Vittorio Moretti e la Franciacorta: “Qui il terroir è fare impresa”

Dietro l’etichetta c’è un mondo. Franciacorta. Un unico termine per identificare in modo preciso il territorio, il metodo di produzione e il vino. Le “guerre”, le comparazioni con Champagne e Cava (le altre denominazioni realizzate con la rifermentazione in bottiglia), sono ormai sullo sfondo, perché questo territorio nel cuore della Lombardia, affacciato sulle sponde del […]

Dietro l’etichetta c’è un mondo. Franciacorta. Un unico termine per identificare in modo preciso il territorio, il metodo di produzione e il vino. Le “guerre”, le comparazioni con Champagne e Cava (le altre denominazioni realizzate con la rifermentazione in bottiglia), sono ormai sullo sfondo, perché questo territorio nel cuore della Lombardia, affacciato sulle sponde del Lago d’Iseo in un’area di circa 200 chilometri quadrati che comprende 19 comuni della provincia di Brescia, ha raggiunto la piena maturità produttiva e commerciale e guarda al futuro con ottimismo.

Lo fa consapevole del grado di notorietà e di crescita registrato nel mercato italiano e internazionale negli ultimi 50 anni: nel 2018 il Franciacorta stacca Amarone, Prosecco e Brunello di Montalcino imponendosi come la denominazione più venduta nel nostro Paese (dati Osservatorio Signorvino-Nomisma). Ma non si tratta solo di numeri: vendite (17,4 milioni le bottiglie vendute nel 2017, di cui l’11% all’estero), esportazioni, valore economico. È una questione di terroir, di caratteristiche dei terreni, clima, qualità delle uve e degli uomini; elementi che si condensano nell’espressione vitivinicola franciacortina che deve aspirare al massimo livello possibile.

Tra i soci fondatori del Consorzio di Tutela del Franciacorta, nato nel 1990, c’è Vittorio Moretti, suo presidente negli ultimi tre anni e patron delle aziende Bellavista e Contadi Castaldi. Il percorso dell’imprenditore, nato a Firenze ma originario di Erbusco, è peculiare. La sua holding Terra Moretti si declina nel segno della diversificazione, dall’edilizia industrializzata alla progettazione, dall’ospitalità al settore vitienologico, arrivando complessivamente a posizionarsi al quarto posto assoluto in Italia tra le aziende del settore per numero di ettari vitati dopo l’acquisizione delle cantine Sella & Mosca in Sardegna e Teruzzi & Puthod a San Gimignano. Tra i primi a credere nelle potenzialità di questa zona, Vittorio Moretti – nelle vesti di produttore e poi di guida del Consorzio – ha  lavorato per affermare l’eccellenza del Franciacorta e della Franciacorta. Per questo gli abbiamo chiesto di raccontare la sua filosofia imprenditoriale, ma soprattutto di definire che cosa ha permesso a questo distretto di emergere e posizionarsi sul mercato vitivinicolo mondiale.

 

Si è sempre definito un vignaiolo atipico. Com’è cambiata la sua visione di imprenditore avvicinandosi alla vitivinicoltura dall’edilizia, dalle costruzioni?

La visione è qualcosa che fa parte del nostro modo di concepire il lavoro e la vita. Per me il lavoro che dà soddisfazione è quello che sa unire manualità e progettualità; l’edilizia e l’agricoltura non sono differenti in tal senso. Si tratta di lavori molto concreti nei quali l’organizzazione è un fattore determinante, e l’organizzazione è proprio quella che ci permette di vedere oltre il presente e di intuire nuove direzioni. Quello che cambia molto velocemente è certamente il marketing, e per esso ci affidiamo a collaboratori specializzati; ma la visione, il nostro modo di concepire il lavoro e la vita, devono rimanere saldi nel tempo.

Ha dichiarato di ispirarsi a valori quali verità, giustizia e bellezza. Come definirebbe la sua cultura di vita e di impresa anche in relazione al vino, che da passione domestica è assurto ad attività di successo?

Il vino è un bellissimo esempio di come possiamo raggiungere dei risultati che ci danno soddisfazione attraverso la volontà, l’impegno costante, l’organizzazione, il dialogo con i collaboratori e la determinazione a ricercare percorsi nuovi. Il lavoro, come la vita, è un processo di costante cambiamento, e se i valori di fondo rimangono gli stessi, la modalità con la quale diamo loro espressione deve rinnovarsi. Non dobbiamo guardare indietro e dobbiamo avere la capacità di rinnovarci ed essere al passo con i tempi che cambiano. Ho sempre creduto alla famiglia, al concetto di famiglia come stare insieme, dialogare, essere solidali, vivere la felicità; non in senso egoistico, ma pensando di condividerla con gli altri. Un concetto di inclusione che si estende all’amicizia e al lavoro. Il nostro gruppo è una grande famiglia nella quale dialogano saperi diversi, tre diversi tipi di attività: costruzioni, hotel e vino. E anche nel vino ci sono ambiti completamente diversi: dal lavoro della terra si arriva al mercato, passando per la produzione in cantina, l’amministrazione, l’ufficio acquisti, il marketing e il commerciale. In questo momento il mio sforzo è incentrato sulla sinergia tra questi settori e sul dialogo tra le prime linee. Lo sto facendo non solo all’interno di ogni cantina, ma anche tra le cantine stesse. Con l’acquisizione di Sella & Mosca siamo in costante “travaso” di competenze, conoscenze, approcci. In questo le seconde generazioni sono importanti, perché mia figlia Francesca è l’anello di collegamento tra il mondo lavorativo che ho fondato e immaginato e quello del futuro. Del resto, la famiglia è incentrata sul concetto di trasmissione e di continuità.

