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TikTok, non solo algoritmo: nel documento scovato dal NYT i favori ai content creator
Tempo di visualizzazione, accoglienza e fidelizzazione dei content creator: spieghiamo il funzionamento dell’algoritmo di TikTok e le sue differenze rispetto a quelli dei social di prima generazione.
Da bravi boomer è lecito rimanere stupiti, se non increduli, di fronte a video che su TikTok, con l’hashtag #beanstok (da beans, fagioli), raccolgono oltre 1,5 miliardi di visualizzazioni; o è comprensibile chiedersi per quale motivo siano stati visti 512 milioni di volte i contenuti contraddistinti da un cancelletto altrettanto buffo, #frogtog (da frog, rana).
Le ragioni sono di certo riconducibili a una piattaforma che, sostituendosi per le nuove generazioni a Facebook e Instagram, ha saputo far emergere nuove energie creative e dare voce a una nuova classe di creatori di contenuti anche grazie alla qualità dell’editor video, tanto avanzato quanto intuitivo, che mette a disposizione effetti (i Duets e gli Stitch, per esempio) del tutto superiori agli altri social network.
Un social network frequentato da teenager e content creator, e ancor più una piattaforma che ha nella personalizzazione dell’esperienza il suo fattore distintivo, è il più attrezzato a ospitare con successo, accanto ai contenuti mainstream, manifestazioni di culture alternative. Culture che, organizzate attorno a un TikTok parallelo (#alttok), producono non solo i risultati citati, ma in modo ancor più interessante offrono uno spaccato unico su nuovi fenomeni anche di attivismo politico presenti nella società. Senza dimenticare però che allo stesso tempo, in questi ambiti, abbondano negli Stati Uniti i profili anti-vaccinisti e legati a QAnon, e si diffondono con rapidità challenge e contenuti improntati ad atteggiamenti pericolosi soprattutto per il pubblico più giovane, maggiormente esposto alla spettacolarizzazione e alla diffusione di comportamenti rischiosi o deplorevoli.
Il successo di TikTok? Questione di algoritmo: perché è diverso da Facebook e Instagram
Le ragioni del successo di TikTok, che lo scorso autunno ha tagliato il traguardo del miliardo di utenti attivi mensili in poco più di cinque anni – laddove WhatsApp ci aveva messo 6,2 anni, Instagram 7,7, YouTube 8,1 e Facebook 8,7 – sono però derivanti non solo dalla connessione con i social network più noti, nell’ambito dei quali ha saputo diffondersi, e neppure solo grazie alle funzionalità offerte dai nuovi cellulari che è stato capace di valorizzare, ma anche in forza delle caratteristiche dell’algoritmo alla base della personalizzazione del suo feed.
Mentre Facebook e Instagram promuovono la visibilità di un post o di un’immagine nella misura in cui questi ultimi siano stati resi oggetto di reazioni e commenti – il cosiddetto engagement – e racchiudono di conseguenza in bolle l’esperienza di navigazione per via della consuetudine a interagire con Gruppi e Pagine, TikTok ha saputo premiare video e musiche in qualche misura di maggior qualità. Mentre Facebook e Instagram non si sono dimostrati capaci di proteggere la navigazione dai fenomeni delle fake news e dell’hate speech, che il loro algoritmo sovra-rappresenta per la visibilità che conferisce ai contenuti divisivi, TikTok ha improntato i propri criteri di raccomandazione a ben altri fattori.
Per premiare la qualità dei contenuti e la scoperta di nuovi linguaggi, l’algoritmo di TikTok che regola il feed “For You” consente infatti una elevata personalizzazione dei suggerimenti e mira a riflettere le preferenze specifiche di ciascun utente. Elemento centrale nelle trattative che avrebbero potuto portare un’azienda americana a rilevarne le attività locali durante la presidenza Trump, l’algoritmo di TikTok consiglia infatti i contenuti classificando i video in base a una combinazione di fattori, a partire dagli interessi che ciascun individuo esprime:
- le interazioni con i video precedenti;
- gli account seguiti;
- i commenti pubblicati;
- i contenuti creati;
- l’affinità rilevata grazie a didascalie, musiche e hashtag;
- in misura minore, le impostazioni del dispositivo e dell’account come la lingua, il Paese e il tipo di smartphone.
La granularità dei fattori e la differenza con gli algoritmi di Facebook e Instagram, che mettono l’accento sulla popolarità raggiunta da un contenuto all’interno di una cerchia di utenti, rendono dunque For You di TikTok un perno davvero personalizzato nell’accoglienza. Per questo è capace di creare e aggregare community come le culture alternative, che si raccolgono nell’#alttok e nei diversi hashtag settoriali.
Tempo di visualizzazione, fidelizzazione, aggregazione: un documento interno spiega come funziona TikTok
Nella definizione di TikTok: “Mentre è probabile che un video riceva più visualizzazioni se pubblicato da un profilo che ha più follower, in virtù della sua follower base ampia, né il conteggio dei follower né il fatto che il profilo abbia pubblicato in precedenza video di successo sono fattori diretti agli occhi del sistema di raccomandazione”.
La qualità dei video risulta poi premiata dal tempo di visualizzazione, un fattore che già aveva sancito la nascita del nuovo YouTube, ma che risulta assente o di limitata importanza negli algoritmi di Facebook e Instagram. Come afferma TikTok stesso, “un forte indicatore di interesse, ad esempio se un utente finisce di guardare un video più lungo dall’inizio alla fine, riceverebbe un peso maggiore rispetto a un indicatore debole, ad esempio se lo spettatore e il creatore del video si trovano entrambi nello stesso Paese. I video vengono quindi classificati per determinare la probabilità di interesse di un utente per un contenuto e consegnati a ciascuno specifico feed For You”.
A promozione della qualità dei video vi è infine un ulteriore fattore. Secondo un rapporto del New York Times, che ha esaminato una copia trapelata di un documento interno di TikTok che riassume come funziona il suo sistema, risulta determinante ai fini della permanenza e del ritorno degli utenti la fidelizzazione dei content creator, assicurandosi che guadagnino, pur non intervenendo sul piano dell’algoritmo. È del resto ciò che accade da anni nel contesto del gaming, dove Twitch (di proprietà di Amazon) e YouTube si contendono i video e le dirette realizzate dagli streamer per il loro pubblico a suon di commissioni offerte e funzionalità messe a disposizione.
Presentare i contenuti in ragione del tempo speso anziché dell’engagement e servirsi dei creatori come snodi cruciali per accrescerne la qualità e per aggregare community sono dunque i pilastri di una strategia che rappresenta una linea di demarcazione essenziale nei confronti dei social network di prima generazione: da reti sociali, i social media diventano sempre più piattaforme di entertainment e, se lasciano spazio alla manifestazione di molti, non trovano dunque più essenziale la partecipazione di tutti.
Per dirla con una vecchia canzone di Jovanotti, ci dividono in più di una tribù. Una tribù che balla.
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