Turismo in Puglia: il nemico è abusivo

È una tassa “facile”, quella di soggiorno, perché applicata dalle amministrazioni comunali non ai propri cittadini ed elettori, ma a viaggiatori e turisti. È inoltre gestita in maniera autonoma dagli enti locali che la introducono (le Unioni dei comuni, i comuni capoluogo di provincia, nonché quelli inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città […]

È una tassafacile”, quella di soggiorno, perché applicata dalle amministrazioni comunali non ai propri cittadini ed elettori, ma a viaggiatori e turisti. È inoltre gestita in maniera autonoma dagli enti locali che la introducono (le Unioni dei comuni, i comuni capoluogo di provincia, nonché quelli inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte), rappresentando un’importante fonte di entrate per casse spesso vuote. Nel 2017 il governo ha eliminato il blocco all’introduzione dell’imposta e all’aumento delle aliquote, favorendo le località a maggiore vocazione turistica. Secondo l’ultimo rapporto disponibile (maggio 2018) dell’Osservatorio nazionale di JFC sulla tassa di soggiorno, nel 2017 è stata superata quota 463 milioni di euro di incasso, con una previsione per il 2018 – in attesa dei numeri definitivi – di 507 milioni di euro. Facile allora capire come quello della tassa di soggiorno sia un terreno di scontro aperto tra albergatori e comuni. Anche in Puglia, dove sono 27 le amministrazioni che l’hanno già varata.

 

Le ragioni del no

La posizione di Federalberghi è sempre stata in questi anni fortemente contraria all’imposta, considerata un balzello ma anche un freno allo sviluppo di una industria turistica vera e propria, con ricadute sull’occupazione – giovanile e femminile in primis – che non può sfruttare le potenzialità connesse all’incremento di arrivi e presenze in regione.

«Tutto nasce a monte: i Comuni sono in ristrettezze e devono reperire gettito», spiega Francesco Caizzi, presidente Federalberghi Puglia. «La tassa di soggiorno dovrebbe essere un’imposta di scopo e decisa con gli operatori del settore, ma di fatto non lo è», prosegue Caizzi. «Nella mia esperienza diretta alla guida di Federalberghi Bari-Bat non sono mai stato convocato in alcun tavolo per affrontare il tema del suo utilizzo».

Caso particolare quello di Castellana Grotte, dove nel 2018 Federalberghi ha presentato ricorso al Tar contro l’introduzione dell’imposta di soggiorno; ricorso poi respinto. La bagarre, ammette però Caizzi, ha aperto un confronto tra amministrazione comunale e associazioni di categoria delle strutture ricettive per il miglioramento del regolamento e l’utilizzo degli introiti. Del resto, come riporta anche l’Osservatorio di JFC, le amministrazioni comunali, non avendo alcun vincolo contabile specifico, tendono a comunicare solo l’incasso ma non il dettaglio dei reali investimenti effettuati nella voce turismo.

L’Assessore Regionale all’Industria Turistica e Culturale Loredana Capone, pur naturalmente rispettando l’autonomia comunale, ha invitato gli enti locali ad adottare l’imposta a vantaggio della qualità dei servizi offerti con «una sorta di destinazione vincolata a beneficio dei turisti, e quindi indirettamente degli stessi operatori turistici». Non va poi sottovalutato l’onere legato al tributo che ricade sulle spalle dell’albergatore: chi gestisce una struttura ricettiva è incaricato di pubblico servizio ed equiparato ad agente contabile nei confronti del Comune quando si tratta dell’incasso effettivo dell’imposta di soggiorno. La mancata riscossione della tassa implica danno erariale, e la sua appropriazione indebita configura il reato di peculato.

