Sotto la Banca (Marche) la gente crepa

“Non abbiamo più una banca…”. E il conto del crac miliardario è stato accollato a piccoli risparmiatori, pensionati, famiglie. Banca Marche ha tradito il territorio e la fiducia di chi ci vive. Ma il terremoto dei conti correnti, prima del sisma vero e proprio, ha messo a nudo l’evanescenza dell’imprenditoria locale al governo dell’economia.   […]

Non abbiamo più una banca…”. E il conto del crac miliardario è stato accollato a piccoli risparmiatori, pensionati, famiglie. Banca Marche ha tradito il territorio e la fiducia di chi ci vive. Ma il terremoto dei conti correnti, prima del sisma vero e proprio, ha messo a nudo l’evanescenza dell’imprenditoria locale al governo dell’economia.

 

Banca Marche, storia di un crack

È la storia che nel 2015 fa implodere insieme gli istituti di credito di mezza Italia: Banca Etruria, Popolare Vicenza e Veneto Banca, Carisparmio Ferrara, Carichieti. E, appunto, Banca Marche, nata dalla fusione delle Casse di Pesaro, Macerata e Jesi e avvelenata da 6 miliardi di crediti, incagli, “baciate” e bilanci virtuali. Sembrava lo sportello cucito su misura dei distretti (calzature, elettrodomestici, componentistica) che dal confine con l’Emilia guardano all’Europa. Ma si è rivelato un bancomat a senso unico per il giro che conta, la cassa continua degli eletti, l’isola del tesoro degli “sceriffi”. Banca Marche è stata lo specchio di un reame fuori controllo. E naturalmente a migliaia di dipendenti e risparmiatori truffati restano la carta straccia delle azioni e le carte bollate dei processi postumi.

La cronaca giudiziaria restituisce la recente assoluzione nel rito abbreviato dei tre revisori dei conti (Piero Valentini, Marco Pierluca, e Franco D’Angelo). A maggio invece andranno alla sbarra per bancarotta fraudolenta, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza una dozzina di dirigenti di Banca Marche, fra cui gli ex presidenti Lauro Costa e Giuseppe Michele Ambrosini, con l’ex direttore generale Massimo Bianconi.

Tre profili istituzionali, insindacabili, iridescenti. Costa martedì 17 dicembre 2013 viene insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica dal presidente Giorgio Napolitano. L’avvocato Ambrosini, padre di tre figli, occupa la cattedra di Procedura penale all’Università di Urbino. Bianconi fa carriera in Banco di Santo Spirito, passa per Agricola Mantovana e Cariverona, nel 2000 è direttore generale di Credito Italiano e nel 2002 guida il marketing strategico di San Paolo-Imi prima di approdare nell’aprile 2004 in Banca Marche.

Dopo si scopre che già il bilancio 2011, dietro l’utile di 135 milioni, occulta 1,3 miliardi di gestioni tossiche (aumentate del 28% nel giro di un solo anno). Dopo si capirà che l’aumento di capitale di 180 milioni effettuato nel 2012 è già polverizzato. Dopo tutti sapranno che Banca Marche ha bruciato 600 milioni di depositi dei correntisti.

Prima era sempre la vecchia Cassa di risparmio, tradizionale garanzia del gruzzolo di famiglia come della liquidità delle piccole aziende formato famigliare. Lo sponsor delle squadre del cuore, il sostegno alle iniziative di campanile, la tesoreria amministrativa, il confessionale delle piccole vergogne quotidiane. Insomma, la banca formato locale.

 

La matassa del fallimento

Ma anche nelle stanze dei bottoni di Banca Marche batteva il cuore della “sussidiarietà nazionale” che nel Duemila vede all’opera una compagnia di professionisti, politici, mandarini, finanzieri, costruttori e coop. Un diagramma di flusso perfino sorprendente, non appena ci si applica alle informazioni di pubblico dominio.

