Il romanzo che fa bene al PIL

I Paesi che leggono di più e con una scolarizzazione più alta hanno economie più floride, ma l’Italia è agli ultimi posti dell’UE anche negli indici culturali: i nostri economisti (ma non solo) dovrebbero sfogliare qualche romanzo in più.

A Giulio Tremonti è stato rimproverato a più riprese di aver detto che con la cultura non si mangia, ma lui ha sempre protestato di non aver mai pronunciato quella frase. Sarà vero, ma io sono persuaso però che l’abbia almeno pensata, e che con lui l’abbia pensata la maggioranza di coloro che hanno avuto responsabilità di governo in Italia negli ultimi decenni.

Opinioni, si potrebbe obiettare, che restano tali e non fanno male a nessuno. E invece no, non è così, perché pensare che con la cultura non si mangia fa malissimo. Non è solo sbagliato, ma è anche indice di una grave stortura nel modello di sviluppo che – quasi indipendentemente dal tipo di schieramento – ha segnato il governo del Paese, e del quale portiamo le inevitabili conseguenze. Vediamo perché.

Chi più legge, più cresce: il PIL è anche questione di cultura

C’è un primo indice, internazionalmente riconosciuto, che dovrebbe tener presente chiunque si ponga il problema di dare nuovo slancio all’economia italiana, ed è quello che lega progresso economico e sviluppo intellettuale.

Anche se non molti sembrano accorgersene, la crescita del PIL è direttamente proporzionale agli indici di crescita culturale. Nei Paesi dove si legge di più, dove si investe di più nella distribuzione del sapere, dove si persegue l’aggiornamento culturale della classe dirigente, il prodotto interno cresce più che altrove. In questa direzione l’Italia è tragicamente indietro, agli ultimi posti tra i membri della Comunità europea.

Ma c’è un altro indicatore, altrettanto significativo, che lega la produttività di un sistema economico al livello di scolarizzazione. E anche qui siamo pericolosamente arretrati. I numeri dell’abbandono scolastico sono, in Italia, più alti che altrove, e la percentuale di laureati, a livello europeo, superiore solo a quella della Romania.

Credo che sia intuitivo come, in Paesi che promuovono e sostengono lo studio e la scuola pubblica dal punto di vista economico, il capitale intellettuale e l’intelligenza collettiva permettano maggiore competitività. Conoscenza e scolarizzazione sono gli strumenti coi quali si progetta meglio, si registrano più brevetti, si razionalizzano le strutture produttive, si immaginano modelli di coinvolgimento nell’uso dei beni comuni e nel rispetto per il patrimonio collettivo.

Avere coscienza dell’importanza di uscire dalla dimensione familistica, dall’impresa individuale, dai piccoli e grandi egoismi che condizionano il progresso, è la condizione necessaria perché il Paese si modernizzi; perché cresca la consapevolezza della necessità di contribuire a ridurre l’evasione fiscale e di limitare la propensione all’illegalità diffusa, che purtroppo fanno dell’Italia uno dei Paesi dove più alto è l’indice di corruzione tra le maggiori economie mondiali.

Il ruolo della letteratura nel sistema economico

Forse meno facile da intuire è perché l’indice di lettura vada di pari passo con la crescita economica. Eppure è così, perché il modello di società che legge ha, semplicemente, più fantasia, sguardo più lungo, meno pregiudizi, maggiore apertura mentale. Non parlo soltanto della saggistica, che pure dovrebbe essere alla base dell’educazione permanente di chiunque abbia responsabilità sociali, ma anche della letteratura, del romanzo.

Qui mi piacerebbe sapere che cosa pensano i Tremonti, i ministri dell’Economia e del Lavoro, passati e presenti. Perché sono certo che storcerebbero il naso, direbbero che la letteratura è intrattenimento, distrazione, che non produce né conoscenza né ricchezza.

E invece sbagliano. Perché leggere un romanzo può, sì, intrattenere, ma anche farci riflettere sul sistema in cui viviamo, sulle nostre contraddizioni, sul nostro carattere e sulla nostra capacità di vita sociale. Un romanzo può aprirci gli occhi e, senza che ce ne rendiamo nemmeno conto, può farci capire quanto sia limitato il nostro sguardo sul mondo. Perché la letteratura ci permette di viaggiare all’estero più di quanto potremo mai fare di persona nella nostra vita. Ci permette di conoscere posti, culture, tradizioni ed espressioni artistiche che non immaginiamo nemmeno. Come ha detto Umberto Eco, chi non legge vive una vita sola, chi legge ne può vivere mille.

Il romanzo come strumento di indagine antropologica

Gli economisti tendono a considerare la cultura, e tanto più la letteratura, fatti sovrastrutturali, che non possono incidere sui livelli macroeconomici. Un errore che hanno fatto, nel tempo, tanto i pensatori liberali quanto quelli di scuola marxista. Questo perché hanno continuato a pensare l’economia come un meccanismo legato al possesso di risorse finanziarie o materiali, mentre la forza lavoro è stata considerata solo come massa, senza immaginare che anche la psicologia – degli operai come degli imprenditori – può determinare fenomeni economici di vasta portata.

Non è un caso che nessun economista sia stato in grado di immaginare le crisi che si sono abbattute sui sistemi economici nella modernità. Se avessero letto qualche romanzo in più, si sarebbero accorti che la sensibilità e l’intuito degli scrittori hanno a più riprese immaginato che la globalizzazione avrebbe prodotto uno choc economico di livello mondiale, che si sarebbe protratto per un lungo periodo. L’avevano intuito anche scrittori che vengono considerati di basso consumo giovanile, come Salgari o Verne. Quelle intuizioni vengono dal fatto che la letteratura guarda alla persona, e in questo modo coglie propensioni che possono diventare generali.

Il romanzo spesso permette di riflettere su atteggiamenti individuali che sono sintomi di malesseri e di contraddizioni che hanno rilievo mondiale.

Un mondo di individui tratteggiati in prosa

Ecco, credo che qui sia il nodo per cui leggere libri è sinonimo di capacità di affrontare la complessità del mondo contemporaneo. Perché la scienza tende a considerare i sistemi economici come modelli chiusi, e a indagarne i meccanismi di funzionamento senza considerare l’essere umano.

La letteratura invece ci parla dell’individuo, della sua sostanza intima, delle sue convinzioni e dei suoi sentimenti. E la modernità ha dato spazio all’individualità come non era mai successo prima. Questo ha fatto in modo che i processi personali di crescita psicologica e di partecipazione politica incidessero anche sulla dimensione macroeconomica, cosa che gli economisti non hanno mai preso in considerazione. Gli scrittori, invece sì.

È per questo che, alle volte, è nei romanzi, nella letteratura, che troviamo lo sguardo profondo, che va lontano, e che permette di immaginare le più originali risposte ai problemi del presente.

Leggi gli altri articoli a tema Cultura e i numeri di Quinta di Copertina, il periodico di SenzaFiltro sui libri (#1, #2, #3 e #4).

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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In copertina foto di Marisa Sias da Pixabay

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