 

Panorama di Ostuni, la Città Bianca. Foto di Carlos Solito

Condividere l’accoglienza

A fornire un altro punto di vista è Daniele Capriglia, titolare della Masseria Salinola di Ostuni che appartiene alla sua famiglia da quattro generazioni. «Personalmente non sono contrario alla tassa di soggiorno, perché i costi generati dall’afflusso di ospiti non possono ricadere solo sulla cittadinanza. Ormai chi viaggia è abituato a pagarla un po’ ovunque nel mondo. E tutto sommato nella nostra destinazione non è neanche eccessivamente esosa (si va da uno a due euro, N.d.R.), se comparata ad altre località».

Capriglia riconosce però delle criticità nella gestione del tributo. «Le stesse risiedono probabilmente nella mancanza, all’interno della norma stessa, di un vincolo di destinazione. Perciò il ricavato viene utilizzato per gli usi più disparati, che tutto sommato concorrono in parte a migliorare l’accessibilità della città stessa sotto vari aspetti (pulizia, sicurezza, mobilità, intrattenimento). È ovviamente importante che chi paga l’imposta di soggiorno riceva in cambio determinati servizi, ma non credo che offrire un servizio di trasporto ai visitatori oppure una connessione wi-fi gratuita abbia lo stesso valore di trovare una città pulita, ordinata e sicura. Pertanto sono ancor più dell’idea che chi ne amministra il gettito dovrebbe reinvestirlo in parte, facendone un’opportuna pubblicità anche sulla cittadinanza, con benefici tangibili (ad esempio la cura di un giardino, la riparazione di una strada, l’acquisto di un nuovo mezzo di primo soccorso), “ripagandola” della sua collaborazione per aver condiviso i suoi spazi e per aver collaborato a mantenere la città in ordine, pulita e accessibile: il circuito virtuoso per cui ospitare conviene a tutti, e non solo agli attori direttamente coinvolti».

 

Un’alternativa alla tassa?

Nel mirino degli albergatori ci sono Airbnb e portali di home tourism simili per affitti brevi e case vacanze. Airbnb, in particolare, sta sottoscrivendo accordi con singole città italiane e protocolli di intesa per la riscossione dell’imposta di soggiorno, ad esempio in Toscana (protagonista l’Anci) e Sicilia, come ricorda l’assessore regionale Capone.

Un’alternativa alla tassa potrebbe essere la “Terra di Bari Guest Card”, progetto sperimentale frutto dell’accordo interistituzionale tra comune, Città metropolitana, Federalberghi e Camera di Commercio. Si tratta di una destination card che sarà proposta a turisti e visitatori, con la quale potranno accedere a musei, castelli, esercizi e servizi convenzionati.

«L’ispirazione è lo Skypass adottato in Trentino e Veneto, poi evolutosi in guest card in grado di offrire vantaggi a chi l’acquista, come la possibilità di utilizzare gratuitamente i mezzi pubblici, oltre a una scontistica negli esercizi convenzionati», spiega il presidente di Federalberghi Puglia Caizzi. La commercializzazione avverrà entro l’estate, mentre la messa a regime è prevista per il 2020, dopo un anno di sperimentazione. L’obiettivo è consolidare il sistema dell’accoglienza turistica nei 41 Comuni dell’area metropolitana, semplificando le modalità di accesso alle informazioni e ai servizi, anche attraverso la via telematica.

«Rispetto alla tassa di soggiorno, gabella imposta dall’alto, la “Terra di Bari Guest Card” identifica un approccio totalmente diverso al mercato, al territorio e al turismo. Ci auguriamo di innescare un meccanismo virtuoso con cui saranno gli stessi turisti a richiedere la card e a pagare i servizi.»

Turisti a Peschici, foto di Paolo Petrignani

 

Lotta all’abusivismo

Il tema della tassa di soggiorno si intreccia in maniera inscindibile all’abusivismo ricettivo. «A fronte delle 6.000 licenze per attività extra-alberghiere, la scorsa estate», spiega Francesco Caizzi, «su Airbnb risultavano disponibili in Puglia 35.694 alloggi». Secondo la ricerca di Federalberghi, sono stati rintracciati quasi 29.000 annunci riferiti a interi appartamenti, dei quali circa 23.000 disponibili per più di sei mesi; 23.079 quelli gestiti da host che mettevano in vendita più di un alloggio.