Quando ha fondato Bellavista la situazione produttiva e “culturale” in Franciacorta non era certamente quella attuale. Si può parlare di vocazione bresciana al vino o piuttosto di un know-how costruito nel tempo?

La vocazione alla produzione di vini è alla base di tutto. In Franciacorta i terreni si prestavano storicamente a un’agricoltura di eccellenza, e l’idea di fare della Franciacorta un grande vigneto è venuta di conseguenza a questa vocazionalità. Su questa attitudine territoriale si è poi innestata la capacità imprenditoriale di realizzare un marchio, e per realizzare un marchio occorre una volontà forte, una determinazione che solo l’imprenditore può avere.

Quali fattori reputa decisivi nella creazione del brand Franciacorta?

È decisiva la volontà di tenere alto il valore del marchio con l’eccellenza del prodotto. Il prodotto deve diventare “territorio” e il territorio deve diventare “terroir”. Per raggiungere questo obiettivo occorre che ci sia un legame concreto e indissolubile tra tutti gli elementi che compongono la realtà di mercato alla quale abbiamo dato vita.

 

Sulla vocazione territoriale della Franciacorta si è innestata la mentalità imprenditoriale e di fare impresa dei produttori. In che cosa è consistito, nello specifico, questo contributo umano, indispensabile per far compiere il salto di qualità alla zona produttiva bresciana?

La mentalità imprenditoriale non è altro che avere una visione di lungo periodo, imporsi o avere nel proprio dna una prospettiva temporale di lungo raggio. E per fare questo occorre confrontarsi con chi è più avanti di noi, occorre aprire le porte ai migliori, occorre non avere paura. Dai collaboratori ai consulenti, dobbiamo scegliere chi ci aiuta a guardare lontano. Quando mi proposero la cava dismessa dove sorge oggi il Golf di Franciacorta, qualcuno mi suggerì di farne un campeggio o un parco; ma io ho pensato al futuro di questo territorio e a uno sport che fosse in grado di attrarre un turismo di qualità. Così, con alcuni soci imprenditori, abbiamo insistito per realizzare uno dei campi da golf più innovativi del Nord Italia. Per fare questo abbiamo chiamato due architetti del paesaggio e abbiamo voluto che accanto al campo da golf si potesse sviluppare un’area residenziale. Oggi, a distanza di tanti anni, credo che quel primo esempio di sviluppo territoriale abbia tracciato la strada anche per altri imprenditori. Allo stesso modo, tutti noi produttori siamo andati in Champagne per capire come si costruisce un territorio. Io per primo ho portato in Bellavista un consulente francese che ci aiutasse a comprendere bene il metodo. E quando abbiamo capito che il vino della Franciacorta aveva tutte le credenziali per ottenere consenso internazionale, lo abbiamo sostenuto con un hotel di alto livello cercando non uno chef, ma “lo chef”, il Gualtiero Marchesi che 25 anni fa era un punto di riferimento internazionale. Tutto questo non è altro che pensare con la testa dell’imprenditore. Oggi stiamo lavorando sulla forza del Consorzio, sulla sua capacità di aiutare a disegnare il futuro. In Franciacorta abbiamo saputo specializzarci e lavoriamo ancora oggi per fare sempre meglio ciò che sappiamo fare e divulgarlo, rendendolo visibile. Non da ultimo, occorre trovare la dimensione giusta rispetto al contesto di riferimento e questo significa posizionare territorio e prodotto nel modo più efficace affinché l’offerta incontri il consumatore adatto. Per esempio, in Franciacorta stiamo investendo sul marketing territoriale, perché abbiamo capito che il pensiero consolidato sul settore produttivo del vino deve diventare patrimonio comune e contagiare tutte le altre attività di servizio del territorio.

Contribuire alla qualificazione e alla promozione della zona di produzione, quindi, è un passaggio necessario per ottenere risultati nel mercato vitivinicolo?

È un passaggio indispensabile oggi come allora. Tutto, nel territorio, deve essere coerente con il prodotto, e su questo aspetto non abbiamo mai smesso di impegnarci, sia come singoli produttori sia come Consorzio. L’offerta territoriale deve essere all’altezza del prodotto in tutte le sue espressioni. Per questo ho realizzato l’Albereta e il Parco delle Sculture, che attraverso l’arte contemporanea è un’immediata forma di comunicazione dei valori che danno vita al prodotto.

