
Scuola, sanità, PA: il 2020 è l’anno dei concorsi pubblici. Ecco chi partecipa, chi li supera e come si preparano (e con quali costi).
Negli ultimi vent’anni abbiamo davvero visto e vissuto profondamente il cambiamento del ruolo dell’assistente di direzione, delle dinamiche relazionali con capi e colleghi, dell’organizzazione e dei valori aziendali; ma anche degli aspetti più privati e personali delle singole persone. La formazione per segretarie, tasto dolente per molti Tra i vari pregi (molti) e difetti, […]
Negli ultimi vent’anni abbiamo davvero visto e vissuto profondamente il cambiamento del ruolo dell’assistente di direzione, delle dinamiche relazionali con capi e colleghi, dell’organizzazione e dei valori aziendali; ma anche degli aspetti più privati e personali delle singole persone.
Tra i vari pregi (molti) e difetti, devo sottolineare un aspetto non del tutto entusiasmante per l’emancipazione e l’evoluzione del ruolo, soprattutto se si parla al femminile. La poca volontà di partecipare a corsi di formazione e aggiornamento professionale, con le solite mille scuse di altre priorità aziendali (gli assistenti si mettono sempre tra gli ultimi della fila), diventa un vero e proprio boomerang. Eccone alcuni esempi:
L’incapacità di chiedere, mostrare e argomentare l’importanza di attività di aggiornamento e networking per l’assistente (a beneficio di tutta la popolazione aziendale: capi, colleghi, clienti, fornitori), fa nettamente trascurare la trasformazione, il progresso e il cambiamento del ruolo. Il risultato è che, per l’immaginario collettivo, questa figura professionale non serve più a nessuno; oppure si tratta di uno status symbol che pochi possono ancora permettersi, tanto la tecnologia l’ha già bella e che sostituita con Siri, Alexa e l’IA.
La donna, storicamente, ha sempre vissuto un complesso di inferiorità per fattori prettamente culturali (l’Italia è ancora un Paese assai machista). La segretaria, essendo prevalentemente donna, anche a causa della scarsa autostima dovuta a vari fattori – come la mancanza di formazione adeguata –, soffre ancora di una sorta di sottomissione alla categoria del “capo maschio”.
La mia considerazione in generale è che le persone curiose, che pretendono (da loro stesse) di migliorarsi, a prescindere dalla predisposizione di capi e azienda, sono quelle che si fanno notare e apprezzare per le loro capacità, per le loro competenze e per il continuo adattamento al cambiamento, al modo di lavorare e porsi. Coloro che invece si lamentano della propria situazione senza fare nulla per cambiarla, o che si abbattono alla prima richiesta di formazione andata a vuoto (un importante HR che stimo mi ha svelato che fino al decimo “no” si tratta di un fenomeno fisiologico), sono destinati a soccombere e probabilmente a uscire di scena.
A questa figura professionale manca la capacità di credere veramente nell’importanza del ruolo (e soprattutto nelle differenze tra i modi in cui interpretarlo), e il coraggio di emergere dall’anonimato mettendo in mostra le proprie capacità, facendosi apprezzare per le competenze acquisite e non solo per aver svolto la funzione di “crocerossina” che si prende cura dell’ammalato.
Gli assistenti oggi si occupano, oltre ai vari aspetti organizzativi dell’ufficio, della gestione dell’agenda dei capi e del team di lavoro, delle relazioni interne ed esterne, della comunicazione a 360 gradi e in particolare della brand reputation dell’azienda, dei capi e (soprattutto) della propria. Fino a ieri la segretaria era una figura destinata all’oblio, al backstage, alla massima e assoluta riservatezza. Oggi un assistente capace di gestire con delicatezza e professionalità i vari aspetti della comunicazione ha la possibilità di emergere, di far parlare di sé, di essere un esempio per gli altri (colleghi aziendali e assistenti di altre realtà) e di condividere la sua esperienza lavorativa aumentando la reputazione e la visibilità dell’azienda sul mercato.
Quindi se da un lato bisogna aumentare l’autostima e credere di più in se stessi e nel proprio ruolo, dall’altro è necessario acquisire maggiori competenze, formarsi e aggiornarsi costantemente, in particolare sui contenuti digitali, per essere assistenti evoluti, apprezzati e necessari al sistema.
L’utilizzo degli applicativi di Office basici non basta più: bisogna padroneggiare tutte le novità relative alle nuove piattaforme legate alla comunicazione, come produzione e invio email o conference video call interattive con partecipanti di varie sedi e fusi orari nel mondo; occorre saper usare le app per creare presentazioni efficaci (Power Point, Prezy, Sway) e quelle per organizzare e gestire eventi (dalla logistica alle iscrizioni alla partecipazione attiva durante l’evento), o quelle legate ai viaggi d’affari, con tutte le variabili che si possono presentare durante una trasferta.
L’evoluzione è rapida e immediata, e chi resta indietro è fuori dai giochi. Ma attenzione: non bisogna dimenticare le buone maniere e la capacità di relazionarsi ai vari livelli nel modo più elegante e corretto, nel rispetto dei valori e della mission aziendale. Questo aspetto è sicuramente quello più difficile e critico. Gli assistenti super digital spesso peccano di capacità di comunicazione e di relazione (il “bon ton”), mentre gli assistenti più esperti spesso mancano di conoscenza nello smanettamento digitale.
Questo è per esempio uno degli aspetti su cui spesso e volentieri sono chiamata a lavorare all’interno delle organizzazioni aziendali: progettiamo percorsi di formazione e aggiornamento per colmare il gap tra le generazioni, integrando le competenze degli assistenti vecchio stile con quelle più digital e aggiornate.
Finora abbiamo parlato dell’Italia; ma che differenze ci sono tra i nostri assistenti e quelli esteri?
Eccone alcune che ho potuto cogliere:
Ricordo un’importantissima società di consulenza strategica americana la cui sede di Londra ci ha chiesto di reclutare assistenti italiani da inviare loro per portare un po’ di capacità di problem solving ai colleghi inglesi, che in generale piantano i dossier sul tavolo dei loro responsabili (“this is not my job”) e si guardano bene dal cercare di trovare una soluzione se la cosa non li riguarda da vicino.
Ecco, in Italia non sarebbe consentito un atteggiamento del genere: si chiede ai collaboratori di fare l’impossibile, di trovare una via d’uscita, un escamotage per risolvere o coprire una determinata situazione. In generale ci si riesce, e si attivano così quelle doti creative e quell’inventiva molto tipica – molto italiana.
Un’assistente italiano, specie se donna, pur di sentirsi non solo utile, ma soprattutto indispensabile, è disposto a fare qualsiasi sacrificio di tempo, orario, e salto mortale per risolvere un’emergenza o per far semplicemente piacere al proprio assistito. Viene così appagato il suo senso di responsabilità, e la missione viene portata a termine.
In sostanza penso che, senza snaturare la bellezza e diversità culturale italiana, introdurre un po’ di sana competizione, desiderio di emergere e voglia di acquisire le competenze mancanti, gli assistenti italiani potrebbero essere i migliori al mondo.
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