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Classe '99, è laureato con lode in Economia Politica all'Università Roma Tre ed è stato in Erasmus alla Vrije Universiteit Brussel. Studia Scienze Economiche presso l'Università degli studi Roma Tre. Scrive per la rivista Kritica Economica e ha pubblicato alcuni articoli su Econopoly-Il Sole 24 ore.

Alessandro Guerriero

Classe &#8217;99, è laureato con lode in Economia Politica all&#8217;Università Roma Tre ed è stato in Erasmus alla Vrije Universiteit Brussel. Studia Scienze Economiche presso l&#8217;Università degli studi Roma Tre. Scrive per la rivista Kritica Economica e ha pubblicato alcuni articoli su Econopoly-Il Sole 24 ore.

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Informazione senza filtro


<p>Non vedo l&#8217;ora di leggere o sentire i commenti di chi pensa sia inaudito per un poeta parlare di politica. Consiglio subito in premessa, allora, di aprire la pagina Facebook di <strong>Franco Arminio</strong> e di recuperare dai post quanto attivismo dei sentimenti ci sia dentro quello che pensa prima ancora di scriverlo, e quante suggestioni e progetti concreti elargisca a politici e sindaci per rimettere un po&#8217; di ossigeno nelle flebo dei <strong>paesi italiani</strong>. Mentre l’Italia muore da decenni per incuria politica, i tavoli istituzionali si preoccupano di far pressione sui cittadini a colpi inauditi di paura e di emergenza. È poeta, scrittore e regista ma soprattutto si è autodefinito <em>paesologo</em> sdoganando una necessità italiana a cui nessuno aveva pensato.</p>



<p>“Penso a una <strong>guardia medica della poesia</strong> che apre una volta alla settimana in paese. Ogni settimana un poeta diverso. Il poeta sta nella sua stanza e legge i suoi versi o racconta qualcosa a chi va a trovarlo. Ovviamente il poeta fa anche visite domiciliari, va a trovare un malato, passa un poco di tempo con lui. Oppure va a trovare uno scapolo che vive da solo, o un anziano che ha voglia di compagnia. Nei momenti liberi il poeta sta per i fatti suoi, scrive o guarda il paese, lo usa come una cura per i suoi nervi. Un’altra proposta per i sindaci è una piccola <strong>casa della gioia</strong> al centro del paese: la funzione è diffondere buone notizie in luoghi in cui in genere ne circolano solo di cattive. Si prende un giovane attore pieno di entusiasmo e gli si affida questa funzione di accendere un focolaio di buon umore. Nella casa della gioia si porta una crostata, si festeggiano compleanni fuori dal cerchio ristretto dei propri famigliari, si ospitano persone a cui sono accadute cose belle, uno che è guarito da un tumore, uno che ha aperto un negozio che sta andando assai bene. Si canta e si suona, si raccontano storie mirabili. È la casa per combattere la sfiducia, il vittimismo, è un modo per farla finita con gli scoraggiatori militanti.”</p>



<p>Quando ho chiamato Franco Arminio qualche giorno fa per intervistarlo, che fosse il <strong>23 novembre</strong> mi sono accorta solo dopo aver chiuso il telefono mentre scrivevo la data per salvare il file; coincidenze che fanno bene alla scrittura. Il 23 novembre del 1980 spaccò per sempre lui e l’Italia col <strong>terremoto dell&#8217;Irpinia</strong>, che ancora fa tremare per l’ignavia nelle ricostruzioni dei palazzi e delle speranze: sull&#8217;Italia che finora ha tremato, e su quelle che lui chiama &#8220;parole dalle terre mosse&#8221;, un piccolo capolavoro è il suo ultimo libro <em><strong>Lettera a chi non c&#8217;era</strong></em> (Bompiani 2021). </p>



<p>Quella sera Franco Arminio aveva vent’anni e viene da pensare che una parte di lui ne abbia ancora venti se conserva simili energie e dedizioni che destina da anni alla solitudine dello <strong>spopolamento</strong>. Spopolamento figlio di una incuria politica a cui continuiamo a delegare le nostre vite pur sapendo che non le interessa ricostruire i nostri luoghi, le infrastrutture, i collegamenti, gli spazi di aggregazione risucchiati dal digitale, i ponti virtuali grazie a coperture di rete Wi-Fi che possano dare un senso a vite più isolate per scelta o per bisogno. Un&#8217;<strong>incuria della cosa pubblica</strong> che ha compresso da ogni lato le cose private.</p>



