Ian Goldin e Chris Kutarna, nel loro non più recentissimo ma pur sempre interessante Nuova età dell’oro: guida a un secondo Rinascimento economico e culturale, scrivono di come negli anni Sessanta il PIL pro capite degli abitanti di Singapore e della Giamaica fosse comparabile. Da allora il PIL singaporiano è schizzato al di sopra di […]
Professione attrice: ma quanto ti pagano?
La prima cosa che penso quando arrivo e mi siedo al tavolino del bar dove ci siamo dati appuntamento con Roberta e Noemi è: “Chissà come entreranno in scena?”. Arrivano ed entrambe se la prendono, la scena: si vede che sono “diverse” da come riempiono gli spazi, come si muovono, da come mantengono una postura […]
La prima cosa che penso quando arrivo e mi siedo al tavolino del bar dove ci siamo dati appuntamento con Roberta e Noemi è: “Chissà come entreranno in scena?”. Arrivano ed entrambe se la prendono, la scena: si vede che sono “diverse” da come riempiono gli spazi, come si muovono, da come mantengono una postura differente da quella di chiunque sia presente nel locale quel giorno – me compreso.
Ci incontriamo a Busto Arsizio, città famosa per il tessile e il cotone tanto da avere un museo che ne ricorda la vocazione manifatturiera, ma che dal 2008 ospita anche una Scuola di Cinema. Che cosa c’entra con Busto Arsizio un istituto cinematografico che dedica il suo nome al maestro Michelangelo Antonioni, riferimento indiscusso del cinema moderno che ha sancito la fine del neorealismo con il suo film Cronaca di un amore?
A scuola di cinema al Michelangelo Antonioni
L’ICMA (Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni) si è costituito grazie proprio alla Fondazione Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni, che vede tra i membri fondatori associazioni per il diritto allo studio, enti di diffusione cinematografica, privati e, appunto, la città più popolosa della provincia di Varese. La concorrenza con altre scuole di cinema e con location prestigiose è fortissima, ma in questi anni l’ICMA si sta ritagliando uno spazio sempre più consistente nel panorama della formazione dei giovani attori, registi e tecnici per il cinema e il teatro.
Dal 2008 i diplomati presso l’istituto sono stati circa duecento, e per il nuovo triennio 2019-2022 la scuola ha eccezionalmente deciso di allargare le maglie del numero chiuso per i futuri studenti: dai venti posti degli anni precedenti a venticinque. Nonostante l’aumento del numero degli ammessi al corso, l’attenzione per ogni singolo studente è volta a rendere l’insegnamento sempre più all’avanguardia e votato all’eccellenza: negli ultimi anni sono state inserite anche lezioni di yoga, di combattimento scenico, di doppiaggio e di voce per preparare gli attori anche a partecipare a dei musical.
Non è stato facile intervistare diplomati alle scuole di cinema. Ho incontrato resistenze, paure e diffidenze rispetto ai laureati in Arte; per questo ringrazio Noemi e Roberta, che si sono rese disponibili a parlarci della loro esperienza post accademia.
Loro due sono giovani ed entrambe diplomate a Busto: Noemi ha appena 21 anni, Roberta invece ne ha 28, e ci racconta che la sua prova finale alla fine del triennio di studi fu una recita teatrale: “Credo fermamente che il vero attore sia quello che riesce a spaziare tra teatro e cinema: senza la base da attore teatrale non puoi definirti un attore a tutto tondo. Il teatro richiede un elemento fondamentale che nel cinema non è necessario: l’improvvisazione. Durante un ciak se sbagli la scena può essere ripetuta, a teatro no. O esci dall’empasse da solo o con l’aiuto degli altri attori sul palcoscenico; non c’è modo di fermare tutto e ripetere la scena. Il teatro è la vera palestra per l’attore”.
L’entusiasmo di queste ragazze suscita empatia, hanno scelto un percorso accademico post diploma non ordinario, e niente affatto facile. Afferma Noemi: “Quando mi chiedono che cosa faccio e rispondo l’attrice, tutti mi guardano perplessi e mi chiedono qual è il lavoro che faccio seriamente per vivere. Faccio questo, io faccio l’attrice”.
Vivere di recitazione, si può?
La loro scelta “forte” la vivono ogni giorno, convivendo con una sorta di diffidenza per un’arte e una professionalità che si impara con fatica, e che è stata troppo spesso svalutata dalle apparizioni di chi in questo mondo c’entra poco o nulla, contribuendo così a svilire la loro reputazione professionale.
La domanda legittima – anche per loro che hanno seguito gli studi di cinema – è: “Ma di questo lavoro ci si può vivere?”
Roberta afferma: “Tutti i lavori che ho ottenuto li ho trovati grazie alla mia intraprendenza. D’altro canto, mi rendo conto che il lavoro dell’attore si basa sulla capacità di saper attendere l’occasione giusta: non basta essere brava, bisogna anche essere quella persona che coincide con la richiesta della produzione o del cliente. Spesso la determinazione è la chiave per fare un ulteriore salto nella tua consapevolezza, ripetendoti come un mantra che sei un’attrice e guadagni con il tuo lavoro”.
“Troppe volte mi sono sentita dire che non c’è budget, non ci sono soldi per pagarti, ma siamo preparate e questo ci permette di comprendere quando ciò che ti viene offerto è al di sotto delle regolari logiche di mercato per un attore, ma tu sei in grado di comportarti di conseguenza e di richiedere il giusto compenso. Le tariffe per gli attori sono cambiate, livellandosi verso il basso: se prima offrivano 500 € netti per uno spot di un anno, oggi ti possono offrire anche 150 € lordi per tre mesi sul web. Considera che nel compenso lordo ho il 20% di tasse e un altro 20% da riconoscere all’agenzia, a questo punto rifiuto siamo ben al di sotto della soglia minima.”