Ha da poco terminato il suo mandato alla presidenza del Consorzio. Gli indicatori – vendite, valore economico, esportazioni – sono decisamente positivi. Quali direttrici di azione individua per il futuro?

La Franciacorta è un distretto specializzato nelle bollicine di altissima qualità. Il livello di qualità e la specializzazione sono fattori determinanti per distinguersi sui mercati. Poi occorre perseverare, essere costanti nella tutela e nella valorizzazione del marchio. E occorre che il marchio si affermi nei contesti di mercato più coerenti al suo posizionamento. Occorre essere dinamici nel marketing per incontrare i mercati più ricettivi a livello qualitativo.

Il Consorzio Franciacorta è l’emblema del lavoro di squadra. Quanto sono state determinanti la lungimiranza, la tenacia e la sana competizione tra produttori/imprenditori per far eccellere il prodotto?

Ho sempre sostenuto che l’emulazione è la più grande spinta a eccellere. In Franciacorta c’è una bellissima competizione che ci ha sempre dato una marcia in più rispetto ad altri territori. C’è anche una grande solidarietà nel fare fronte comune davanti a sfide importanti, come la reputazione sui mercati internazionali: all’interno del Consorzio abbiamo attivato brand ambassador e uffici stampa in ogni mercato-chiave internazionale. Anche il Festival del Franciacorta è raddoppiato sul territorio con un appuntamento estivo, e si è esteso in Italia e nel mondo con appuntamenti itineranti. È una continua crescita in senso quantitativo e qualitativo. Tutte queste sfide sono impensabili per una sola cantina, e solo con il lavoro di squadra si può pensare di affrontarle in modo dinamico ed economicamente sostenibile.

Quali sono i margini di sviluppo della Docg e i mercati più solidi e promettenti dove spingersi?

I margini di sviluppo sono importanti, ma non sui grandi numeri, quanto piuttosto sulla qualità. I prodotti di nicchia come il Franciacorta sono oggi molto ricercati sul mercato. I mercati più solidi sono l’Europa, l’Usa e il Giappone; quelli più promettenti sono quelli asiatici, e certamente la Cina è la grande scommessa del futuro.

Qual è oggi l’immagine del brand Franciacorta nel mondo e dove si può arrivare?

Abbiamo fatto molto, abbiamo raggiunto grandi risultati, ma certamente c’è ancora molto da fare per arrivare a una riconoscibilità internazionale che sappia premiare il segmento di alta gamma nel quale ci troviamo.

Quanto ha contribuito nel successo del distretto la mentalità del lavoro bresciana?

Mi ritengo un austro-ungarico perché i bresciani, e in generale i lombardi, sono fatti così: determinati, concreti, desiderosi di arrivare alla sera dopo una giornata di lavoro con il cuore in pace per aver fatto le cose al meglio e averle fatte in armonia con l’azienda. È scritto nel nostro dna; è una volontà di fare che tiene conto anche dell’aspetto del buon vivere e della capacità di godere dei risultati del proprio lavoro.

 

Si può guardare con ottimismo al futuro del/la Franciacorta, così come a quello della holding, con le sue figlie protagoniste del passaggio generazionale. Guardando al futuro, qual è il sentimento che la anima?

Il futuro è nelle nuove generazioni, e il passaggio generazionale è un processo lungo e faticoso. Potrei dire che si tratta di una vera e propria impresa, perché richiede volontà, determinazione, visione. In azienda stiamo gestendo questo passaggio  a tutti i livelli, e per questo abbiamo voluto al nostro fianco consulenti che ci hanno aiutato a rivedere il modo in cui lavoriamo o prendiamo decisioni. Avere tre figlie con una differenza di 14 anni tra la più grande e la più piccola, e averle tutte e tre in ruoli aziendali, è un grande vantaggio per l’azienda stessa, perché con loro e attraverso loro entrano le nuove generazioni.

Il distretto vinicolo franciacortino è improntato a un saper fare che si distingue in parte rispetto alla vocazione milanese, più legata all’immaterialità della finanza. C’è un profilo di imprenditore vinicolo bresciano che emerge e si impone dalla Franciacorta?

Non credo che la vocazione milanese sia più legata alla finanza. Milano è una città dinamica che ha saputo trasformarsi in pochissimo tempo con la sfida dell’Expo, e questa trasformazione è avvenuta perché la città ha reagito con spirito imprenditoriale, ha pensato e immaginato il suo futuro con coraggio e determinazione. Certamente, Brescia e la Franciacorta hanno, rispetto a Milano, una vocazione maggiore a rendere “impresa” ogni attività, anche la più piccola. Hanno dalla loro una capacità di internazionalizzazione che forse ci deriva dall’essere stati una propaggine di Venezia. Come diceva il mio amico Gianni Brera, la Franciacorta è stata terra di passaggio di dominazioni vitali, e forse questo ha lasciato un’impronta. Per esempio, la mia è dal Cinquecento una famiglia di costruttori, che tra i suoi membri ha annoverato anche fini intagliatori. Credo di aver portato dentro di me queste due anime: il fare concreto e la vena artistica.

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