<p>“Bisogna occuparsi della <strong>salute emotiva </strong>delle persone, <strong>non basta salvarci dal COVID-19</strong>. Ieri uno ha ucciso suo figlio, oggi un altro ha ammazzato tutta la famiglia. In questi anni ci siamo occupati pochissimo dell&#8217;abisso in cui finiscono tante persone. Una società che pensa solo al PIL è una società profondamente malata. Chi oggi ci racconta che sta facendo di tutto per salvarci dal COVID-19 dovrebbe riconoscere che negli ultimi trent&#8217;anni ha molto indebolito la sanità pubblica e non si è fatto nulla di significativo per la salute mentale. La comunità nei paesi e nelle città ormai è solo una parola, ma i nostri governanti parlano di soldi e nient&#8217;altro.”</p>



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<h2><strong>La Great Resignation all’italiana parla altre geografie</strong></h2>



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<p>Un dato può aiutare a comprendere che non stiamo parlando di un problema di pochi: <strong>il 70% dei paesi italiani ha meno di diecimila abitanti</strong>. Il 70%.&nbsp;</p>



<p>Per decenni ci siamo però dedicati a <strong>costruire la vita e il lavoro degli italiani solo dentro un 30% del Paese</strong>, saturandolo. Noi stessi siamo stati complici del disastro accettando di vivere ammassati e intasati su strade, nei bar e nei ristoranti, sui mezzi pubblici, negli appartamenti in affitto a prezzi folli. Spesso <em>solo</em> per un lavoro. </p>



<p>La pandemia sta rilasciando i primi effetti umani dello scollamento tra ciò che siamo e ciò che facciamo &#8211; col perché in mezzo, finalmente &#8211; e il fenomeno che ancora una volta stiamo importando con gergo americano è <em><strong>Great Resignation</strong></em>, ma noi italiani per una volta dovremmo fare lo sforzo di ritagliarci qualcosa su misura. Se davvero sta iniziando anche da noi a dilagare il bisogno di incentrare la propria vita non più soltanto sul lavoro, o comunque non più soltanto sul <strong>ricatto del lavoro</strong>, serve grande accortezza nel distinguere i contesti.&nbsp;</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Arminio-tour-Bisaccia_Parlamenti-dellItalia-interna.jpeg"><img width="756" height="426" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Arminio-tour-Bisaccia_Parlamenti-dellItalia-interna.jpeg" alt="" class="wp-image-47231" /></a><figcaption>Franco Arminio a Bisaccia il 7 novembre scorso durante la giornata dedicata ai &#8220;Parlamenti dell&#8217;Italia interna&#8221;</figcaption></figure></div>



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<p>Grazie alla <strong>Casa della Paesologia</strong> fondata a <strong>Bisaccia</strong>, in Irpinia, da Franco Arminio &#8211; alla presidenza Grazia Coppola &#8211; è possibile intercettare storie professionali e di vita che non guadagnano mai le pagine dei giornali: alcune sere fa ho partecipato alla prima riunione operativa per strutturare attività e progetti, eravamo collegati online, quasi un centinaio di persone che hanno aperto una telecamera dal proprio paese più o meno grande, più o meno spopolato lungo la penisola. </p>



<p>Mi ha colpito l’intervento di una ragazza che vive in periferia a Milano; ha spiegato che l’abbandono non è riconducibile solo alle poche case di una realtà di montagna o di qualche località appenninica. “Anche ai <strong>milioni di persone che vivono in periferia </strong>come me non pensa nessuno, e qui lo spopolamento è un concetto ancora più grave, quasi più serio&#8221;. </p>



<p>Oppure chi, durante il collegamento online, ha ribadito la totale assenza di reti sociali quando si decide di tornare a vivere nei luoghi di origine dopo dieci o vent’anni trascorsi fuori per lavoro: la pandemia sta rimettendo sul piatto della bilancia anche riconversioni come questa, soprattutto da Nord verso Sud, e che sarebbe impellente tramite la Casa della Paesologia occuparsi anche di <strong>chi torna a casa propria</strong>, facendosi carico di solitudini individuali per superare quella collettiva.</p>



