Annunci di lavoro: come cadere nella “rete” senza farsi male

Lo spunto da cui far partire la nostra riflessione ce lo fornisce una notizia recente, immediatamente rimbalzata sui principali siti di annunci di lavoro: “Apple assume 600 persone a Napoli”. Peccato che il colosso americano si sia limitato ad annunciare l’investimento su una scuola di formazione e non l’assunzione di 600 lavoratori. Ma oggi, si […]

Lo spunto da cui far partire la nostra riflessione ce lo fornisce una notizia recente, immediatamente rimbalzata sui principali siti di annunci di lavoro: “Apple assume 600 persone a Napoli”.

Peccato che il colosso americano si sia limitato ad annunciare l’investimento su una scuola di formazione e non l’assunzione di 600 lavoratori. Ma oggi, si sa, si fa presto a costruire una bufala e a lanciarla nel cyberspazio.

Quando si tratta di lavoro – che ci sia in ballo il posto dei sogni fra i seguaci di Steve Jobs o un semplice periodo di stage – c’è poco da scherzare e certi proclami, specie con la cassa di risonanza delle rete, non possono passare inosservati.
Anche perché il recruiting online interessa sempre più persone, che si affidano al web nella speranza – navigando da un lido all’altro – di trovare il proprio posto nel mondo.

L’Italia, se pure in ritardo rispetto ad altri paesi nella scelta di questa forma di selezione, negli ultimi anni sta accorciando le distanze. Secondo l’ultimo sondaggio dell’Osservatorio InfoJobs, il 70 per cento delle aziende (su 400 rispondenti) e l’88 per cento dei candidati (40mila risposte) utilizzano gli strumenti online per selezionare personale/cercare lavoro. A rivolgersi al web per trovare occupazione – un po’ a sorpresa – sono soprattutto i diplomati (45 per cento), seguiti da chi possiede una laurea a ciclo unico (18 per cento) o triennale (10 per cento) e infine dai candidati con la licenza media (15 per cento).

Insomma, Monster, InfoJobs & co sono parole familiari a chi è o è stato in cerca di occupazione nell’ultimo decennio. Continuano a esserlo, nonostante queste piattaforme si dimostrino talvolta incapaci di star dietro all’incalzare delle nuove tecnologie e modalità di incontro domanda/offerta. Basti pensare al loro ritardo rispetto ai social network e al web 2.0 nell’epoca del social recruiting, quell’attività attraverso la quale i recruiter cercano in rete i potenziali profili da selezionare, esprimendo un giudizio sulla base della loro immagine social.

Emblematico è l’esempio di LinkedIn, partito come semplice rete sociale e diventato una vera e propria piattaforma corporate per la ricerca di candidati e per l’employer branding (pubblicazione di contenuti al fine di attrarre candidati). Che, fra le altre cose, si distingue positivamente per la scelta di dare un volto agli autori delle inserzioni, quindi un riferimento diretto ai candidati.

Nonostante molti dei portali lavoro risultino “superati” e sebbene in pochi ci credano realmente che in tempi come questi il lavoro possa venirci a cercare fino a casa, attraverso un moderno piccione viaggiatore dalle sembianze di una chiocciolina, il più delle volte vince il vecchio detto “tentar non nuoce”.

Allora ci si registra a un’infinità di “bacheche delle illusioni”, salvo dimenticarne anche le credenziali di accesso. Si viene sommersi ogni giorno da newsletter e si risponde a centinaia di annunci, per posizioni spesso improbabili o inadatte al proprio profilo. Ci si lascia affascinare da nuove vite in luoghi che si è incapaci anche solo di identificare sulla carta geografica, e magari non si è mai nemmeno saliti su un aereo.
Un po’ perché intimamente ci si spera che – dall’altra parte del mondo come sotto casa – stiano aspettando proprio noi, un po’ perché si è curiosi di sapere quante risposte si riceveranno, quanti colloqui si collezioneranno ancora.

Lo chiamano “il lavoro di cercare lavoro”. Il più difficile di tutti, forse. Sicuramente l’unico dove il “posto fisso” è uno spauracchio e non un’aspirazione. Dove il rischio di farsi vendere sogni di fumo è più che mai alto.

Noi di Senza Filtro abbiamo provato a capire come funziona il mondo degli annunci online, quanto c’è di vero nelle mirabolanti promesse che circolano in rete e che potere hanno i portali lavoro di controllare la serietà delle aziende e l’affidabilità delle loro proposte. Per farlo abbiamo scelto di analizzare due dei principali siti specializzati nei servizi di recruiting online: Monster e InfoJobs.

Monster, attivo in venti paesi, con la sola versione italiana ospita ogni mese 75-78mila curriculum vitae e 10-15mila annunci (con un tempo medio di permanenza di 60 giorni), sia di società di selezione che corporate. Monster è anche presente in versione app mobile, per rispondere alle modalità di accesso dei più giovani e a una generazione di “sempre connessi”, che usano più smartphone e ipad che pc.

