Recessione: povera Italia, poveri noi

Lo spettro della recessione, e dunque della disoccupazione, si affaccia di nuovo sul vecchio continente uscito stremato dalla crisi del 2008: un terremoto finanziario e sociale che dieci anni fa ha cambiato la geografia politica e sociale dell’Europa e che si sperava fosse un incubo del passato. I dati forniti da tutti gli osservatori italiani […]

Lo spettro della recessione, e dunque della disoccupazione, si affaccia di nuovo sul vecchio continente uscito stremato dalla crisi del 2008: un terremoto finanziario e sociale che dieci anni fa ha cambiato la geografia politica e sociale dell’Europa e che si sperava fosse un incubo del passato.

I dati forniti da tutti gli osservatori italiani e internazionali ci dicono che non siamo ancora in piena recessione, ma le eloquenti cifre dell’ultima settimana fornite da Istat e Bankitalia sul debito pubblico, sulla produzione industriale e sul prodotto interno lordo ci dicono che il Paese più a rischio è proprio l’Italia, l’anello debole della catena tra i Paesi più industrializzati.

 

Se l’Italia piange, la Germania non ride. E neanche la Cina

L’allarme tuttavia viene anche da oltre confine. La potente Germania, da decenni termometro dell’Europa, ha registrato rispetto allo scorso anno un calo del Pil piuttosto preoccupante, mentre il dragone cinese per la prima volta ha registrato un incremento del 6%. Un tasso di crescita che l’Europa pagherebbe oro ma che per la Cina è un dimezzamento dello sviluppo, che incide pesantemente sul commercio mondiale e sulla stabilità interna. Il crollo del mercato automobilistico, in Cina e in tutto il mondo, è il segnale che più preoccupa la Germania, che ha dovuto registrare un calo della domanda cinese in questo settore strategico.

Lo scenario che si presenta in Italia e in Europa non lascia dormire sonni tranquilli a politici e imprenditori, che guardano con terrore al calo della produzione industriale. I timidi segnali di crescita e di calo della disoccupazione che si erano avuti lo scorso anno rischiano di essere vanificati da una brusca frenata dell’economia. Con una stagnazione piena peggiorerebbero radicalmente le politiche sull’immigrazione e le politiche sul lavoro. Soprattutto, gli esponenti del governo Lega-M5S sanno bene che, se si confermassero le performance negative dei mesi scorsi, le promesse elettorali – e dunque tutto l’impianto programmatico del governo giallo-verde, dalla riforma Fornero al reddito di cittadinanza – sarebbero a rischio.

Vediamo alcune cifre indicative di questo scenario. Nella legge finanziaria appena approvata dal Parlamento italiano, il governo stima per il nostro paese una crescita del Pil dell’1%; una previsione più realistica di quella scritta nero su bianco dal governo prima dello scontro con Bruxelles. Nella prima bozza della legge finanziaria si ipotizzava una crescita del Pil dell’1,5% ma poi qualcuno deve avere spiegato al governo che era meglio non vendere illusioni irrealizzabili.

Il guaio è che nemmeno quell’1%, frutto di una logorante trattativa con l’Europa, sembra essere realistico. Oxford Economics, un autorevole centro studi specializzato nelle previsioni economiche, ha dipinto uno scenario da brivido per l’Italia: una crescita per il 2019 dello 0,3% che proseguirebbe negli anni successivi a colpi di decimali molto sotto l’1% a causa appunto della recessione strisciante. Anche Goldman Sachs ci va pesante a proposito del caso Italia: in un report parla di spauracchio recessione grazie a una previsione che si attesta su una crescita del Pil dello 0,4%. L’altro buco nero è la produzione industriale che arretra in tutti i Paesi europei, con possibili effetti diretti sull’occupazione. In Italia a novembre 2018 c’è stato un calo del 2,6% su base annua e dell’1,6% su ottobre; ed è solo l’ultimo dopo quelli altrettanto negativi di Germania e Francia.

 

Gli effetti su occupazione e mondo del lavoro

L’unico dato consolante che esce da questo scenario è che l’ombra della recessione non ha ancora avuto per il momento effetti diretti sull’occupazione. Nell’ultima rilevazione Istat non c’è ancora il segno di questa frenata, ma non bisogna farsi illusioni: tutti sanno che gli effetti di una possibile recessione sarebbero visibili statisticamente soltanto alla fine del 2019. L’Istat comunque, sia pure con dati provvisori, certifica che nel mercato del lavoro per il momento c’è una certa calma piatta. Anzi, su base annua l’occupazione cresce dello 0,4%, pari a 99.000 unità, ma se si analizzano i mesi e i trimestri si comincia a intravedere una frenata. A novembre 2018 la stima degli occupati risulta sostanzialmente stabile rispetto a ottobre; anche il tasso di occupazione rimane invariato al 58,6%.

“Torna a calare, dopo due mesi di crescita – si legge nell’ultimo rapporto Istat – la stima delle persone in cerca di occupazione (-0,9%, pari a -25 mila unità). Il calo si concentra prevalentemente tra le donne e le persone da 15 a 34 anni. Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,5% (-0,1 punti percentuali), quello giovanile scende al 31,6% (-0,6 punti)”.

Questo è il quadro macroeconomico. Siamo consapevoli del fatto che le medie statistiche, come ci ha insegnato Trilussa, non colgono per intero la realtà di un Paese. Non soltanto la Toscana, come sostiene l’imprenditore Leonardo Bassilichi in un’intervista che abbiamo pubblicato, è a macchia di leopardo, ma tutta l’Italia ha zone d’ombra e zone di eccellenza. Resta il fatto che, se davvero tornassimo agli anni bui della recessione, nessuno ci guadagnerebbe: aumenterebbero soltanto i divari, che nel nostro Paese sono assai profondi.

 

Photo credits by rovigooggi.it

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