“Molti pensano che il lavoro dell’attore sia uno dei lavori più belli del mondo; così si improvvisano attori iscrivendosi a un’agenzia pur non avendo mai fatto una scuola, accettando qualsiasi compenso. Anche il low budget che hanno a disposizione i produttori non deve mai scendere sotto certi parametri, che sono conosciuti da noi attori, altrimenti andrei a cercarmi un altro lavoro. Ma io voglio fare l’attrice e vivere di questa professione. Ultimamente mi sono stati proposti 150 € netti per tre mesi di lavoro e ho rifiutato. Ho chiesto che si partisse, com’è giusto, da almeno 600 € netti, altrimenti nulla. Bisogna saper dire di no se si vuole fare questo mestiere.”
Nel corso degli ultimi vent’anni nell’immaginario collettivo gli attori e le attrici del nostro Paese hanno perso un po’ dell’aura magica che avvolgeva i divi del cinema. L’avvento dei reality show (il primo Grande Fratello in Italia andò in onda nel 2000), dei talent show e dei vari programmi televisivi da cui il cinema italiano ha attinto a piene mani non ha certamente aiutato a migliorare la considerazione che oggi meriterebbero questi ragazzi, che studiano con impegno e grande intensità. Non solo per inseguire un sogno, ma soprattutto per iniziare una carriera professionale da attore.
Secondo Noemi, poi, “fare l’attrice non è un passatempo: è un lavoro. Io voglio mantenermi facendo l’attrice. Soprattutto in Italia, vorrei che si capisse che noi abbiamo studiato e ci siamo formati per fare questo, e la gente troppo spesso non si rende conto, a livello psicologico, di quanto è faticoso fare questo mestiere. Ci sono dei momenti in cui affrontare certi copioni ti mette duramente alla prova. Dopo aver fatto questo percorso sono molto soddisfatta, e pur avendo appena terminato gli studi ingaggerò un’agenzia che curi i miei interessi. Nonostante questo ho già fatto parecchi spot pubblicitari, videoclip. Ci vogliono fortuna, bravura e tanta determinazione. Anche quando mi hanno contattato con un low budget ho accettato, chiedendo anche il rimborso spese sebbene non fosse previsto, e me l’hanno accordato. Anche se spesso tendono a far credere il contrario, in questo mondo i soldi ci sono. Basta farsi rispettare e conoscere le regole d’ingaggio”.
Professione attrice: lo rifareste?
Chiedo loro, candidamente: “Rifareste questa scelta, viste le oggettive difficoltà che state già riscontrando nonostante la vostra giovane età?”
Risponde Noemi: “Non avrei mai pensato di fare l’attrice. Arrivo da un ambito di esperienze che mi avrebbe portato a lavorare nel sociale. Dopo le superiori ero indecisa se proseguire con gli studi linguistici o quelli formativi. Dopo che con la compagnia teatrale amatoriale dell’oratorio abbiamo messo in scena un musical su Zorro, e recitando in diversi teatri mi è scattato qualcosa e ho deciso di intraprendere questo percorso. Secondo me un corso di recitazione e di teatro è una scuola di vita: impari a conoscerti, a conoscere te stesso, a entrare in empatia con gli altri. È un lavoro faticosissimo e pochi se ne rendono conto: si arriva sul set distrutti; se da spettatore si vede una sola scena di un film, in realtà in quel breve istante di girato c’è dietro tutta una preparazione, fai il primo piano, fai la carrellata, riposiziona le luci, e quando si torna a casa non è ancora finita. C’è da studiare, la parte di memoria, la parte psicologica, la gestione della voce. A ogni battuta devi coordinarti con l’operatore stando attenta ai movimenti, e il più delle volte non è buona la prima scena girata. Il nostro lavoro è difficile e va rispettato anche per questo”.
“Il mio è un sogno da quando sono bambina. Sono da sempre un’appassionata di cinema, una consapevolezza che ho maturato già durante gli studi superiori”, dice Roberta. “Nella scelta dell’università sono stata coerente: non avrei mai scelto una scuola con il solo scopo di trovare un lavoro. Conosco diverse persone che hanno scelto la facoltà di Economia controvoglia e non seguendo le loro reali inclinazioni, solo per trovare subito un impiego. Bisogna far qualcosa che ti piace e poi con la determinazione il lavoro arriverà. Ho avuto dei genitori meravigliosi: mia madre doveva fare l’attrice e mio padre era stato scritturato da Maurizio Costanzo per fare l’attore. Credo che l’avessi nel sangue, la carriera di attrice. Così ho scelto con il cuore, ed ero determinata a essere accettata dall’Accademia. La strada non sempre è stata semplice: dopo un anno di studi ho cominciato ad avere delle piccole crisi. Pensavo che ci fosse qualcosa che non andava. È un confronto con la realtà che devi affrontare: arrivata al secondo anno ho compreso pienamente che la scelta era giusta e non mi pento assolutamente di quel che ho fatto. Sono del parere che se continui a sbattere con la testa contro il muro, prima o poi il muro si sfonda. Non la testa: il muro”.
Foto di copertina dell’istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni
Leggi anche
Le contraddizioni del sostegno scolastico: insegnanti carenti o impreparati minacciano l’inclusione degli studenti disabili e ne compromettono l’educazione.
L’ingegnere di domani neanche ce lo immaginiamo. Guido Saracco è il Rettore del Politecnico di Torino e non ha dubbi in merito, del resto dalla primavera del 2017 il suo mandato si snoda nella trasformazione di un modello formativo. Mutare, convertire, migliorare, ottimizzare, potenziare, rinnovare, riformare, correggere: il dizionario li infila solitamente uno dietro l’altro […]