Già nel bilancio 2012 della Fondazione Carisparmio Pesaro (22,51% di Banca Marche) affiora il “business green” da 13 milioni e 90 mila euro perfezionato il 2 agosto nello studio del notaio padovano Nicola Cassano, legato a filo doppio con l’ex ministro Flavio Zanonato (“Il Formigoni del Veneto” secondo il Corriere della sera). Si tratta degli impianti fotovoltaici di Lentini (Siracusa) di Solvestia3 Srl amministrata da Vittorio Gianluigi Belcastro, calabrese classe 1975. Ma è il fondo Real Energy che detiene il 100% di Solvestia3 Srl: fa parte della galassia di interessi che dal Nord Est arriva fino alla holding Seci della famiglia Maccaferri in Emilia e alle banche marchigiane. Tant’è che la Fondazione di Pesaro detiene quote per 2 milioni di euro, che all’epoca sembrano redditizie. E seguendo il filo di Real Energy dopo il “botto” di EstCapital Sgr si arriva – attraverso Serenissima Sgr e un personaggio del calibro di Elia Valori – fino al giro dei finanzieri lombardi, fra cui il varesino Luca Galli espulso dalla Lega Nord nell’estate 2017.

Il bilancio 2014 della Fondazione Carisparmio di Fano (3.35% delle azioni Banca Marche) certifica invece tre fondi immobiliari sempre targati EstCapital Sgr, all’epoca già in amministrazione straordinaria per disposizione di Bankitalia e del ministro Pier Carlo Padoan. I due milioni di Real Venice I si sono dimezzati; Realest I vale 750 mila euro contro gli originali 1,5 milioni; Geo Ponente si è ridotto a 1,8 milioni. Investimenti destinati a naufragare, perché il sistema della speculazione immobiliare in grande stile è già finito nel mirino della Guardia di finanza e della Consob.

EstCapital Sgr (sede legale in via Carlo Leoni 7 a Padova) è il crocevia di operazioni non solo su Venezia e Milano, ma fa perno sulla banca Edmond de Rothschild con sede al 20 di Boulevard Emmanuel Servais a Lussemburgo. Salvadanaio miliardario per 200 “investitori qualificati”, EstCapital Sgr si rivela una bolla di sapone per tutti. Anche nelle Marche, così simili al Nord Est che voleva clonare altri soldi facili dal miracolo economico ormai al capolinea.

E proprio come in Veneto i salotti buoni incassano perfino dai fallimenti, perché ogni perdita è scaricata su chi deve sempre sudarsi il conto in banca. Così il 24 maggio 2016 la Commissione di indagine della Regione su Banca Marche, presieduta da Mirco Carloni (Area Popolare), licenzia una relazione in cui si legge: «Anche le Fondazioni proprietarie di Banca Marche non sono esenti da responsabilità: l’elevata percentuale di capitale sociale posseduta delle Fondazioni bancarie ha, infatti, determinato che – nel bene e nel male – esse abbiano sempre influenzato, nei fatti, le decisioni della banca, in alcuni casi anche sul fronte delle scelte della direzione».

Ciò che resta di Banca Marche

Banca Marche, del resto, cementava interessi composti. Una linea di credito speciale con i soldi dei risparmiatori. Dettaglia Marco Ricci di Cronache Maceratesi a beneficio della puntata di Report che va in onda l’8 maggio 2017: «Nel complesso possiamo parlare di una decina di posizioni debitorie: 850 milioni di euro. Abbiamo il Gruppo Lanari, costruttori anconetani molto importanti, 250 milioni; il Gruppo Santarelli di Ascoli, un altro costruttore, 140 milioni; la Polo Holding di Fano, di nuovo costruttori, 130 milioni di euro; poi i gruppi Casale e Degennaro per un complesso di 100 milioni; Gruppo Ciccolella, che sono dei vivaisti pugliesi, più o meno 80 milioni; più altri 60 milioni il gruppo Mulazzani Italino di Rimini, sempre un gruppo edile; un altro gruppo di Fano, il gruppo Mattioli, 50 milioni di euro; 30 milioni di euro al gruppo riconducibile a un commercialista anconetano, ex consigliere regionale, Franco Sordoni: più 17 milioni di euro ad esempio ascrivibili al gruppo di Mazzaro Canio, conosciuto perché ex marito di Daniela Santanchè, nelle cui società tu trovi come consigliere di amministrazione Cirino Pomicino, piuttosto che il figlio di Massimo Bianconi».

Bancarotta “sorprendente”, se ci s’illude che l’impresa costruisca un mondo migliore per tutti. Banca Marche lascia in eredità macerie che sono una lezione da imparare a memoria. In attesa delle aule di giustizia.

 

Photo credits by LaPresse

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