Abbasso il calcio, viva il pallone, via i genitori

Il calcio com’era e com’è adesso, raccontato da chi l’ha vissuto davvero, prima sul campo (anche contro Maradona), e poi dall’esterno come procuratore: recensiamo “Abbasso il calcio, viva il pallone” di Tommaso Mandato

04.02.2024
La copertina di Abbasso il calcio, viva il pallone, di Tommaso Mandato

Sandros e Galactic se la giocano a parole come possono, per tutto il libro. E pensare che di mestiere tutto fanno meno che parlare. Il protagonista pensa e scrive in prima persona e cerca risposte da loro due: non cerca soluzioni, cerca argomenti. All’inizio del libro promette a entrambi di non farsi condizionare da ragioni e sentimenti, nemmeno dal fatto che uno dei due sia della generazione che lo ha fatto sognare, che gli ha fatto credere in un miraggio in mezzo a un campo verde. Sandros parla a nome dei Super Santos, arancioni; Galactic rappresenta i Gala, modernissimi e ufficiali.

Abbasso il calcio, viva il pallone, centottantadue pagine, porta il nome di Tommaso Mandato, che tutti chiamano Tommy: io fino a dieci giorni fa non sapevo chi fosse ma mi sono fidata dell’invito di Gianni Puca, che pure non conoscevo. Alla cieca ha portato fortuna. Per la presentazione del libro, mi ritrovo di sera nella galleria d’arte di Puca ad Aversa – lui avvocato civilista, scrittore, giallista col debole dell’umorismo, autore teatrale – e per una volta non mi annoio a sentire autori e moderatori che parlano di libri. Pubblico ce n’è, la sala è piccola, si respira affetto. C’è un ritmo invidiabile nel parlare (la presenza di Gino Rivieccio aiuta parecchio per la triade perfetta) e il ritmo porta ossigeno a dialoghi impegnati sui nervi scoperti di uno sport rimasto più nudo del Re.

Tommaso Mandato ormai fa il procuratore sportivo, è avvocato anche lui, docente, divulgatore attento di temi sociali, ma soprattutto è ex, storico, calciatore. Se gli chiedessero il nome di un collega, potrebbe dire le otto lettere eterne contro cui disputò la celebre “partita del fango” ad Acerra su un campetto periferico: Maradona.

Mi ritrovo ad ascoltare un’ora di riflessioni che non fanno sconti a nessuno, si ride, si ricorda, ogni tanto si fa amaro l’umore, si riflette su quanto sia cambiato il pallone prima di diventare solo calcio e denaro e potere, si rimarca l’arroganza delle famiglie che mandano i figli in mezzo al campo sperando solo diventino ricchi e famosi. I genitori malsani sono un chiodo fisso di Mandato, e fa bene a scriverlo e a dirlo così in chiaro. Li fa descrivere così:

“Sembrano quasi degli automi che vengono accompagnati dai genitori nei centri sportivi o nelle scuole di calcio e per due o tre ore li vedi costretti a seguire le direttive dei propri istruttori sicuramente più preparati sul piano calcistico ma che si divertono sempre meno, abituati alla ricerca spasmodica del successo come obiettivo primario.”

È una parte cruda e onesta, sta nel capitolo iniziale Il calcio giovanile, l’intervista è a Giuseppe Santoro, team manager della SSC Napoli e grande conoscitore del tema.

Il libro scorre costante su due livelli: da una parte i dialoghi di Mandato coi palloni di due epoche distinte e dall’altra le interviste a nomi che ne sanno e come di sponsorizzazioni, arbitri, tecnologie, giornalismo, giustizia sportiva, presidenti e tifoserie.

L’introduzione è di Maurizio De Giovanni, la postfazione di Enzo Decaro, l’editore è HomoScrivens, la prima compagnia italiana di scrittori che nel 2012, a Napoli e dopo dieci anni di lavoro fitto fitto nel settore, decidono di diventare anche editori.

Piena di poesia, gli va riconosciuto, l’espressione di Tommaso Mandato sui lunedì senza voce. Sembra di sentirli, tra una pagina e l’altra, per chi ama ancora il pallone.

 

 

 

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