. Per lei sono importanti il sorriso e le domande che le vengono poste, se sono pertinenti al ruolo che è offerto, se c’è interesse per l’azienda e se si intravede la passione per il lavoro che sta offrendo.

Alvisi, invece, gestisce una piccola impresa di pubbliche relazioni e ha una fila di volontari che vorrebbero lavorare per lui. Quando ha selezionato il suo ultimo collaboratore si è concentrato sulle attitudini al cambiamento del candidato; in particolare, se avrebbe accettato il cambiamento dalla sua attività precedente alla nuova che gli stava offrendo.

Sono quattro punti di vista di selezionatori non professionisti delle risorse umane, come tanti imprenditori che non si affidano a società specializzate di ricerca, ma che sono comunque attenti a tutti i segnali non verbali che osservano nelle persone di fronte a loro.

Consapevolmente o meno, considerano i gesti , le espressioni somatiche e la comunicazione non verbale, e da questi segnali traggono le loro considerazioni. A volte le più profonde, che incidono sulla scelta del candidato, oltre la mera valutazione delle competenze.

Tre domande su come comportarsi

Come si può fare per lasciare una buona prima impressione, che vada oltre le differenze d’età, il genere e l’etnia?

Le domande che i candidati si possono porre a questo punto sono essenzialmente tre:

  • Come si può fare nei primi venti secondi di relazione, per lasciare una buona prima impressione?
  • Quali sono i primi venti movimenti del corpo che aprono la relazione?
  • Quali sono le prime venti parole che favoriscono la relazione?

Dando per scontato che, a monte di ogni colloquio, i candidati possiedano le argomentazioni e le competenze indispensabili per ricoprire il ruolo offerto dall’impresa, provo a rispondere affrontando il tema della gestione delle soft skill necessarie a superare i filtri emotivi, aprendo la via per instaurare una relazione empatica.

Imprinting

Conoscerete questa parola e gli esperimenti di Lorenz, che osservando la schiusa delle uova delle papere si accorse che nei primissimi momenti di vita esse seguivano e riconoscevano come madre il primo essere che vedevano muoversi accanto a loro.

Così come i pulcini si aprono al mondo esterno dopo la nascita, nei primi venti secondi di ogni relazione umana si crea un imprinting. Per comprendere come ciò possa accadere negli esseri umani partiamo dall’amigdala, una parte del sistema limbico collocata nel lobo temporale del cervello umano.

All’inizio, quando eravamo ancora homo erectus, l’amigdala funzionava come un centro cerebrale che rispondeva alle sensazioni di ansia e paura. Quando l’amigdala percepisce una minaccia si eccita, va in uno stato di stress, e ciò causa irrigidimento muscolare e una sensazione di tensione. Questo si traduce in una pre-attenzione alla fuga o all’aggressione e soprattutto blocca la parte razionale del cervello, che non accede ai circuiti di memoria degli strati superiori della corteccia cerebrale.

La corteccia media tutte le attività coscienti, tra cui pianificazione, problem solving, linguaggio e attività motoria volontaria. Le conoscenze razionali e professionali sono collocate nell’area corticale del cervello, che in stato di eccitazione – ansia da stress o anche simpatia – è ostacolata dall’attività dell’amigdala. Lo stato di calma dell’amigdala, ottenuto attraverso l’empatia, sembra permettere invece uno scambio più razionale.

Nei primi venti secondi di relazione, quando si entra nella stanza in cui si terrà il colloquio, il cervello viene bombardato da informazioni sensoriali. Mentre si entra nel campo visivo delle altre persone, l’amigdala è responsabile dei due sentimenti fondamentali: sympathos e antipathos. L’empatia (empathos) è la situazione emotiva che equilibra questi due poli, garantendo una comunicazione razionale, con la corteccia cerebrale che svolge appieno le sue funzioni cognitive. Si tratta dei processi mediante i quali si interpretano il mondo e le persone incontrate.