InfoJobs è la società di recruitment online che si definisce, alla stregua di Monster, leader in Italia e in Europa. Nel nostro paese è sbarcata nel 2004. 1000 nuove offerte al giorno, 40mila offerte attive. Anche InfoJobs ha un’app mobile, sulle cui funzionalità sta investendo molto. È stato infatti stimato che l’utilizzo del servizio da mobile ha superato quello da pc, con il 55 per cento del traffico.

Per saperne di più sui meccanismi che governano questi portali abbiamo intervistato Elisa Schiavon, Marketing Manager per Monster Italia e Giuseppe Bruno, General Manager per InfoJobs. E poi abbiamo fatto il fact checking delle loro risposte, e non sono mancate sorprese.

Quali sono attualmente i profili più ricercati dai clienti?
M. “Le figure più richieste appartengono alle macro aree ICT (soprattutto esperti in programmazione), Engineering e Sales, seguite dal settore Marketing. Notiamo un mutarsi delle professioni nel tempo parallelamente al cambiare delle tecnologie, ad esempio un boom di offerte per le figure di social media manager, blogger aziendali, sviluppatori di app per mobile e così via”.

I. “Il database è altamente segmentato. Attualmente prevalgono quattro settori: Manifatturiero produzione e qualità (22 per cento) Vendite (13 per cento), Amministrazione e contabilità (8,4), Informatica e telecomunicazioni (8,2). Il problema di asimmetrie fra le competenze richieste e quelle che si riscontrano esiste soprattutto nel settore ICT, dove alcuni profili si trovano facilmente altri meno. Un trend che riscontriamo riguarda le competenze digitali: tutte le aziende sono convinte che siano importanti per qualsiasi tipo di occupazione e in alcuni casi faticano a trovarle. Altra tendenza riguarda le soft skills: in un mondo in costante cambiamento, sono richieste sempre meno le competenze specifiche tecniche e più quelle trasversali”.

Analizzando i due portali, viene fuori un target piuttosto preciso, che va dai diplomati ai neolaureati fino – al massimo – agli impiegati dei primi livelli. Resta invece tagliata fuori l’intera fascia dei “professionals” (quadri e dirigenti), per la quale viene nettamente preferito LinkedIn. Digitando la parola chiave “Manager”, le offerte non mancano, ma la job description, nella maggior parte dei casi, si riferisce a profili di seconda linea. Un esempio in questi due annunci, capaci fra l’altro di dare due diverse versioni sbagliate della parola “Manager”.

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Quante offerte di lavoro si traducono in assunzioni?

M. “Questo non siamo in grado di dirlo. In alcuni casi, per esempio, c’è il rimando al sito del cliente. Quello che riusciamo a controllare sono le candidature, dopo di che siamo solo un intermediario. In alcuni casi i clienti che hanno relazioni con noi da anni ci dicono se hanno inserito persone oppure sono i candidati stessi che ci scrivono per ringraziarci, ma il feedback non è obbligatorio”.

I. “Stiamo mettendo in pista diversi tipi di tracking, ma la finalizzazione del processo di selezione avviene fuori dal servizio di InfoJobs. Naturalmente, essendo la nostra missione non solo che le aziende cerchino ma che trovino, periodicamente le interroghiamo sui risultati”.

Perché ritroviamo uno stesso annuncio per anni? Per caso li riciclate?
M. “Quando capita di rivedere lo stesso annuncio anche per un anno, il motivo può essere che la ricerca è continuativa o che c’è un turnover elevato in azienda, non necessariamente significa che la selezione è vecchia”.
I. “Noi abbiamo un ricambio di offerte quotidiano, anche se può capitare che la ricerca da parte dell’azienda sia ripetuta più volte per la stessa posizione.
Il tempo medio di permanenza di un’inserzione – ci hanno detto – è di circa 60 giorni. Ci chiediamo allora come sia possibile che dopo sei mesi/un anno si ripresenti un annuncio identico. Forse un tappabuchi in mancanza di nuove inserzioni?”

Come vi accertate dell’etica e dell’affidabilità delle aziende e quale controllo effettuate sulle loro inserzioni?
M. “Abbiamo un Dipartimento Antifrode che effettua controlli sulla tipologia di annunci, composto di un team che raccoglie informazioni sulle aziende e di software avanzati che rivelano in automatico le violazioni. Se l’azienda acquista tramite il nostro reparto commerciale c’è un contatto diretto, se invece lo fa tramite e-commerce il Dipartimento controlla la sua affidabilità”.

I. “A monte c’è un controllo puntuale della serietà e dell’affidabilità: mediante un servizio quotidiano di controllo dei dati si verifica che l’azienda faccia parte di settori in linea con le nostre policies. Ciò per cui ci distinguiamo da altri servizi è inoltre una grossa opera di eduzione, attraverso la formazione del servizio clienti, mirata a istruire i recruiter su come pubblicare al meglio per ottenere risultati”.