<p><strong>Nicola De Lillo</strong> invece è originario di <strong>Senise</strong>, in provincia di Potenza, Basilicata. Lo scorso anno, all’alba del primo lockdown, è rientrato con convinzione dall’Università di Glasgow, dove lavorava come <strong>dottorando in Astrofisica e onde gravitazionali</strong> all’Institute for Gravitational Research; Nicola continua a fare il suo lavoro da Senise e fa sempre parte della rete di collaborazione scientifica di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, un osservatorio nato per il rilevamento di onde gravitazionali). Ha 29 anni sulla carta ma la stoffa di un uomo già centrato: sognava fin da bambino di occuparsi di stelle e di cieli e c’è riuscito grazie ai sacrifici suoi e dei genitori che, spiazzati, se lo sono visto tornare in quel Sud da cui tutti una volta volevano scappare per vivere meglio. Mi racconta in privato del <strong>burnout </strong>dilagante tra i suoi colleghi e del suo desiderio di impostare sé stesso e la sua vita su contesti più umani e più densi, sfruttare la digitalizzazione per lavorare da dove sceglie, riallacciare relazioni vive. </p>



<p>Chi volesse sostenere la Casa della Paesologia può farlo associandosi <a href="https://casadellapaesologia.org/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">qui</a> con una quota di 30 euro annuali.</p>



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<h2 id="h-la-lettera-di-franco-arminio-ai-ricchi-che-per-parla-a-tutti"><strong>La lettera di Franco Arminio ai ricchi che però parla a tutti</strong></h2>



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<p>&#8220;<strong>Cari ricchi</strong>, il mondo sta finendo o è già finito non per colpa dell&#8217;uomo in generale ma per colpa vostra. Ora avete abilmente nascosto le vostre colpe al punto che <strong>i poveri votano per voi</strong>. Avete portato i poveri a pensare che il loro nemico è quello più povero di loro. Una volta in Occidente, e specialmente in Italia, c&#8217;erano partiti, persone, sindacati, c&#8217;erano tanti occhi che guardavano i vostri imbrogli e lo denunciavano. Ma da un certo punto in poi, più o meno dai tempi di Tony Blair, avete vinto, non avete più trovato resistenze perché avete convinto quasi tutti che le ingiustizie sociali sono un problema trascurabile, <strong>il cuore di tutto è la crescita più che il dolore</strong>. Siete stati bravi, avete condotto la vostra lotta di classe e l&#8217;avete vinta con l&#8217;appoggio di chi vi dovrebbe combattere”. </p>



<p>La lettera che Franco Arminio ha pubblicato alcuni giorni fa prosegue e non fa sconti. Cerco un commento con lui che possa tracciare il perché del suo sfogo. “Ho provato un grande sollievo nello scriverla, si prova sempre conforto quando si dà forma a un pensiero con le parole giuste. Nessuno parla più del malessere, del dolore, della solitudine e tanto meno della morte; <strong>se non c’è di mezzo un valore economico sembra che non esista più nulla</strong>. Ci siamo assuefatti al quanto, il chi e il come non interessano. Abbiamo bisogno di più conforto ben consapevoli che non può arrivare dai soldi. Il benessere è un’altra cosa”.</p>



<p>“E poi ci siamo abituati all’idea che ogni giornata chissà cosa vorremmo che accadesse, perché gli stimoli sono continui, ma poi non riusciamo più nemmeno ad ascoltarci l’uno con l’altro perché soprattutto dai social mandiamo tutti costantemente un segnale. La ricezione è piena di interferenze in simultanea, ognuno pensa al proprio segnale, al messaggio che sta postando. Il risultato è un effetto di <strong>immobilità generale</strong>, è un galoppo continuo di un cavallo che non si muove.”</p>



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Franco Arminio: “L&#8217;Italia muore da tempo di abbandono e pochi desideri. Non c’è solo il COVID-19”


<p>Non ci si deve spaventare quando ci si trova davanti a termini tecnici: canale scolmatore, vasca di dissipazione, giunto di dilatazione, pile, getto dell’impalcato, chiavica vinciana, risalto idraulico, platea di fondazione e così via. Ci si fa il callo, leggendo <strong><em>Nina sull’argine</em></strong>, di <strong>Veronica Galletta</strong>, Minimum Fax, perché Nina, come l’autrice, è un <strong>ingegnere</strong> (ingegnera non le piace), e senza termini tecnici il suo mestiere non lo si può spiegare. Ma il romanzo ci parla di <strong>una donna che fa un mestiere da uomini</strong>, di un cantiere dove sono tutti uomini, e di pregiudizi caratteristici di una mentalità difficile da scalfire. Perché Nina è il direttore dei lavori, e l’idea che dall’assessore del comune al geometra appaltatore, dai collaudatori agli operai che si alternano nelle complesse fasi della costruzione di un argine, tutti, tutti debbano dipendere da una donna, e per di più meridionale, è quasi inaccettabile.</p>



