I caregiver familiari, soprattutto donne, sono costretti ad abbandonare vita e lavoro per prestare assistenza ai parenti: “Sostegno solo ai disabili. E a noi? Chiediamo reddito, tutele e pensione”.
Anche il ricco Veneto piange i suoi salari. E 100.000 NEET
Il Veneto lavora, ma a che prezzo? E chi resta indietro nella corsa della locomotiva d’Italia? L’analisi sulla situazione della Regione con le testimonianze di Tiziana Basso (segretaria generale CGIL Veneto) e Cristian Rosteghin (Alleanza contro la povertà).
Trecentomila famiglie a rischio povertà. Sono dati da monitorare con attenzione quelli emersi dal report di Bankitalia sull’economia veneta, presentato alla fine dello scorso mese di giugno. Il lavoro, coordinato dal ricercatore Vanni Mengotto, ha messo in luce elementi di certo non nuovi rispetto all’attuale periodo storico italiano e globale, ma che un po’ stridono con la tipica definizione che racconta il Veneto come l’inarrestabile locomotiva d’Italia. E invece inflazione, bollette e carovita incidono in modo rilevante sul 15% complessivo dei nuclei famigliari della Regione guidata da Luca Zaia, provocando di fatto un drastico calo dei consumi, in particolare quelli destinati al tempo libero.
Peraltro, alla fine del 2021 solo 35.000 famiglie hanno percepito la principale forma di sostegno, il Reddito o la Pensione di Cittadinanza. Una percentuale esigua, che si attesta all’1,7% del totale e che rappresenta un quadro di certo meno plumbeo rispetto alle previsioni legate alle quote di spesa. D’altro canto il capitolo occupazione in Veneto racconta pagine confortanti, con un 2021 che è tornato a rappresentare un saldo positivo tra le posizioni lavorative attivate e quelle cessate.
Tiziana Basso, CGIL Veneto: “In Veneto si abbassa la qualità dei posti di lavoro”
A fornire gli ingredienti più attuali ci aiuta l’osservatorio sul mercato del lavoro di Veneto Lavoro, che con la sua Bussola tratteggia i confini del primo semestre 2022. Il volume di assunzioni è pari a 335.000, aumentato del 30% rispetto all’anno precedente e comunque sopra anche ai risultati del 2019 nello stesso periodo. Nel secondo trimestre, infatti, è stata rilevata una variazione positiva della domanda di lavoro del 7% in confronto a tre anni fa. Rispetto al 2021, inoltre, si parla appunto di quasi 21.000 posizioni a tempo indeterminato in più. Indicativo anche il dato sui dimissionari: +32% sul 2019 nel settore privato, fenomeno legato in modo particolare alla popolazione in età centrale, che rappresenta una quota molto vicina ai due terzi di chi ha lasciato volontariamente il lavoro. Sinonimo, vien da dire, di sana e fisiologica rotazione.
Tuttavia il flusso delle dichiarazioni di disponibilità – di fatto la comunicazione ufficiale di disoccupazione presso i centri per l’impiego – ha registrato un attivo di 56.100 persone nel primo semestre 2022. Il bilancio attuale parla di 267.000 disoccupati accertati e circa 120.000 soggetti in sospensione, che hanno cioè un lavoro precario che permette di congelare la condizione di disoccupazione per ragioni di reddito. Segnale che evidenzia, per questa categoria di cittadini, la grande differenza tra la possibilità di conquistare un impiego a termine e la capacità di uscire in pianta stabile dalla soglia di povertà. Chiave di lettura interessante per fotografare meglio la situazione di una Regione che, in ogni caso, nel 2021 ha abbassato la soglia del tasso di disoccupazione al 5,3% contro il 9,5% della media nazionale.
“I buoni risultati occupazionali e il numero di famiglie a rischio povertà sono dati solo apparentemente in contraddizione”, osserva Tiziana Basso, segretaria generale CGIL Veneto. “Per comprendere il fenomeno bisogna andare oltre la misurazione quantitativa dei nuovi posti di lavoro e indagarne la qualità. Gran parte dei nuovi occupati viene assunta con contratti precari. È molto alto il part time involontario, che colpisce in particolare le donne. Va poi considerato un processo che dura nel tempo: la terziarizzazione dell’economia veneta”.
Cioè? “In sostanza si perde occupazione nella manifattura, dove i contratti sono migliori e i salari più alti, e aumenta nel commercio e nel turismo, dove le condizioni contrattuali sono peggiori. Sono inoltre molti i contratti nazionali scaduti da anni e che vanno rinnovati. Infine, ma non in ordine di importanza, c’è la questione dell’inflazione, che costerà nel 2022 uno, se non due mensilità a lavoratori e pensionati”.
