Talento come vivenza, più che sopravvivenza

Alcune cose succedono solo a Napoli. Nel bene e nel male questa città ha una faccia, un nome, una personalità (multipla), una fama, un panorama, un male endemico, una bellezza inaudita e un milione di storie e di talenti. Napoli è un mondo non globalizzato. Capace di integrare e mischiare, prendere e miscelare, copiare e […]

Alcune cose succedono solo a Napoli. Nel bene e nel male questa città ha una faccia, un nome, una personalità (multipla), una fama, un panorama, un male endemico, una bellezza inaudita e un milione di storie e di talenti.

Napoli è un mondo non globalizzato. Capace di integrare e mischiare, prendere e miscelare, copiare e reinventare: Napoli dialoga con tutti i generi, con tutte le tradizioni e le lingue, ma riesce sempre a integrarle, a farle proprie, a renderle partenopee. Napoli è porosa, assorbe ma non perde la sua personalità. Rimane particolare, tipica, riconoscibile, non omologata.

 

Napoli, a ciascuno il suo pubblico

Il fado, il blues, il jazz, il rock, il pop, la melodia e la neomelodia: la musica e la canzone napoletana, tra tradizione e contaminazione, sono la prova vivente di questa capacità di mischiare e rinnovare mantenendo radici profonde e caratteristiche inconfondibili.

Questo vale anche per il cinema e altre arti. Perché le arti praticate a Napoli sono tante. E anche i talenti sono tanti; eh sì, ci sono talenti a iosa, e non tanto e non solo per la teatralità del carattere cittadino. Il segreto di tanti talenti non è il clima né il mare (che probabilmente anche hanno la loro influenza). Il segreto è una verità storica ancora assai viva: Napoli ha un grande pubblico. Un pubblico che giudica, premia, applaude, seleziona, decreta grandi successi e grandi flop; un pubblico per la musica e per il teatro; un pubblico per la canzone e per lo sport; un pubblico per il Cinema. Un numerosissimo pubblico che “consuma” con passione storie e linguaggi, narrazioni e personaggi, luoghi e lingue del proprio territorio.

Non c’è città né Regione in Italia che abbia gli stessi consumi locali alti e continuativi di proposte culturali, editoriali, musicali, teatrali e cinematografiche legate al territorio così come Napoli e la Campania. Ecco: il segreto dei tanti talenti è l’esistenza di un pubblico, del pubblico.

 

La “vivenza” del talento napoletano

L’esistenza dei talenti forse deriva anche dalla teatralità del carattere e, a volte, dalla sopravvivenza. Ma può esserci anche una “vivenza”: è un modo di essere, di vivere, di lavorare. È difficile perché gli aspiranti sono tanti, ma c’è un pubblico per tutti: nei cabaret, nelle tv private, nel giro discografico, nelle feste di piazza e nelle feste di matrimoni, nei teatri più importanti, nel cinema comico regionale e in quello di genere.

Prima e al di là dei social, Napoli riconosceva e promuoveva i suoi beniamini di quartiere in quartiere e li spingeva a riempire i teatri. Comici o melodrammatici, rapper o neomelodici: c’è spazio per i talenti emergenti.

Forse ogni napoletano vorrebbe cantare o recitare, ma a molti tocca fare altri lavori: commercianti, tassisti, muratori, impiegati. Però un pizzico di artisticità la rivendicano tutti; anche il barman e il cameriere che recitano poesie o “fanno teatro” a beneficio del cliente .

Ci sono, nel Sud del mondo, altre città come Napoli: locali e globali, ricchissime di artisti e povere di economia industriale. Ma non sono moltissime quelle porose e veramente capaci di contaminare e fare propri tutti i generi, quelle conosciute internazionalmente per le loro radici e folklore ma anche per le novità di creazione contemporanea, quelle con artisti di eccezione.

 

Napoli e l’arte della felicità

E allora, se questa analisi impressionista fosse vera, a Napoli potrebbero nascere molti progetti coraggiosi, audaci. Perché ci sono capitani e ci sono marinai; perché ci sono curiosità e passione che possono spingere una nave e un gruppo. Ci si attrezza per le sfide, si superano ostacoli senza deprimersi, si superano limiti di indotto e a volte anche di esperienza. Si osa, a Napoli. Forse ci si prova più che in altri luoghi .

La canzone classica, Murolo, Carosone, Peppino di Capri, Gli Showmen e James Senese, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Massimo Ranieri, Almamegretta, Gragnaniello, 99 Posse, i Foja: la canzone napoletana ha viaggiato e viaggia tra i generi. E così il cinema, dalle origini del muto con Elvira Notari fino ad Alessandro Siani, passando per Totò, De Filippo, Rosi, Troisi, Pisciscelli, Servillo, Martone, Corsicato, Sorrentino, Capuano, De Angelis: una linea continua di storie napoletane, di lingua, di dialetto, di stile, di grande qualità.

La nostra MAD (la factory di produzione nata a Napoli) ha realizzato un lungometraggio in animazione con un budget “inesistente”, e nel 2014 ha vinto l’“Oscar europeo” come miglior film contro i colossi dell’industria francese ed europea. Il film si intitolava L’arte della felicità.

Il titolo e il film non intendevano omaggiare banalmente un’arte del sorriso permanente, quanto un’arte di reagire alle contraddizioni e ai dolori della vita ricostituendo equilibri di felicità. Non un’arte di arrangiarsi, né un’arte di sopravvivenza, ma un’arte, una techné, una filosofia operativa che è la capacità di essere nel flusso delle contraddizioni, ma anche di stupirsi. Desiderare e godere della vita.

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