In pratica, in un primo colloquio, l’empatia permette di posizionare la propria presenza nella sfera emotiva neutra dell’interlocutore: né troppo sim-patico né troppo anti-patico, per aprire la relazione ai suoi aspetti più cognitivi. La cognizione, semplificando un po’, si riferisce al pensiero (che cosa io penso di te, che cosa tu pensi di me) e a tutti i processi a esso correlati: durante i primi istanti della relazione influisce sul sistema limbico, coinvolto nella regolazione delle emozioni, della memoria e della comunicazione socio-emotiva.

In sintesi, che cosa è meglio fare nei primi venti secondi di relazione per generare un imprinting positivo?

Nulla!

Proprio così: la cosa migliore è non fare nulla. Osservare, senza giudicare.

Epoché, l’arte di ascoltare

La gioia nell’osservare e nel comprendere è il dono più bello della natura.

È una frase attribuita a Einstein. Non so se l’ha mai pronunciata o scritta davvero, ma in questo caso calza a pennello.

Purtroppo, il giudizio è un comportamento innato nell’uomo; è strettamente legato all’istinto e si sviluppa con l’esperienza e con le conoscenze acquisite. Nei primi attimi di relazione si corre il rischio di farsi influenzare dalle percezioni iniziali, altrimenti utili, perché la capacità giudicativa spesso permette di sopravvivere evitando situazioni pericolose e attuando comportamenti dai quali traiamo gratificazione e benessere.

La capacità di giudizio funziona molto bene in ambienti e situazioni conosciute, ma è un’arma a doppio taglio quando ci si approccia a situazioni e ambienti nuovi, proprio come del caso di un colloquio di lavoro. Se ci si fida delle proprie capacità di giudizio, in tali contesti, si rischia di cadere nei pre-giudizi: giudizi a priori, negativi sia nei propri confronti che in quelli degli interlocutori.

Conviene invece sospendere il giudizio e lasciare che la mente osservi l’altra persona – il selezionatore, il cliente, il responsabile HR che state per incontrare. La sospensione del giudizio aiuta a capire fino in fondo l’altro, il suo punto di vista, le sue ragioni, le sue aspettative. Permette di abbandonare le conoscenze, ciò che ci appartiene e ci condiziona, e pone di fronte al nuovo per osservarlo con sguardo in apparenza ingenuo, ma interessato. Osservando, come uno scienziato con un esperimento, si comunica all’amigdala che non c’è nessun pericolo. Lo stress diminuisce, l’ansia scompare.

Sono passati i primi 5 secondi. Ora potete agire. Attivate il vostro mirror system, i neuroni specchio, l’hardware cerebrale che rende possibile l’empatia, e replicate l’immagine di chi state osservando. Rispecchiare è probabilmente il modo più semplice e diretto con cui gli individui si mettono in relazione tra di loro. A ogni espressione del volto corrisponde una certa emozione, e se l’altro rivede la sua stessa reazione somatica nel vostro viso, contribuisce a creare un ambiente empatico. Non dovete fare nient’altro che osservare e rispecchiare.

Son passati alcuni secondi e vi stringete la mano? Utilizzate la stessa energia che percepite: state rispecchiando il suo concetto cinestesico di sicurezza e sincronizzando le sue emozioni con le vostre. Ed ecco qui la risposta alla seconda domanda, i primi venti movimenti del corpo che creano una buona prima impressione.

Imprinting uditivo

Finora abbiamo analizzato ciò che porta a un’empatia visiva. A questo punto non ci resta che rispondere alla terza domanda: quali sono le prime venti parole che possono creare un imprinting uditivo positivo? È il caso di fare una precisazione. In ogni primo incontro, le prime parole che gli interlocutori si scambiano sono sempre le stesse: buona giornata, piacere, piacere mio, si accomodi, posso sedermi, e così via.  Forse è meglio riformulare la terza domanda in questi termini: “come si possono usare le modalità para-verbali durante l’approccio con le solite frasi di convenevoli?”

Se nei primi dieci secondi avete osservato e rispecchiato, ora ascoltate e rispecchiate l’interlocutore dal punto di vista uditivo. Ascoltando con attenzione potrete avvertire che volume di voce sta utilizzando, se forte o debole. Con che velocità pronuncia le parole? Si esprime lentamente, oppure rapidamentesenzalasciarespazi? Che tono sta utilizzando l’interlocutore, basso e profondo oppure alto e squillante? Rispecchiando le sue modalità espressive state creando un ambiente uditivo empatico.

