Sicilia, lo sfruttamento minorile non è solo una novella

I numeri della Regione italiana più colpita dalla piaga del lavoro minorile e dalla dispersione scolastica, con uno sguardo più accurato alla situazione nella provincia di Ragusa, dove il fenomeno è particolarmente preoccupante

Sicilia, minori sfruttati: un bambino al lavoro nei campi

“Un circolo vizioso di povertà ed esclusione”. È così che il rapporto Non è un gioco di Save the Children definisce la stretta relazione tra lavoro minorile e dispersione scolastica. L’attività lavorativa toglie tempo allo studio e alle attività formative fino a portare molte volte all’abbandono. In quasi un caso su due, il lavoro incide sulla possibilità di studiare e i minori tra i 14 e i 15 anni che lavorano sono stati bocciati quasi il doppio delle volte rispetto ai loro coetanei che invece non hanno mai lavorato. Anche le interruzioni temporanee della scuola sono più che doppie nel caso di studenti lavoratori.

Quando il lavoro ha la meglio sui percorsi scolastici o formativi non si è per forza davanti a “situazioni di seria urgenza economica, in cui quindi l’avvio al lavoro e l’interruzione del percorso scolastico si mostrano più come ‘non-scelte’”, si legge nel report di Save the Children. Più spesso si tratta di “percorsi educativi segnati da insuccessi, frequenti passaggi da un istituto scolastico all’altro, senso di estraneità, sfiducia negli insegnanti e, infine, abbandono”.

Quello della dispersione scolastica è un fenomeno che riguarda tutto il Paese (12,7%, tra i tassi più alti in Europa), ma che raggiunge il suo picco nelle Regioni del Mezzogiorno. Ad avere il primato della percentuale di dispersione scolastica è la Sicilia, con un tasso ben al di sopra della media nazionale: 21,1%. Seguono la Puglia con il 17,6% e la Campania al 16,4%.

La Sicilia, maglia nera della dispersione scolastica (e del lavoro minorile)

Secondo i dati raccolti dall’Ufficio Scolastico Regionale siciliano, nell’anno 2021/2022 ci sono stati 5.909 casi di evasione scolastica (ossia minori di sedici anni che non si sono mai presentati a scuola, seppur iscritti all’inizio dell’anno scolastico), abbandono (assenze continuative di almeno quindici giorni che non derivano da problematiche di salute, di tipo famigliare o altro, e che non sono giustificate né comunicate alla scuola) o frequenza irregolare (assenze ingiustificate per almeno sette giorni in un mese).

Particolarmente colpita dal fenomeno della dispersione scolastica e del lavoro minorile è la provincia di Ragusa, che si caratterizza per lo sfruttamento agricolo, soprattutto di persone migranti. Nel 2020 l’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI CGIL nazionale, nel quinto rapporto Agromafie e Caporalato, segnalava nell’area, nella zona delle serre, la presenza di ragazzine e ragazzini dai 13 ai 18 anni impiegati come braccianti in condizioni di sfruttamento. I minori lavoravano in nero fino a otto-nove ore, per un compenso di dieci o quindici euro al giorno.

Nel ragusano si è concentrata anche parte dell’indagine di Save the Children, in particolare nella zona di Vittoria, dove, scrive l’organizzazione, il tessuto sociale “ha come elementi centrali una diffusa condizione di sfruttamento lavorativo a scapito soprattutto di adulti e minori migranti, per lo più provenienti da Romania e Nord Africa, impiegati in lavoro agricolo, e la presenza di vere e proprie sacche di marginalità in zone immediatamente esterne al centro urbano dove le famiglie, ancora una volta spesso migranti, si ritrovano escluse dall’accesso ai servizi primari, come quelli abitativi, sanitari e educativi”. Ma il fenomeno riguarda fortemente anche gli adolescenti italiani, a partire da una visione diffusa nella tradizione locale secondo cui, lavorando, “si fanno le ossa”.

