Guai a parlare di fabbrica nelle Università!

Ai primi di dicembre ho prenotato insieme agli amici del Cammino di Santiago un weekend in Sardegna per festeggiare l’inizio della Primavera e farci qualche bella camminata (e mangiata) insieme dopo l’esperienza dei circa 140 km la scorsa estate. A fine febbraio, dopo aver rimuginato un paio di mesi, mi scuso con gli amici, ma […]

Ai primi di dicembre ho prenotato insieme agli amici del Cammino di Santiago un weekend in Sardegna per festeggiare l’inizio della Primavera e farci qualche bella camminata (e mangiata) insieme dopo l’esperienza dei circa 140 km la scorsa estate.
A fine febbraio, dopo aver rimuginato un paio di mesi, mi scuso con gli amici, ma scelgo di rimanere a Bologna a seguire #Nobilita, il Festival della Cultura del Lavoro organizzato da Fior di Risorse e quel personaggio di Osvaldo Danzi, quelli che chiamano le persone PersoneMaiuscole. Mi sono trovata bene subito.

A consuntivo sono proprio contenta: col primo panel ho scoperto un sindacalista che dice cose piene di buon senso e con raro sense of humour, docenti universitari degni di tal nome, riflessioni interessanti e di spessore per riportare l’attenzione sulla “fabbrica” come luogo di lavoro, di creazione del lavoro, di sviluppo del lavoro. Come ha detto Stefano Micelli, docente di Ca’ Foscari: “gli studenti oggi nulla vogliono sapere della fabbrica del 1900, ma sono affascinati dalla manifattura del futuro”, da cui l’incontro con l’AI e la filosofia lean proposta da Maurizio Mazzieri di Toyota, per non parlare della blockchain magistralmente riassunta da Massimo Chiriatti in pochi minuti.
Temi che affrontano il futuro a viso aperto, sfidando le due parti del lavoro, che dimostrano non debbano essere sempre viste e vissute come contrapposte, ma possono essere unite ed andare nella stessa direzione.

Anche nell’ultima settimana ci sono stati due morti sul lavoro per lo scoppio di un forno, mentre ieri altre due persone sono rimaste uccise mentre pulivano una cisterna: nel terzo millennio non si vorrebbero più sentire notizie di questo tenore e bisogna unirsi per fare in modo che ciò finalmente accada.

Certo, non è facile parlare di Industria 4.0 e Intelligenza Artificiale se (come in tanti Convegni degli ultimi due anni) tutto si riduce a sostenere che i robot ci “ruberanno il lavoro”, quando invece sarebbe opportuno approfondire possibili soluzioni e utilizzi che rendano il lavoro dell’uomo più dignitoso laddove la tecnologia è un sostegno e le macchine imparano dagli uomini.

Quando l’alternanza Scuola Lavoro era un patto di gentleman agreement.

Marco Bentivogli, il sindacalista che non conoscevo è stata la vera sorpresa del panel, con un approccio che ho condiviso dalla prima all’ultima frase, ricordando come negli anni ’70 ed ’80, il lavoro, qualunque lavoro, aveva importanza, dignità, prestigio.

Il denaro si guadagnava e non si “vinceva” o si “fregava”.

Per tanti contratti bastava la forma orale ed il vero “gentlemen agreement” era una vigorosa stretta di mano che veniva rispettata da tutti: dalle parti e dai terzi.
C’era un’etica diversa che contraddistingue tuttora quel pezzo della nostra storia. All’epoca, non era ritenuto illegale mandare il figliolo a bottega dall’amico falegname, idraulico, meccanico o qualunque altro mestiere fosse, proprio per fargli sperimentare un po’ di duro lavoro e magari convincerlo a studiare che “il pezzo di carta serve sempre!”.

Ben altro approccio rispetto alle polemiche nate la primavera dello scorso anno alla presentazione del progetto “Alternanza Scuola Lavoro”, il tentativo da parte dello Stato di regolamentare e disciplinare ciò che abbiamo sempre fatto, rendendolo obbligatorio e tutelando tutte le parti. L’obbligatorietà probabilmente ha reso la manovra poco attraente, ma non si può di certo dire che non fosse necessaria.