Con l’ascolto e l’osservazione si facilita la comunicazione tra le menti e si attivano le parti del cervello deputate alla percezione emotiva tramite reazioni somatiche, gesti, volume, tono e velocità. Si tratta di un comportamento che mette ogni individuo in condizione di agire in base ai processi neurali, ottenendo quella che gli scopritori dei neuroni specchio chiamano proprio “partecipazione empatica”. È uno scambio bio-sociale, un livello che precede la comunicazione linguistica e che orienta le relazioni inter-individuali, alla base di ogni rapporto tra esseri umani. Se tutto funziona, state mettendo in comune sicurezza, accettazione e stima. In altre parole, fiducia.

In un clima empatico paure, pregiudizi, speranze e aspettative vanno in secondo piano, mentre emerge la personalità profonda dell’individuo – la vostra e quella di chi vi sta di fronte. Non è solo una relazione formale, ma sostanziale, in cui entrambi lavorano per costruire una nuova realtà condivisa.

Assertività, ascolto attivo, chiedere piuttosto che dire

A questo punto che cosa è più opportuno fare? Se siete riusciti a creare un clima empatico e state vivendo contemporaneamente le medesime emozioni, ora potete creare un clima assertivo.

L’assertività è un vero e proprio equilibrio razionale tra la passività, ovvero la rinuncia a esprimere i propri pensieri, e l’aggressività, che porta inesorabilmente al conflitto e all’abbandono della relazione. Per prendere le redini del colloquio e creare un clima assertivo occorre ricordare che chi domanda, comanda. Provate a adottare la regola delle cinque domande aperte della tecnica giornalistica: le 5 W.

Who? (“Chi?”). Con chi vi state relazionando qui e ora? Chiedete informazioni sul ruolo e sulla professione del vostro interlocutore.

What? (“Cosa?”). Chiedete al vostro interlocutore che cosa si aspetta nel breve, nel medio e nel lungo termine dalle attività che il vostro ruolo comporta.

When? (“Quando?”). Chiedete quando potrete esprimere le vostre professionalità per raggiungere insieme il “cosa” che avete ascoltato prima.

Where? (“Dove?”). Chiedete informazioni sul luogo e sull’ambiente di lavoro, sulle condizioni richieste per ottenere risultati utili a entrambe le parti.

Why? (“Perché?”). Chiedete all’interlocutore quali sono le motivazioni che lo hanno spinto ad approfondire la relazione con voi ed esprimete a questo punto le motivazioni che vi portano a collaborare con lui.

Mentre ponete queste domande il vostro interlocutore inizierà a elaborarne le risposte; simultaneamente, comincerà a posizionare nella mente la vostra personalità secondo valori di interesse, proattività e coinvolgimento. Potrà percepire nel concreto il tipo di aiuto che potete offrirgli stabilendo un contatto autentico e avviando una comunicazione sempre più efficace e proficua.

In totale: come dare una buona impressione?

Riassumiamo quindi come lasciare una buona prima impressione durante un qualsiasi colloquio, sia professionale, sia personale.

  1. Praticate una sana e genuina epoché: sospendete il giudizio e aprite la mente alla relazione.
  2. Create empatia: osservate e rispecchiate le reazioni somatiche dell’altro, adattate il volume, il tono e la velocità delle parole a quelli dell’altra persona.
  3. Siate assertivi: domandate, invece di dire.

Inoltre cercate di mantenere alta la vostra attenzione e ascoltate con umiltà. Informatevi, valutando i dati che raccogliete. Distinguete e separate i fatti dalle interpretazioni, e confrontate le interpretazioni che vengono messe in gioco durante il colloquio.

Infine, dopo aver eseguito tutto a dovere, ponetevi un’ultima, importante domanda: siete proprio sicuri che, dopo aver lasciato una buona prima impressione, quest’impresa sia quella che fa per voi?

 

Photo by Unsplash

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