Perché il Ponte sullo Stretto sta stretto a troppi italiani

Parliamo della grande opera per eccellenza: il Ponte sullo Stretto di Messina. È davvero irrealizzabile come si è detto per un secolo intero?

Fer al zug dla mléina, si dice in bolognese: fare il gioco della melina. Questo sembra il destino che da sempre accompagna la storia della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina; un cappello che, come nel gioco, è stato a lungo lanciato di mano in mano sopra la testa degli interessati.

Nell’era terziaria l’isola era ancora unita all’Italia, e fu all’incirca due milioni di anni fa che quel braccio di mare, che oggi ricorda vagamente un imbuto, sancì una volta per tutte l’identità insulare della Sicilia; una peculiarità non solo geografica, ma culturale. “La forza simbolica ed evocativa di quest’area è evidente. Pochi chilometri sono un laboratorio naturale di tutto il Mediterraneo e insieme uno dei più importanti nodi delle culture mitologiche classiche”, affermava l’ecologo Riggio, nel 2003.

Storia del Ponte sullo Stretto di Messina

Se è vero che nel 1866 l’ingegnere napoletano Alfredo Cottrau, incaricato dal ministro ai Lavori pubblici Jacini di studiare il problema, decretò l’impossibilità di costruire un collegamento con il continente, già nel 1870 Carlo Alberto Navone presentò l’ipotesi di un tunnel sottomarino. Da allora sono stati innumerevoli i progetti proposti, fino a quello attuale, che risale, salvo piccoli aggiustamenti, ai primi anni Novanta.

L’attraversamento stabile, come viene definito il ponte in molti documenti, auspicato negli anni Cinquanta quasi all’unanimità dalle componenti politiche, sociali ed economiche del territorio, che fine ha fatto? Negli anni Sessanta il progetto incarnava l’agognato tentativo (così titolavano i quotidiani dell’epoca) di colmare il gap del trasporto merci Sicilia-continente. Poi questo aspetto perse via via importanza, perché gli operatori economici cominciarono a servirsi di flotte di aerei e navi.

Come è successo in altri frangenti, l’Italia finì per stimolare battute sulla mafia e satira di varia natura; nel 1982, la Disney pubblica il fumetto Zio Paperone e il Ponte di Messina, in cui un agguerrito Paperone vuole proporre in soli sei mesi il progetto risolutivo per il problema dello Stretto. La società concessionaria Stretto di Messina nel 1988 presenta tre alternative progettuali: un ponte a campata unica lungo 3300 metri, una galleria al di sotto del fondale marino e un tunnel agganciato sul fondo. La soluzione si focalizza sul ponte sospeso.

Alcune fonti sostengono che la mancanza di chiarezza nell’individuare e comunicare i vantaggi concreti che l’opera avrebbe apportato a livello locale, interregionale e nazionale, abbia fatto sì che l’attraversamento stabile cominciasse a essere denominato “il mitico Ponte sullo Stretto di Messina”, una sorta di entità mitologica come Scilla e Cariddi, instillando nella gente l’idea che si trattasse di un’operazione di facciata, portata alla ribalta per sottrarre finanziamenti ad altre opere più utili e performanti.

“Il Ponte sullo Stretto? È la spina dorsale per la ripartenza del Mezzogiorno”

Per approfondire l’argomento abbiamo contattato due progettisti che da oltre dieci anni seguono con continuità la tematica Ponte e infrastrutture. Sono due membri di Rete Civica per le Infrastrutture nel Mezzogiorno: l’architetto Clara Stella Vicari Aversa e l’ingegnere Giovanni Mollica, fondatore di Rete Civica.

Clara Stella è dottore di ricerca europeo nei Paesi Baschi, e mi racconta che proprio in Spagna ha visto città come Bilbao rifiorire grazie “a enzimi infrastrutturali e progetti urbani di rilievo”. Giovanni è un meridionalista convinto; esperto in trasporti, da una ventina d’anni si occupa del Ponte e ha collaborato anche con Eurolink, il consorzio d’imprese che ha vinto la gara d’appalto per la realizzazione del progetto, come curatore dei rapporti con il territorio.

Mi inviano mappe, cartografie, tabelle, studi previsionali di sviluppo, immagini; mi accorgo che la questione è complessa e controversa. Faccio ulteriori ricerche. Le vicissitudini del progetto del ponte si intrecciano a vario titolo con quelle dei più importanti nomi della politica italiana: Andreotti, Cossiga, Forlani, Craxi, Prodi, Berlusconi, Rutelli. La storia della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina è innegabilmente connessa con quella d’Italia. Lo stato dell’arte è dovuto dunque ai soliti tortuosi percorsi burocratici all’italiana, o c’è dietro molto di più?

Che cos’è la Rete Civica per le Infrastrutture nel Mezzogiorno?

Giovanni: la Rete ha come scopo principale creare le condizioni culturali e politiche di una nuova mentalità, che auspichi la crescita del Mezzogiorno senza ricorrere a forme assistenziali. L’associazione annovera singoli, ordini professionali, organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle categorie economiche, enti locali, autorità portuali delle Regioni Basilicata, Calabria e Sicilia, cioè quella parte d’Italia che si sente trattata dalla politica nazionale come le colonie di antica memoria.

In un’economia globalizzata, ha ancora senso parlare di questione meridionale? E se sì, in quali termini?