Dall’abbandono scolastico alla criminalità organizzata

“Nel nostro territorio, nella zona più caratterizzata dalla povertà educativa, stiamo intorno all’80% di ragazzi che abbandonano gli studi”, racconta amaramente Francesco Di Giovanni, fondatore e coordinatore generale del Centro Tau, struttura nel quartiere Zisa di Palermo, a due passi dal centro storico, che dal 1988 accoglie bambini, adolescenti e giovani dai cinque ai venticinque anni e combatte la povertà educativa e la dispersione scolastica. Il centro organizza attività e corsi professionalizzanti per ragazzi e ragazze. Molti di loro si sono ritrovati fuori dai percorsi educativi.

Per l’operatore, la strada che dalla nascita porta alla vita lavorativa nel quartiere dove si svolgono le attività del centro – e più in generale nelle zone periferiche e più depauperate – è paragonabile a una scala “in cui però i primi gradini delle scuole dell’infanzia risultano segati, mentre quelli successivi, ossia le elementari o le medie, sono traballanti”. E dunque, man mano che si va avanti, “la scala si trasforma in una pertica impossibile”. Questa situazione, peraltro, aggiunge Di Giovanni, “rende i minori preda di lavoro nero e criminalità organizzata”.

Alle medesime conclusioni era già arrivata nel 2021 l’inchiesta sulla condizione minorile in Sicilia condotta dalla Commissione regionale Antimafia, che aveva evidenziato in alcuni quartieri periferici punte di evasione scolastica anche del 50-60% e indici di dispersione riferiti dai Tribunali per i minori tra i più alti d’Europa, “con un picco drammatico nel passaggio tra la scuola media e le superiori”.

“La condizione minorile nelle periferie siciliane è ostaggio di un disagio antico e irrisolto. Ragazze e ragazzi che vivono la propria vulnerabilità potendo contare solo sulla presenza della scuola: a volte accettata, a volte subita, spesso rifiutata”, si legge nella introduzione della relazione. “Dove non arriva l’offerta formativa e educativa dello Stato spesso arriva la criminalità organizzata, con un sistema di seduzioni, valori e reclutamenti che segna per sempre il destino di questi minori”.

Per i commissari, “l’ascensore sociale nelle periferie siciliane si è fermato ai piani alti”.

 

 

 

Photo credits: costajonicaweb.it

Sulla base degli ultimi dati ISTAT disponibili, nel 2017 in Sicilia i minori segnalati dalle forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria erano stati 3.326.

Dall’abbandono scolastico al reclutamento nella criminalità organizzata il passo è breve. Come si legge nell’inchiesta della Commissione regionale Antimafia, una volta abbandonati gli studi, i ragazzi hanno due sole alternative: alimentare il lavoro nero attraverso piccoli impieghi nei quali vengono sfruttati, o diventare essi stessi manovalanza per le organizzazioni criminali. Dove la scuola fallisce, i giovani trovano nel crimine un’occasione di riscatto sociale, un modo per avere un senso di identità, per compensare la loro situazione di inferiorità sociale. Tanto più che, in queste realtà, il rapporto quasi di continuità tra abbandono scolastico e ingresso nelle maglie della malavita è spesso favorito anche dai contesti famigliari, consenzienti e indifferenti all’interruzione degli studi da parte dei loro ragazzi, considerati forza lavoro.

In Sicilia, spiega il documento della Commissione, “nei quartieri più degradati delle città intere famiglie vivono dello spaccio di droga, un segmento criminale per il quale i ragazzi sono indispensabili in quanto hanno un rapporto diretto con gli acquirenti. Nei periodi di maggiore presenza nel territorio delle forze dell’ordine, i ragazzi fungono da vedette, denunciando ai propri sodali, e a possibili compratori, i movimenti sospetti che sconsigliano l’attività di spaccio”.

I ragazzi così reclutati commettono reati predatori spingendosi sino al centro delle città. Come spiega il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, Roberto Di Bella, ai ragazzini anche al di sotto dei 14 anni si chiede “di fare la vedetta, il confezionamento delle dosi, il pusher o il trasporto da Librino o da San Cristoforo (quartieri periferici di Catania, N.d.R.) al centro della città della droga con i motorini. E poi questi ragazzi, oltre che spacciare, commettono reati predatori. E non li commettono a Librino, ma nel centro della città, escono dal loro territorio per compiere furti di autovetture, riciclaggio di macchine e questo avviene sempre sotto il controllo delle organizzazioni criminali”.

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