Anche Matteo, commesso, ci racconta un’esperienza vissuta in prima persona molto simile.
“Qualche tempo fa ho accompagnato mia madre al Policlinico Gemelli di Roma per alcune analisi di controllo e mi sono imbattuto in una scena piuttosto triste. Una turista iraniana era stata aggredita, assieme al marito, da alcuni rapitori. Lei era incinta e aveva il terrore di perdere il suo bambino. Purtroppo non riusciva a spiegarsi bene perché parlava un pessimo inglese. Inoltre, essendo molto religiosa, non gradiva essere toccata da medici uomini e si agitava tantissimo quando ciò accadeva. Nessuno ha pensato di chiamare un interprete, anzi alcuni di loro hanno rivolto offese gratuite alla donna e alla sua etnia,” continua M. “È stato solo grazie alla mia conoscenza della lingua farsi se l’emergenza, alla fine, è rientrata”.
Abbiamo contattato Cristina Pistacchio, infermiera e coordinatrice del progetto Ohana presso il Policlinico Gemelli di Roma, per spiegarci come, negli ultimi due anni, l’ospedale romano si sia attrezzato per provare ad abbattere le barriere linguistiche presenti nel settore. Il progetto è nato a febbraio 2023 grazie a un’intuizione di Pistacchio, che si è accorta delle enormi difficoltà che possono incontrare i pazienti non italofoni in ospedale, e si fonda sull’attività, in forma volontaria, di alcuni operatori sanitari madrelingua (circa 150) presenti al Gemelli.
“Ohana non si sostituisce alla mediazione linguistico-culturale, già presente in azienda – racconta Pistacchio – ma l’affianca con la valorizzazione culturale e professionale del personale in staff. Attualmente nel gruppo abbiamo 42 Paesi rappresentati e 29 lingue attivabili. Inoltre, in meno di due anni, abbiamo raggiunto quasi 400 attivazioni”. Un ottimo risultato che dimostra la necessità di un servizio simile.
Al Gemelli, come ci spiega l’operatrice, in realtà esiste già un servizio di interpretariato, ma solo in due modalità, che presentano forti limiti: h24, ma solo in forma telefonica; in presenza, ma con disponibilità limitata. “La differenza rispetto alla mediazione linguistica tradizionale è la seguente: chi fa parte del gruppo Ohana appartiene allo stesso contesto culturale del paziente, ovvero conosce e utilizza, nell’incontro, i suoi medesimi codici comunicativi e interpretativi. Oltre a questo, l’operatore conosce anche la cultura aziendale e i suoi percorsi, comprende il linguaggio medico-scientifico e sa trovare, quindi, ponti assistenziali competenti e culturalmente congruenti”.