Seconda generazione: fratelli al 100%?

Perché chiudo l’azienda di famiglia? I miei figli non la vogliono. Con questo titolo il compianto Giuseppe Bortolussi presentava il paradosso del passaggio generazionale in Veneto nel Settembre del 2012, ancora nel pieno della grande crisi scoppiata nel 2008. Dall’essere un onore, una fortunata predestinazione, acquisire l’impresa di famiglia stava diventando un onere, un peso […]

Perché chiudo l’azienda di famiglia? I miei figli non la vogliono. Con questo titolo il compianto Giuseppe Bortolussi presentava il paradosso del passaggio generazionale in Veneto nel Settembre del 2012, ancora nel pieno della grande crisi scoppiata nel 2008. Dall’essere un onore, una fortunata predestinazione, acquisire l’impresa di famiglia stava diventando un onere, un peso poco gradito e poco ambito.

Una terra, quella veneta, baciata da unindustriosità contadina, artigianale, capace di inventare quel fenomeno dei distretti studiato ad Harvard e da lì sdoganato e valorizzato come modello vincente. Il modello del “piccolo è bello”, che ha visto proliferare zone artigianali e industriali come se piovesse e senza una vera politica del territorio e della sua economia. Ma bastava poco: c’era da fare, fare, fare, in una gara a chi faceva di più e meglio.

 

Tutte le difficoltà dei passaggi di testimone

Poi il vento è cambiato. Prima la delocalizzazione, con le produzioni che scappavano negli est vicini e lontani e reti di laboratori artigiani che chiudevano o si reinventavano come tecnici, esportatori di competenze per insegnare mestieri a chi non li sapeva ancora fare. E infine la grande crisi che ha destabilizzato tutto. Quel gennaio del 2009 in cui la pausa natalizia è stata innaturale, più lunga del solito, con il dubbio di non sapere chi si sarebbe trovato di aperto tra i clienti e i fornitori.

Se c’è uno spartiacque è quello. Da allora il dramma di un ruolo, quello di fare l’imprenditore, diventato onere, spesso vissuto in solitudine rispetto alla famiglia e ai collaboratori. Una solitudine malata che ha portato a una moria di tanti piccoli imprenditori suicidi, incapaci di condividere tensioni e fallimenti con la famiglia e con i collaboratori.

Questo è il contesto nel quale si è giocato e si sta giocando il primo passaggio generazionale in Veneto. Se in Lombardia e in Piemonte le imprese di famiglia sono arrivate alla terza o quarta generazione, in Veneto siamo alle prese con luscita di scena dei fondatori della prima generazione. Quindi non è solo una prima volta, l’unica in vita, per chi ne è personalmente coinvolto, ma è la prima per tutto il sistema familiare e sociale: manca l’esperienza e la cultura per affrontare al meglio un passaggio tanto delicato.

Si sa che i cambi al vertice, le successioni, sono fonte di grande tensione, nuovi equilibri, nuovi rapporti di forza in tutte le imprese, e ancor di più nelle imprese di famiglia. Più ricerche concordano che meno di unimpresa di famiglia su tre ha successo nel passaggio generazionale. E se questo accade nel pieno di una crisi che ha cambiato e sta cambiando la pelle dell’economia globale, il passaggio generazionale è reso ancora più ostico.

 

Il banco di prova della seconda generazione di imprenditori veneti

Ed è da qui che parte l’analisi di Bortolussi e la nostra esperienza di accompagnamento degli imprenditori e delle loro imprese familiari, dove la sfida non è solo industriale o finanziaria, ma è soprattutto personale e relazionale. Se non è più un percorso privilegiato dato per scontato, che cos’è che motiva le nuove generazioni a prendere il testimone e mettersi in gioco?

Ognuno ha le sue motivazioni e fa storia a sé, ma tutte le storie che incrociamo sono storie in cui la razionalità economica è spesso secondaria, in cui la prima molla è la complessa dinamica delle famiglie e dei loro membri.

In un momento in cui la fame non è più economica è necessario che la molla parta da unaltra fame, una fame che non può essere posticcia, bensì ancora più profonda, pena l’incapacità di prendere davvero le redini della gestione e piuttosto lamentare le condizioni avverse del mercato o le resistenze della famiglia.