Ricordiamo che ogni editore è tenuto a effettuare un controllo non soltanto sulla veridicità delle informazioni che l’azienda veicola, ma anche sul modo in cui vengono esposte e sull’eventualità di infrazioni di legge, ad esempio condotte discriminatorie. Facendo qualche ricerca su Monster e InfoJobs, notiamo che alcune inserzioni terminano con la seguente dicitura: “I presenti annunci sono rivolti ad entrambi i sessi, ai sensi delle leggi 903/77 e 125/91, e a persone di tutte le età e tutte le nazionalità, ai sensi dei decreti legislativi 215/03 e 216/03”. Ma il rispetto della legge non dovrebbe essere scontato e valere in tutti i casi? A quanto pare no: ad esempio per candidarsi a questa offerta di Randstad Italia bisogna avere un’età inferiore ai 29 anni.

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Per non parlare degli annunci di lavoro dietro cui si celano Master a pagamento con tirocinio formativo, come questi due (ma ce ne sono intere pagine) rivolti alle figure di “junior controller” e “product manager” e facenti capo a Sida Group.

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Un mondo a sé è quello degli stage. Abbiamo selezionato per voi qualche esempio di annunci quantomeno singolari. Il primo futuro stagista dovrà coordinare progetti, fare ricerche e analisi di mercato e business, organizzare eventi e tanto altro ancora: insomma non potrà lamentarsi di dover fare solo fotocopie. Il secondo addirittura avrà le mansioni di un “Recruiting Specialist”, in cambio di un imprecisato rimborso spese.

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Poi c’è il famoso caso del “cercasi stagista con esperienza”: a chi di voi non è mai capitata sotto gli occhi un’offerta del genere? Vi accontentiamo subito con quest’annuncio per uno stage da “perito meccanico”, rivolto a persone diplomate nell’ultimo anno, ma già con esperienza.

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Qualche dubbio sul controllo dei testi ci viene anche qui.. Prima scrivono: “Non avete nessuna esperienza di vendita e di marketing? Non è un problema!”; poi in coda all’annuncio si smentiscono da soli: “Il candidato dovrà essere in possesso di un certo livello di esperienza nell’ambito della vendita porta a porta”.

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Come vi comportate davanti ad annunci di lavoro che non prevedono retribuzione?

M. “Non abbiamo controllo sull’aspetto della retribuzione. La maggior parte degli stage proposti hanno almeno un rimborso spese, ma noi non possiamo agire sulla scelta dell’azienda, facciamo solo da filtro”.
I. “Non li pubblichiamo: tra le regole c’è quella che il lavoro deve essere retribuito. Non è invece obbligatorio specificare la retribuzione: è a scelta dell’azienda”.

La specificazione della retribuzione non è una voce obbligatoria per le aziende clienti dei due portali. E infatti, su una pagina intera di annunci di lavoro, è indicata al massimo in un paio di casi. Negli altri, o appare la dicitura “stipendio non specificato” o “stipendio commisurato al raggiungimento degli obiettivi”, o ancora “retribuzione commisurata all’esperienza”. Ma non sarebbe il caso di pretendere dalle aziende una maggiore trasparenza, così da non diventare in qualche modo complici dei casi di sfruttamento?

Cosa si può fare per tutelarsi dalle truffe?
M. “Consiglio di informarsi sempre online, raccogliendo più dati possibile sull’azienda e controllando che sui forum non siano segnalate esperienze negative; di diffidare sempre qualora ci siano richieste strane (es. dati bancari) o l’annuncio contenga indirizzi e-mail personali e non aziendali; di verificare la bontà del testo (ad esempio se è stato scritto con un traduttore risulterà grammaticalmente scoordinato) e così via”.
I. “Il consiglio è non fermarsi mai all’annuncio, ma cercare sempre di approfondire: d’altronde con il web tutto è sotto gli occhi di tutti. Non presentatevi al colloquio solo perché siete stati chiamati: informatevi prima”.

Per approfondire l’argomento delle truffe lavoro, leggete l’articolo del nostro Stefano Innocenti, che traccia un identikit utile a riconoscere gli annunci truffa sui portali lavoro, spesso meri raccoglitori di inserzioni senza controllo.

In conclusione, il quadro che viene fuori è avvilente, a tratti esilarante. I portali lavoro si dimostrano anacronistici rispetto alle sfide contemporanee, e i loro annunci troppo spesso risultano poco fedeli alle policies a cui dicono di ispirarsi, se non addirittura contrari agli obblighi di legge. Inoltre le offerte difettano di trasparenza sulle retribuzioni, le definizioni dei ruoli sono eccessivamente generiche e i requisiti troppe volte spropositati rispetto alle tipologie di profilo richieste.
Forse tutto ciò è da attribuirsi al target degli utilizzatori aziendali, che generalmente è quello delle agenzie interinali o dei giovani responsabili di selezione. O forse al fatto che i servizi per le aziende sono a pagamento, e quando si tratta di introiti importanti è difficile che si vada tanto per il sottile.

Due parole: occhi aperti.

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