Anche la regione, tramite Pugliapromozione, ha commissionato numerose ricerche per conoscere l’entità del sommerso nel settore ricettivo. In base ai dati raccolti, il moltiplicatore turistico per l’intera Puglia è stato nel 2016 di 5,15: per ogni presenza turistica Istat ve ne sono state altre 4,6 non rilevate. La proliferazione dell’abusivismo incide naturalmente sull’evasione dell’imposta di soggiorno, versata quindi dai soli operatori in regola, determinando per Caizzi «una discriminante evidente nel contesto economico».

Per facilitare il censimento e il controllo, la regione ha approvato a fine novembre l’introduzione di un registro regionale delle strutture ricettive non alberghiere e di un codice identificativo (Cis) per questi alloggi, con l’obbligo di indicarlo in ogni forma di promozione e pubblicità. In base alla normativa ogni annuncio di affitto, stampato o digitale, deve riportare il codice. In caso di inadempimento, sarebbe l’intermediario immobiliare o il gestore del portale a pagare la sanzione pecuniaria prevista.

La doccia fredda è però arrivata dall’esecutivo, che ha impugnato la legge pugliese. Applicare il Cis alle case vacanze in affitto configurerebbe non un rapporto di locazione tra privati, ma una vera e propria attività economica di tipo turistico ricettivo, violando in questo caso la competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile. «Il governo, invece di intervenire semplificando le norme e facendo una legge nazionale contro l’abusivismo, come tutte le regioni chiedono, ha impugnato la nostra legge sul codice identificativo. Vorremmo un maggiore contrasto a questo fenomeno che rischia di danneggiare l’immagine di chi si impegna e garantisce economia e occupazione», ha commentato l’assessore Loredana Capone.

 

I nodi da sciogliere nel turismo in Puglia

«L’abusivismo fa male a ogni destinazione turistica e settore economico. È frutto della sharing economy, che ha permesso al privato di svolgere l’attività di ospitalità senza però sottostare alla giungla di norme, enti e tributi che le imprese devono rispettare. Come al solito il gap è a livello normativo», fa notare Daniele Capriglia. «Le tecnologie a disposizione potrebbero arrivare in soccorso con – ad esempio – l’obbligo di tracciare i pagamenti e con gli intermediari sostituti d’imposta, quando e se a livello nazionale si deciderà di metter fine a questa deregolamentazione».

Fatto salvo il controllo esercitato dalle autorità preposte, la soluzione per il titolare della Masseria Salinola è puntare sulla qualità. «Non credo che le strutture ricettive che eccellono nel loro settore debbano temere la concorrenza sleale dell’appartamento abusivo, in quanto parliamo di tipologie di accoglienza diversa rivolta a viaggiatori diversi. Perciò l’unico modo che le imprese hanno per difendersi è quello di riposizionarsi sul mercato, alzando il livello dei servizi offerti, laddove l’abusivo non può arrivare».

Federalberghi, così come le altre associazioni di categoria degli albergatori, non arretrano di un passo e continueranno a perseguire una linea d’azione intransigente contro l’illegalità ricettiva, che produce zone d’ombra non solo in materia fiscale ma anche sul fronte della sicurezza. «Il fenomeno è molto più complesso di quanto si pensi», conclude Francesco Caizzi, riflettendo sulle distorsioni prodotte da questa forma di sharing economy anche in Italia, dopo metropoli come Barcellona, Parigi e Berlino. «Non vanno trascurati gli effetti sul tessuto urbano e sul mercato dell’edilizia abitativa, come la desertificazione dei centri storici determinata dalla scarsità di alloggi, destinati alle locazioni turistiche brevi piuttosto che all’affitto».

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