C’è Franco, terzo di quattro figli, che spinge perché il padre gli lasci la guida dell’impresa di famiglia e sancisca una leadership che è nei fatti, ma non accettabile – che un figlio possa prevalere sugli altri. Il primo dei dilemmi, forse, tra l’uguaglianza promessa dalla famiglia e il merito richiesto dall’impresa. Franco dopo anni di lotte ha lasciato l’impresa di famiglia e ha aperto una sua società di servizi. Offre sul mercato globale competenze che sono sue, ma anche frutto di un intero territorio, mentre i fratelli si barcamenano con quel che resta del patrimonio.

C’è Mauro che con i suoi due fratelli ha lottato per il governo di una impresa piccola nei volumi ma grande nel numero dei soci, con una decina tra zii e cugini che si spartivano il lavoro, ma anche scelte strategiche su dove e come condurre l’azienda. Scelte che hanno diviso i nuclei familiari e costretto a una separazione conflittuale e dolorosa, da cui però è rinata una società condotta con una visione capace di dare futuro al mercato e coinvolgimento ai collaboratori.

Ci sono Sonia e Federico, anche loro alla seconda generazione, ancora fortemente influenzati da un padre uscito dalla gestione dell’impresa, ma presente nelle loro conflittualità e nella loro fatica di affermarsi, quasi più in competizione tra loro che con il mercato. Fino a quando non hanno cominciato a guardarsi con occhi nuovi e riconoscersi reciprocamente mancanti di chi è stato più un capo che un padre. E da allora hanno cominciato a dare spazio ai collaboratori e a valorizzarli, più che a cercare di primeggiare per dimostrare a se stessi e agli altri quanto valgono.

 

Gestire l’impresa, gestire la famiglia

Se c’è una chiave che può raccontare il passaggio di consegne che è avvenuto e sta avvenendo in tante imprese venete in questi anni, è un passaggio di testimone come un cambio culturale, di necessità e di virtù.

Ma non è sempre così. A volte è più facile nascondersi dietro ruoli e rendite di posizione senza mettersi davvero in gioco, ma il nostro lavoro sul campo ci conferma che c’è ancora tanta voglia di fare impresa, nonostante tante fatiche e tante resistenze interne ed esterne.

Fortunatamente molto spesso siamo di fronte a un cambio in cui, all’abilità artigianale e al fiuto imprenditoriale della prima generazione, si aggiunge maggiore consapevolezza del mondo che sta fuori dal capannone regno del fondatore. Unapertura ai mercati e alle relazioni che porta nelle imprese nuovi modi di concepire e gestire dinamiche organizzative, di coinvolgimento dei collaboratori e di tutte le relazioni: sta crescendo la sensibilità per strumenti come la certificazione del Family Audit, viene dato spazio allo stimolo delle Società Benefit. Università come Padova o Business School come il CUOA istituiscono percorsi di formazione sui temi del family business per preparare imprenditori e manager a nuove dialettiche e consapevolezze da portare in azienda e in famiglia. Anche dall’estero si importano modelli di sviluppo organizzativo per supportare la crescita delle giovani leve e la maturazione di nuovi modelli gestione dell’impresa.

Come ha fatto Sandro, che, consapevole di non avere le doti artigianali dei due genitori, mette in gioco la sua solidità da ingegnere per far crescere in modo significativo la dimensione dell’impresa di famiglia, senza fermarsi agli aspetti operativi; si rimbocca le maniche e partecipa a percorsi di sviluppo personale per non nascondersi dietro i limiti della sua rigidità, va all’estero a studiare nuovi modelli organizzativi da integrare nella gestione tradizionale della famiglia.

E poi ci sono nuove sensibilità per gli strumenti che in questi anni hanno accompagnato e sostenuto il passaggio di testimone dalla prima alla seconda generazione. Statuti societari, trust, fondazioni, patti di famiglia o costituzioni di famiglia. Strumenti fondamentali per regolare le dinamiche di governo, ma ancor di più per dare occasione alla famiglia di sedersi attorno a un tavolo e superare una tradizionale ritrosia veneta al confronto, per paura di un conflitto che si teme di non saper gestire in modo efficace.

Siamo allora di fronte a un Veneto in cui una seconda generazione che è partita remando contro non solo l’interno ma anche l’esterno, sta prendendo piede, spinta da una voglia di affermazione non solo dal punto di vista economico, ma ancor di più per concretizzare un progetto di vita e di realizzazione familiare e sociale.

Per riuscire a essere soci, e fratelli, al 100%.

 

Photo Credit by Marcus Wallis on Unsplash

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