Non solo fattorini: tra gli schiavi moderni rientrano anche professionisti della sanità, addetti alle pulizie e alla ristorazione. E la lista continua. Vediamo perché in “Noi schiavisti”, di Valentina Furlanetto, che recensiamo.
Scrocco, dunque sono. L’Italia lavora o non lavora?
In Italia ci sarebbero solo cinque milioni di persone che lavorano per tutti, anche per chi non ne ha voglia. Capiamo quanto c’è di vero nella recensione de “Gli scrocconi” di Francesco Vecchi.
La trasposizione letteraria del racconto televisivo quotidiano è cosa complicata. Francesco Vecchi nel libro Gli scrocconi (Piemme) fa fondamentalmente questo, infarcendo le 136 pagine di dati, statistiche anche interessanti e frutto di ricerca, che si alternano a casi estremi utilizzati per fare sensazione, per indignare. Vedi il pessimo esempio della “cantante” di Librino.
Il ritmo del racconto è molto “televisivo”, veloce, diretto; potremmo anche definirlo un diario che il conduttore di Mattino Cinque ha portato avanti parallelamente alle registrazioni. È lui stesso a descrivere i momenti in cui ripensava a quanto appena avvenuto davanti alle telecamere, e che poi probabilmente appuntava in camerino o in ufficio.
Questo metodo ha il merito di essere genuino perché immediato, senza elaborazioni mentali, ma se lo scopo del libro è quello di lanciare un messaggio forte e che arrivi dritto al bersaglio, il lanciatore deve prendere bene la mira. Quella di Francesco Vecchi, secondo me, non è stata precisa. Ecco perché.
Arringare il lettore ad avere in odio i “non lavoratori”, gli “scansafatiche”, gli “scrocconi” del titolo, mi ha creato disagio perché talvolta viene fatto in modo troppo aggressivo (“il problema non è dare aiuti, il problema è darli a cazzo”). Sono d’accordo sul fatto che “dovremmo incazzarci di più”, ma prima che con gli scrocconi che non lavorano (e non cercano neppure di farlo), con chi ha creato l’impalcatura sulla quale si arrampicano tutte queste persone. Un’impalcatura che è stata eretta negli anni e che ha solide e datate fondamenta, e non è, come sembrerebbe imputare l’autore, fondata sul Reddito di Cittadinanza o Quota 100. Proprio il RDC è un cruccio che viene sottolineato troppo spesso. Ammesso che sarebbe da migliorare e implementare, non è l’origine di tutti i mali di questo Paese.
Un’Italia divisa tra scrocconi e sgobboni
Il dualismo scrocconi-sgobboni è gestito meglio. Nel libro si parla di cinque milioni di persone che lavorano per tutti: sono i lavoratori compresi nella fascia di reddito fra i 35.000 e i 100.000 euro, e dati alla mano – Vecchi li elenca con precisione – sono la colonna vertebrale del Paese, almeno a livello contributivo.
Molto precisa e lucida l’analisi che giunge a libro inoltrato, fra i capitoli “Dichiarazione d’indipendenza” e “Giovani anziani”, dedicata alla scuola, ai giovani che vengono formati (male) e a quelli che rifiutano alcuni lavori; tema, questo, che era emerso anche a metà libro, con altri flash dalla vita reale, stavolta azzeccati, come quello di Stefania che rinuncia a uno stipendio da 700 euro per stare a casa e risparmiarne 500 facendo economia familiare estrema con dei conti da cervellone.
È l’Italia reale che conosciamo quella che emerge qui, quando Vecchi esce dal favore di camera e torna a “fare il marciapiede”. Da pagina 80 in poi il libro restituisce all’autore lo smalto che conoscevo (ho letto il suo I figli del debito. Come i nostri padri ci hanno rubato il futuro, Piemme 2019) e al lettore un modo di vedere anche i riverberi della crisi dettata dall’emergenza COVID-19 nelle famiglie e nelle aziende.
Si giunge alla fine con un’ambizione e un grande problema, entrambi sospesi. L’ambizione dell’autore, che non ne fa mistero, sarebbe quella di far capire ai cinque milioni di sgobboni che devono difendersi, magari alle urne la prossima volta che vi saranno chiamati. Vorrebbe che agli scrocconi queste parole facessero male, generando una sorta di pentimento o vergogna (tanto da chiudere il libro). Il mio timore è che gli scrocconi questo libro non lo leggeranno mai.
Infine il problema: quello dell’Italia, scrive Francesco Vecchi, “in questo momento non è dare una mano a chi non ha lavoro o a chi il lavoro lo vuole lasciare. Il problema è fare di tutto perché la gente lavori”.
Perché leggere Gli scrocconi
Francesco Vecchi nell’ultimo capitolo ci rivela che per ogni copia (al netto delle tasse) guadagnerà 50 centesimi. Per questo l’ambizione dell’autore non è “diventare ricco”, ma diffondere consapevolezza nei cinque milioni di italiani che tirano la carretta. “Unicorni”, li chiama, che sulla carretta portano a spasso milioni di scrocconi.
Ho già detto che non so se l’obiettivo è stato raggiunto a pieno, ma dato che ho “scroccato” a Piemme (che ringrazio) la copia per recensire questo libro, ho raggiunto la consapevolezza che, quando si potrà, avrò il piacere di offrire un caffè a Francesco Vecchi e chiedergli perché aspettare le ultime cinquanta pagine per aprire scenari e riflessioni di valore assoluto e, a parer mio, sacrificare le prime per parlare alla pancia.
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