Una mannaia, per chi è povero pur lavorando e per le pensioni più basse. “Sono tutte contraddizioni che precedevano la pandemia e che l’emergenza sanitaria ha acuito. Il rischio è che esplodano in autunno. Come CGIL ci batteremo per risolvere una questione sociale sempre più eclatante. A partire dai salari, che vanno adeguati, e delle pensioni, che vanno protette dal carovita”.
Cristian Rosteghin, Alleanza contro la povertà: “Avere un lavoro non è più sufficiente”
Sul tema dei salari è allineato anche Cristian Rosteghin, referente per il Veneto di Alleanza contro la povertà in Italia, associazione che raggruppa 36 soggetti sociali con lo scopo di contribuire in maniera collettiva alle politiche pubbliche contro l’indigenza.
“Il problema, che potremmo definire assurdo, è che oggigiorno avere un lavoro non è più sufficiente per essere sereni, il costo della vita e i livelli dei nostri stipendi non garantiscono più alle persone di mantenere una certa tranquillità. Qualche anno fa un’occupazione a tempo indeterminato, senza voler generalizzare, permetteva in media alle famiglie italiane la serenità di arrivare a fine mese; oggi invece basta una banale spesa imprevista come il dentista o la caldaia da cambiare per complicare i piani”.
E tutto questo vale anche per il ricco Veneto? “La locomotiva d’Italia non si è fermata, viaggia ancora bene grazie anche all’economia in crescita del post pandemia. Ma anche i salari dei veneti sono inadeguati, c’è una costante pressione verso il basso che non tutela le persone. Oggi è indispensabile continuare a parlare di salario minimo, una garanzia fondamentale per salvaguardare alcune fasce di lavoratori”.
Anche se bisogna ricordare che le proposte sul salario minimo, che in questi giorni affollano la campagna elettorale, spesso sono inferiori alla retribuzione di tutti i CCNL. “Certamente, ma la fetta di lavoratori che rimane scoperta non è affatto indifferente. Per esempio in Veneto le attività stagionali sono davvero importanti dal punto di vista quantitativo, così come i nuovi impieghi, con i quali spesso i giovani si devono confrontare. Ecco, la legge deve garantire tutela laddove la contrattualistica è ancora più o meno inesistente”.
I crucci del Veneto, dai NEET a chi non può lavorare
L’assessore al Lavoro della Regione Donazzan parla di 100.000 giovani veneti NEET, che non lavorano né studiano. Oltre alle famiglie sono loro i soggetti fragili della catena?
“Ci sono diverse tipologie di persone fragili e dipendono da tutta una serie di costi a cui vanno incontro. Penso per i giovani al costo dell’alloggio, anche se lavorano e non sono passivi. Oppure a chi ha bambini, o ancora agli stranieri che spesso non riescono a sostenere le spese sanitarie. Anche se il Veneto ha misure integrative importanti rispetto al Reddito di Cittadinanza, come il Reddito di inclusione attiva o il sostegno all’abitare, rimangono criticità di fondo. Soprattutto perché queste misure non sono sine die, mentre l’emergenza prosegue”.
Come si inserisce Alleanza contro la povertà in questo contesto? “Il nostro ruolo, a livello nazionale, è di aver sostenuto con forza il Reddito di Cittadinanza e tutte le altre misure di sostegno; siamo una sorta di lobby dei poveri, se mi passa la definizione. Dobbiamo continuare a ricordare che la povertà esiste e che la sua forbice si sta sempre più allargando. Lo scopo è quello di monitorare che i diversi provvedimenti e le risorse vengano investite e impiegate, valorizzate cioè nelle varie esperienze delle Regioni e dei Comuni, con piani individuali dedicati alle persone con difficoltà. Un po’ quello che gli sportelli di Veneto Lavoro già fanno”.
Spesso, in effetti, manca continuità tra le risorse stanziate e la realizzazione di iniziative concrete, delle quali non si racconta quasi mai. “Il punto è proprio questo. Per fortuna la Regione Veneto sta investendo su infrastrutture tecnologiche che stanno portando qualche risultato, anche di natura occupazionale. Ma si tratta di un lavoro lungo e delicato, senza contare che ci sono moltissime persone che non possono trovare nel lavoro la loro forma di riscatto. La retorica dello sfaccendato da divano non considera mai chi, per problemi di diversa natura, non può a prescindere ricollocarsi”.
Per queste persone, e per le loro famiglie, servono tutele concrete.
Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.
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In copertina foto di Jonathan da Pixabay
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