Clara Stella: Con il termine Mezzogiorno non ci si riferisce più, come nell’Ottocento, a territori posti sotto Lazio, Umbria e Abruzzo, caratterizzati dalla presenza di briganti, ma il divario Nord-Sud è ancora grande. Riguarda soprattutto le infrastrutture, sia reali (assi viari a scorrimento veloce, ferrovie) che digitali (reti per l’accessibilità di cittadini e di imprese a servizi che favoriscano la ricerca e la formazione a distanza).

G.: Nel rapporto 2013/2014 del World Economic Forum riguardante la qualità delle dotazioni infrastrutturali di ogni singolo Paese il nostro è al 55° posto, rivelando che il ritardo strutturale non riguarda più solo il Mezzogiorno, ma l’Italia in generale. Le rotte commerciali saltano la nostra nazione; i prodotti viaggiano su grandi cargo provenienti dai porti dell’Asia che, passando dal Canale di Suez, navigano fino a Rotterdam. Il commercio si concentra su poche zone strategiche: Francia, Germania, Belgio e Olanda, che dal 2013 assorbono oltre il 68% del traffico totale, mentre l’Italia movimenta appena il 6%. Un Mezzogiorno che non ha autostrade, porti, rete ferroviaria – non solo ad alta velocità, ma neppure a doppio binario – è destinato a soccombere economicamente anche rispetto a nazioni come Algeria, Marocco, Tunisia ed Egitto, che si stanno dotando di infrastrutture adeguate.

Che ruolo ha in questo il Ponte sullo Stretto?

Giovanni mi risponde ispirandosi alle dichiarazioni fatte da Fernando Rizzo, l’avvocato messinese presidente di “Rete civica”.

Se ci fosse un collegamento stabile, le grandi navi porta container che escono da Suez potrebbero fermarsi ad Augusta, trasformando la Sicilia nel vero hub del Mediterraneo, lo sbocco naturale del corridoio scandinavo-mediterraneo. Evitare alle navi la circumnavigazione dell’Europa per raggiungere i porti del Nord comporterebbe un’enorme riduzione del costo dei prodotti anche per l’utente finale.

Pensate davvero che basterebbe costruire il famigerato attraversamento per migliorare la circolazione di persone e merci?

C.S.: Devi pensare all’opera del Ponte come alla spina dorsale di altri interventi, sia nel settore stradale (modernizzazione della Salerno-Reggio Calabria, potenziamento della statale 106 ionica, completamento dell’autostrada Palermo-Messina e della Caltanissetta-Gela; ampliamento della Palermo-Agrigento) che ferroviario. A essi si affiancherebbero un potenziamento del trasporto navale e la realizzazione di uno scalo per aliscafi vicino all’aeroporto di Reggio Calabria. Senza la riforma strutturale il Sud resterà tagliato fuori e non potrà che essere gestito dalla criminalità organizzata.

Qualcuno ha definito il ponte “un nastro trasportatore avvolto in una nuvola di benzene”; i detrattori continuano a sollevare dubbi circa la fattibilità, la sostenibilità e la legittimità del progetto. Che cosa ne pensate?

C.S.: La tecnologia ha trovato risposte un tempo impensabili; si è cercato di dare risposta a tutti i quesiti inerenti i rischi geologici, sismici e ambientali, senza dimenticare il galloping (l’influenza del vento sulla struttura), la questione dei flussi migratori, la salute della fauna marina e l’analisi dei costi-benefici, ma ogni volta le voci contro la costruzione del ponte hanno letto i dati a modo loro, fingendo di non vederne la correttezza. L’informazione è sempre stata orchestrata nel senso del dileggio. Anche alla trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”, nei giorni scorsi, è stata diffusa per l’ennesima volta la notizia dei 960 milioni del costo degli studi; molti leggono gli importi progressivi sommandoli, ottenendo ovviamente un totale falsato. Distrazione o malafede?

Ponte è una brutta parola?

Il progetto definitivo del ponte è stato approvato dalla società Stretto di Messina nel luglio 2011. Il parere del Ministero dell’Ambiente non è mai arrivato. Il 3 novembre 2020, alla Camera, è stata bocciata la proposta per l’inserimento del progetto nel Recovery Plan che il governo presenterà all’UE; è passato invece il documento che impegna il governo Conte ad “avviare con il Parlamento una specifica interlocuzione sulle modalità attraverso cui ammodernare le infrastrutture del Mezzogiorno, allineandole a quelle delle altre zone geografiche d’Italia e d’Europa”.

Il governo dovrà “individuare (…) la soluzione che possa meglio rispondere alla domanda di mobilità da e per la Sicilia con la finalità di realizzare un collegamento stabile e veloce dello Stretto (…) in modo da porre fine all’isolamento della rete dei trasporti siciliani”. Un collegamento stabile e veloce, non c’è la parola ponte. Mettere da parte un progetto pronto e cantierabile, per realizzarne un altro, vuol dire rimandare o ripartire da zero.

Non ne entro in merito, ma Strabone narra che nel 250 a.C il console Lucio Cecilio Metello realizzò un ponte sullo Stretto, fatto di botti fluttuanti legate a due a due in modo che non potessero urtarsi, per portare nella penisola gli elefanti sottratti ad Asdrubale. A volte i vincoli non sono né tecnici né burocratici, è solo che nessuno si prende la responsabilità di decidere.

Foto di copertina by www.canaledisicilia.it

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