Quando mi decido, non senza qualche imbarazzo, a cercare un contatto con uno a caso dei senza, tetto scelgo i portici di via Vittor Pisani, l’ampio viale che dalla stazione centrale di Milano porta a piazza della Repubblica. Non soltanto perché quel luogo è diventato nelle ore serali e notturne la dimora di molti clochard, ma perché in uno spazio di una ventina di metri si può osservare il contrasto, non solo simbolico ma reale, tra ricchezza e povertà della metropoli milanese. Fin verso le venti in quello spazio dominano le vetrine della multinazionale per la certificazione e revisione dei bilanci KPMG; quando cala il sipario del colosso finanziario e i dipendenti lasciano l’ufficio, arrivano loro, con cartoni e coperte, e in alcuni casi un cane.
Al primo approccio vengo respinto proprio da un cane lupo dal pelo e dagli occhi neri. Non appena mi avvicino all’uomo, che si sta sistemando per la notte, l’animale si desta dal torpore e mi mostra i denti affilati per avvertirmi che è meglio che stia alla larga dal suo compagno di strada. Il suo amico fa un gesto con la mano per calmarlo ma lui non lo ascolta. Chiedo scusa e proseguo lungo i portici.
Ci riprovo con un uomo sui sessant’anni, capello lungo bianco, pelle raggrinzita, occhiali spessi. Sta sfogliando City, un quotidiano gratuito edito da RCS. Interrompe la sua lettura e mi guarda incuriosito. Gli spiego che sto scrivendo un articolo sui senzatetto. Lui sorride con un’espressione sarcastica e mi dice: “Eccone uno”.
Si chiama Mario, ha 61 anni, è nato a Casalpusterlengo, non ha figli, i suoi fratelli sono immigrati negli Stati Uniti anni fa, suo padre e sua madre sono morti. Faceva il tornitore per una azienda di Concorezzo, un distretto industriale della zona nord est di Milano. Quando è stato licenziato non ha detto niente alla moglie. Ha cominciato a bere di nascosto. Utilizzando i risparmi di famiglia ha tentato la scorciatoia del tavolo da poker in una bisca clandestina, nella speranza di recuperare la mancanza di reddito, ma gli è andata male. E gli poteva anche andare peggio, se non pagava i debiti di gioco.
A quel punto, quando in famiglia si sono accorti che aveva dilapidato tutti i risparmi, la moglie ha chiesto la separazione e i suoceri lo hanno cacciato di casa. Da cinque anni vive ai margini della metropoli lombarda. D’estate nei parchi e d’inverno sotto i portici della città, “anche se lì spesso arrivano i poliziotti che ti cacciano via. Però cambiare ambiente devo dire che non mi dispiace. Ogni tanto vado sotto i portici di piazza 24 maggio sui Navigli. Lì qualche passante è capace di offrirti un pranzo”.
I dormitori? “Ho provato ad andare nei dormitori pubblici ma lì spesso ti rubano anche i vestiti. Quindi preferisco starmene sotto i portici o nei parchi. Ho provato a cercare un lavoro, ma non so dove andare, e poi a questa età chi mi prende? Ho sentito parlare del Reddito di Cittadinanza, ma non ci ho capito niente”.
Tra di voi, chiedo facendo riferimento agli altri uomini che dormono lungo i portici, vi parlate, vi conoscete? “No, non siamo una comunità. Abbiamo tutti storie diverse. Vede quel signore con la coperta bianca sulle spalle? Pare fosse un impiegato di banca, ma non gli si può rivolgere la parola. Quello che ci accomuna è la solitudine e una vita di stenti. A volte è una scelta, spesso è la fine di qualcosa che ti è andata male, soprattutto sul lavoro”.