Non entro nel merito di come sia stata organizzato il progetto, ma come sottolinea Bentivogli, dobbiamo riflettere se gli studenti sono scesi in piazza gridando “ siamo studenti, non lavoratori”, perché è evidente che ci sia una grande frattura generazionale fra questi ragazzi e la nostra generazione per la quale la parola “lavoro” non è mai stata un insulto e quasi per tutti è significato gavetta, esperienza, crescita ma soprattutto imparare da chi ne sapeva più di noi.

Guai a parlare di fabbrica nelle Università.

Stefano Micelli è un economista. Insegna alla Ca’ Foscari e sottolinea anche lui senza alcuna circonlocuzione, di dover stare attento a parlare di “fabbrica” durante le sue lezioni se vuole trattenere gli studenti (e parliamo del Veneto, territorio che si fonda sui “capannoni” dei “paron”) così come conviene anche la sua collega dell’Alma Mater Eugenia Rossi di Schio, docente dipartimento ingegneria industriale.

Sembra che i ragazzi oggi non abbiano alcun interesse verso la “vecchia” fabbrica, almeno fin quando qualcuno riesce ad affascinarli con la fabbrica del “futuro”. Intelligenza Artificiale, blockchain, meccatronica e tecnologie sono pur sempre parti di quella fabbrica, ma la comunicazione fa la differenza.

Massimo Chiriatti di IBM così come Mazzieri, ha messo l’accento su quanto sia importante che le scuole portino i ragazzi nelle fabbriche. “Formare” le competenze significa anche uscire dalle accademie, superare le teorie, avere docenti aggiornati, preparati allo scambio. Le nostre Università sono troppo autoriferite e i docenti si valutano sulla base di quanto scrivono.
Scontrarsi con la realtà della pratica è un’altra cosa.

E’ della scorsa settimana la notizia di alcuni ragazzi del Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli (la mia adorata città natale, tra l’altro) che hanno portato avanti una protesta “alternativa” durante le giornate del FAI, ove erano stati assoldati come “apprendisti ciceroni” ma che, ahimè, cadeva proprio al loro rientro da un viaggio-studio.
Il “busillis” stava nel fatto che erano troppo stanchi  (nonostante ci fosse il sabato di pausa) e che rivendicavano il diritto allo studio ed al rimanere in famiglia, considerando anche la Domenica delle Palme. Hanno dunque attuato una protesta “silenziosa” esponendo un cartellino diverso da quello del FAI ed astenendosi dal lavoro, perché “il lavoro è tale in quanto retribuito”, perché vengono “sfruttati” e perché spesso svolgono mansioni non attinenti alle materie studiate.

Ora, senza nulla togliere all’assioma che trattasi di lavoro solo quando retribuito (altrimenti si chiama hobby) e che (come bene ha detto Luciano Floridi) le tecnologie non sono sostenibili senza cultura umanistica, la vera prova ritengo fosse anche quella di mettersi in gioco con una nuova opportunità, davanti a tante persone, dovendo magari gestire un po’ di timidezza (sono ancora timidi i giovani?) e raccontando un pezzo del loro territorio, un pezzo di Storia del loro territorio del quale dovrebbero andare orgogliosi e non vedere l’ora di poterlo raccontare ai curiosi (si parla tanto di storytelling…).

Faccio fatica ad immaginarli “stanchi” e “frustrati” questi giovani di neppure vent’anni; voler rimanere in famiglia per la Domenica delle Palme è certamente encomiabile, ma vorrei capire quanta parte è “il cane mi ha mangiato i compiti” e quanta parte è dettata da chiacchiere, teorie, modelli di pensiero che nascono sempre più spesso in contesti dove l’aria è troppo viziata.

La discussione moderata da Frediano Finucci ha avuto l’arduo onere di tornare a parlare di “fabbrica” e di “lavoro” nelle giuste accezioni, con uno spirito costruttivo e di sinergia fra le varie parti, ma anche l’onore di riportare alla ribalta un tema del quale si parla sempre poco, soffocata dallo “storytelling” delle startup, dei coworking, degli incubatori che ad oggi ben poco hanno prodotto sia a livello culturale che produttivo.

Onore al merito del #NobilitaFestival, primo esperimento riuscito molto bene.
Al prossimo!

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