Il primo è il mito del non lavoro, del lavoro che va rigettato, perché lavorando non si può essere felici.
Nell’età classica il lavoro è appannaggio degli schiavi, considerati privi di capacità intellettuali. Nel mondo greco, in particolare, il lavoro fisico e materiale che produce delle merci, viene disprezzato da governanti e uomini di pensiero, come nel paradosso degli ateniesi, che pur amando i bei vasi disprezzavano le mani di chi li realizzava.
«Essere aristocratico significava non lavorare in senso fisico, per dedicarsi al governo, alla riflessione, alla cultura: in una parola, all’ozio» racconta Saudino, «concetto, questo, caro anche ai latini. In quell’ozio c’erano la letteratura, lo sport, il teatro; era contrapposto al lavoro».
Lo stesso cristianesimo ha in sé il rifiuto del lavoro. Leggendo la Bibbia, la fatica fisica è un elemento di dannazione: la condizione ottimale era quella di Adamo ed Eva, che potevano cogliere i frutti del paradiso terrestre, amarsi e vivere in armonia. Il loro peccato comporta l’obbligo a partorire di Eva e a lavorare di Adamo. Il lavoro è la conseguenza della caduta dall’Eden.
«L’esaltazione delle virtù cristiane prevede l’allontanamento dal lavoro fisico, che è distante dall’orizzonte del cristianesimo» prosegue il professore: il mondo cristiano esalta ancora un ozio, impiegato nella preghiera e nella purificazione dell’anima; ora et labora è un motto figlio di un lavoro comunitario, inevitabile, “nobilitato” dalla necessità. «Molti crociati erano nobili di seconda e terza generazione, che non avrebbero potuto accedere ai titoli dei loro avi (i primogeniti, che li avrebbero ereditati, davano le terre in concessione perché altri le lavorassero, N.d.R.), e che andavano in terre straniere per cercare ricchezza e redimersi da una condizione in cui erano costretti a combattere per sostenersi. La loro dedizione alla guerra era frutto della mancanza di lavoro».
Colombo incarna il medesimo desiderio: «Convinse i regnanti di Castiglia con la promessa dell’oro, che avrebbe trovato nelle Indie, e anche i suoi compagni di navigazione; ma che cos’è l’oro se non un mezzo per affrancarsi dal lavoro?». Così si arriva all’Eldorado e ai conquistadores di Cortez e Pizarro, quest’ultimo ossessionato dall’Eldorado, con i suoi uomini che si uccidono a vicenda nel corso della ricerca. È un mito alimentato in tutto e del tutto dagli uomini occidentali e dalla loro avarizia, indotta dal desiderio di liberarsi dalla necessità di faticare.
Va in senso diverso l’utopia ideata da Thomas More, con cui Saudino congeda il primo mito, che cinque secoli fa raccontava l’utopia di un’isola perfetta, in cui la giustizia è gestita socialmente e si lavora poco per lavorare tutti: sei ore, per dedicare il resto al riposo, alla famiglia, e poi all’ozio utile, cioè lo studio della matematica e dell’astronomia. Con buona pace di settimana corta e formazione continua.