A proposito di Alitalia

Qualche anno fa, prima della crisi del 2009, al culmine di una serata horror a Fiumicino, con annunci di ritardi nel volo di rientro ripetuti ogni 10 minuti, fino alla cancellazione definitiva due ore dopo l’orario previsto (non si era presentato l’equipaggio), mi ero ripromesso che non avrei più volato con Alitalia. Mai più. Sì, […]

Qualche anno fa, prima della crisi del 2009, al culmine di una serata horror a Fiumicino, con annunci di ritardi nel volo di rientro ripetuti ogni 10 minuti, fino alla cancellazione definitiva due ore dopo l’orario previsto (non si era presentato l’equipaggio), mi ero ripromesso che non avrei più volato con Alitalia.
Mai più.

Sì, aerei un po’ vecchiotti, non sempre puliti benissimo, qualche bagaglio perso o in ritardo facevano un po’ di differenza. Anche rotte e orari non erano sempre ideali. Ma Bianco, Rosso e Verde sulla coda, tutto sommato, compensavano. Siamo Italiani!
La differenza vera, ahimè, la faceva l’atteggiamento altero e sufficiente dello Staff, di terra e di volo, a fronte di privilegi scandalosi, tassi di produttività ed efficienza ignobili, conflittualità ed assenteismo al limite dell’indecenza in un’azienda che continuava a drenare e sprecare risorse ingenti.

Quella sera mi trovai a difendere, dagli altri passeggeri inferociti, la giovane addetta all’imbarco, lasciata sola a giustificare un sistema di errori e mala gestione, dal Presidente del CDA all’ultimo scaldapoltrone.
Mi sarei aspettato di vedere un dirigente o un funzionario, c’era uno stagista.

Ho capito lì che la “compagnia di bandiera”, la bandiera l’aveva ammainata da tempo. E che non c’erano alternative al fallimento.

Ma c’era ancora spazio per peggiorare, e l’abbiamo percorso in gran carriera: il matrimonio con Air France. Dare in mano le rotte e gli HUB Italiani al nostro principale concorrente su viaggi e turismo, era un’evidente scempiaggine. Meno male che ne siamo usciti.

Oggi, dice il presidente Luca Cordero di Montezemolo, dopo “l’alleanza con un vettore riconosciuto a livello globale, ci sono le condizioni, l’entusiasmo e le disponibilità economico-finanziarie per iniziare una nuova era di Alitalia”. Parole d’ordine: Persone, Brand, Servizi e Rotte.

Sarà vero? Difficile dirlo. Non “ci capisco” di Vettori, Rotte, Slot, Hub e dintorni. Ma sono ottimista.

Il conflitto con i treni ad alta velocità, che tanti problemi ha creato al monopolio Alitalia, qui potrebbe diventare sinergia.
La nostra voglia di Oriente, mari esotici e risorse finanziarie, si sposa con la voglia di bellezza, cultura e industria manifatturiera degli Emirati.

Perché non crederci?

Certo, nelle aziende vincenti già guidate da Luca di Montezemolo e James Hogan, non c’è mai stato spazio per dirigenti o funzionari che, invece di affrontare in prima persona un problema, vanno a casa a cena e lasciano in prima linea lo stagista. Così deve essere anche qui.

Qualcuno ha evocato i sacrifici dei lavoratori. Siamo seri: chi sta a casa in panciolle, pagato per 7 anni, non commuove nessuno.
I sacrifici, sia chiaro, ce li aspettiamo da quelli che, restando a lavorare (l-a-v-o-r-a-r-e) in Alitalia, dovranno tirarsi su le maniche e metterci competenza, già al top, impegno, passione, orgoglio e senso di appartenenza.

I clienti dovranno guadagnarseli uno per uno, come i centimetri di Al Pacino in ogni maledetta Domenica.
Lo spirito giusto per farlo, dai vertici dell’azienda, si è visto. Vediamo come sarà accolto.

Io la tessera Millemiglia, intanto, l’ho rimessa nel passaporto.

[Credits immagine:The strategic plan for the «new» Alitalia unveiled su flytid.me]

CONDIVIDI

Leggi anche

Il Lato A di Massimo Scaccabarozzi

Scarica il podcast della puntata. Massimo Scaccabarozzi è un personaggio molto noto. È amministratore delegato di Janssen Italia e Presidente di Farmindustria ma soprattutto, per quello che più ci interessa, un grande amante della musica nonché frontman della JC Band. Non è stato facile incastrare le agende ma finalmente riusciamo a trovare il momento per una lunga […]

Internazionalizzare un’Italia che non parla inglese

È nella ricerca di un nuovo gioco di forze tra pubblico e privato che l’Italia potrebbe mettersi in corsa sui mercati internazionali. Serve però essere onesti e guardare ad alcuni conflitti culturali interni, invisibili agli occhi della politica e dell’informazione. L’Italia è un paese che non parla inglese, basterebbe già solo questo per comprendere a […]