Se Richard Branson la mette sul transpersonale

Ogni fenomeno sociale e onda di cambiamento sono prodotti della cultura in cui nascono; di conseguenza, rispondono ai bisogni più evidenti della società in cui si diffondono. La psicologia, nella declinazione delle sue correnti, ha seguito di pari passo lo stesso principio. La psicoanalisi e lo studio della dimensione istintuale arrivano per esempio in un […]

Ogni fenomeno sociale e onda di cambiamento sono prodotti della cultura in cui nascono; di conseguenza, rispondono ai bisogni più evidenti della società in cui si diffondono. La psicologia, nella declinazione delle sue correnti, ha seguito di pari passo lo stesso principio.

La psicoanalisi e lo studio della dimensione istintuale arrivano per esempio in un momento storico di grande repressione sessuale; la psicologia umanistica nasce nell’era dello sviluppo tecnologico, in cui l’uomo sta diventando macchina: essa quindi apre e supporta il tema della soddisfazione dei bisogni individuali, del senso della vita e del benessere. Dunque in che tempo siamo ora, avendo appagato tutti i bisogni primari di sopravvivenza e di comunicazione?

 

L’evoluzione della coscienza nella dimensione transpersonale e i suoi effetti sul mondo del lavoro

La corrente di psicologia transpersonale interpreta bene il momento storico, rimettendo il focus sui bisogni “secondari”: appartenenza, fiducia, coraggio, decisione. Ma anche trascendenza, intesa come superamento della separazione dall’infinito, dal divino. La sofferenza, più o meno manifesta, è legata alla ridotta espressione della parte creativa, alla mancata attualizzazione delle potenzialità umane più alte.

Parlando di coscienza ci addentriamo in un territorio che non ha una cartografia scientifica, ma per cui disponiamo diverse mappe con cui orientarci. Se chiedessimo alle neuroscienze di spiegarci la coscienza, l’approccio sarebbe quello di provare a identificarla all’interno della mente umana, nella mappatura dell’attività neuronale. Ne dedurremmo quindi che assenza di movimento è uguale ad assenza di coscienza. In tale senso, non abbiamo risposte definitive.

Sul versante della psicologia, l’esperienza più bella di che cosa possa essere la coscienza l’ho potuta sperimentare personalmente con un docente durante una pratica scolastica. A occhi chiusi, in piedi in uno spazio fisico (libero da tavoli e sedie!), due colleghi mi fecero girare su me stessa in diverse direzioni per un tempo indefinito, al termine del quale mi lasciarono semplicemente andare. Ho potuto così sperimentare la perdita dei confini, uno spazio ampio, che definirei semplicemente qualcosa che va oltre. Ecco, forse la coscienza potremmo immaginarla così.

L’evoluzione dell’umanità è fatta di salti di coscienza, di ampiamento di quello spazio che va oltre, alla ricerca della soddisfazione di quei bisogni secondari di cui abbiamo parlato; di quel principio armonizzatore che è spinta verso la connessione a qualcosa di più “alto”, universale. Se paragonassimo un computer a un cervello umano, potremmo dire che il primo è composto da tanti circuiti separati e molto veloci, mentre il secondo è in grado di fare delle cose attivando i circuiti connessi tra loro, come un tutt’uno.

I movimenti globali di mobilitazione per il clima, il nuovo interesse per le iniziative di CSR, la nascita delle B-Corp: possiamo osservare tutto questo con quella che viene chiamata la seconda attenzione. Espandendo quello spazio privo di confini e osservando da quel punto possiamo accorgerci che tali fenomeni non sono solo una moda del momento, una strategia di employer branding priva di contenuti profondi.

Quelli che definiamo young talent, i giovani talenti per cui le aziende si danno battaglia, sono un chiaro manifesto dell’evoluzione della coscienza delle nuove generazioni. Ancora prima di arrivare a un colloquio si informano sulla presenza di eventuali attività di responsabilità sociale, siano esse green o di volontariato. Ogni giorno posso osservarli lavorare in azienda, e spesso mi capita di riconoscere loro una maggiore capacità di lavorare in team, uno sguardo ricco di curiosità, alla ricerca di ruoli che consentano loro una visione end-to-end nelle loro responsabilità (mi rendo conto che il lessico aziendale ci sta invadendo, e ne sorrido).

 

Se ogni cosa ci riguarda

Richard Branson, fondatore del Virgin Group e amico personale di Barack Obama (questo già mi basterebbe per provare una bonaria invidia) non è solo capace di twittare la sua immagine mentre galleggia in piscina indossando una coda di sirena: è anche un grande sostenitore della CSR. Lo definirei un fan del genere umano e della connessione col tutto.

Nel 2016, per la compagnia Virgin Atlantic Airways, ha implementato un programma di CSR chiamato Change is in the air (Virgin: Corporate Social Responsibility Case Study, Pearson, 2017), che si focalizza sull’ambiente e la community. Oltre all’impegno a produrre meno emissioni di CO2, ha introdotto un approccio sostenibile in tutta l’esperienza di volo, dai suggerimenti per la preparazione di un bagaglio più leggero al riciclo del rivestimento delle cuffie, così come delle coperte in dotazione ai passeggeri. La plastica delle bottiglie viene trasformata e riutilizzata per comporre parti della divisa dell’equipaggio, che a loro volta verranno riciclate nuovamente, una volta raggiunte le loro onorabili miglia percorse. Il viaggiatore è coinvolto e si sente parte di ogni aspetto dell’iniziativa, può fare una donazione, oppure semplicemente riciclare il giornale che ha letto a bordo. Con alle spalle i tre anni precedenti in perdita, la campagna Change is in the air ha giocato un ruolo fondamentale per invertire la rotta. Tre gli obiettivi che si era prefissata: tornare a un business profittevole, preservare la magia dei suoi impiegati, migliorare la customer experience.

In sostanza, esiste una tensione, un ordine armonico che ci spinge a riconoscere la nostra connessione con il tutto: ogni cosa ci riguarda. Sostenere il bisogno collettivo verso questa spinta promuove individui con una maggiore condizione di salute psicologica (un dato che occorre tenere fortemente in considerazione anche in ambito aziendale), che non può essere intesa come la mera assenza di sintomi, ma come “l’espressione piena delle potenzialità umane nascoste nelle vette della psiche” (Wilber, Ken, Oltre i confini – la dimensione transpersonale in psicologia, Cittadella Editrice, Assisi, 2017).

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