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<h2 id="h-la-storia-di-nina-donna-ingegnere-dalla-sicilia-alla-bassa-padana">La storia di Nina, donna ingegnere dalla Sicilia alla bassa padana</h2>



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<p>Andiamo con ordine. Nina è di origine <strong>siciliana</strong>, è al suo primo incarico, e si trova a lavorare in una regione lontanissima da casa, la <strong>bassa padana</strong>. I ricordi di Siracusa, di Ortigia, del sole dell’isola li ha, ma non ha rimpianti. Ha scelto, la sua casa non è più lì. Ora è alle prese con la <strong>costruzione di un argine su un fiume</strong>.</p>



<p>Nina soffre i problemi personali e un paesaggio particolare, perché questo è anche un <strong>libro di atmosfere</strong>, <strong>di sentimenti contrastanti</strong>, <strong>di ambienti ostili</strong>. Spina, frazione di Fulchré, è tutto salvo che un posto accogliente, specie per chi viene dal sole del Meridione. Nebbia, che quando è troppa suscita ansie e dubbi. Freddi polari, pozzanghere ghiacciate, umidità divorante, la galaverna. E c’è anche un amore appena finito, e la solitudine. Solo una gatta, Nerina, a fare le fusa quando si torna a casa.</p>



<p>L’incarico è difficile per molti motivi: la diffidenza degli interlocutori e il loro <strong>maschilismo</strong>; la scarsa affidabilità di un subappaltatore; l’<strong>esigenza politica </strong>dell’amministrazione comunale, che vuole vantare la conclusione dei lavori nei tempi previsti, a costo di lavori imprecisi; e infine perché gli argini, se non stabilizzati, si spostano continuamente, e l’opera deve essere conclusa prima che le piene primaverili si portino via degli impianti non terminati. Poi ci sono gli <strong>ambientalisti</strong>, ostili alla costruzione, necessaria per evitare esondazioni ma invasiva sul territorio. Ci sono dicerie di operai finiti male e anziane signore che si oppongono agli espropri. Nulla di semplice.</p>



<p>Non c’è passo che non nasconda un’insidia: <strong>se ti chiamano</strong> “<strong>signora” invece che ingegnere</strong> è perché hanno già deciso che non si fidano di te, e se rivendichi la qualifica sembra che tu sia inutilmente ostinata. Ma Nina è una donna tenace, pur con le sue fragilità, e si fa strada tra le ironie e gli sgambetti di chi vorrebbe sostituirla con qualcuno più duttile e meno rigoroso di lei.</p>



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<h2 id="h-etica-contro-umanit-e-uomini-contro-donne-sul-lavoro">Etica contro umanità (e uomini contro donne) sul lavoro</h2>



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<p>Tuttavia proprio quando comincia a lavorare a un cantiere facile il suo capo, che le aveva detto esplicitamente che avrebbe preferito un uomo, viene arrestato per corruzione insieme a quindici tra ingegneri e funzionari, e <strong>il lavoro difficile arriva a lei</strong>.</p>



<p>Il momento più delicato si profila quando Nina scopre che <strong>un subappaltatore sta lavorando in modo impreciso</strong>, sostiene di aver perso le tavole di progetto, non ha fatto i provini del calcestruzzo necessari. E alle proteste di Nina si schermisce: ho mal di cuore, mia moglie è ammalata, gli operai sono impegnati in un altro cantiere… Nina teme che il lavoro sia fatto male, chiede una verifica, il collaudo dimostra che il cemento non ha la tenuta richiesta. E <strong>la strada</strong> che doveva essere inaugurata per Pasqua <strong>resta chiusa</strong>.</p>



<p>L’incontro che segue, con l’assessore, ha i toni che si temono in questi casi. “Lei è giovane, inesperta, puntigliosa, lasci fare a noi, lei potrebbe essere mia figlia, <strong>lasci perdere, le diamo un incarico più leggero, se no si dimetta</strong>”. Nina non si lascia ammansire: “Io non mi dimetto, se volete sollevatemi dall’incarico, poi vedremo per quali motivi e ve ne prendete la responsabilità”. Intanto i collaudi si rifaranno, ma finché non sono corretti la strada non si inaugura.</p>



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<h2 id="h-perch-leggere-nina-sull-argine">Perché leggere <em>Nina sull</em><em>’</em><em>argine</em></h2>



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<p>Il <strong>mestiere dell’ingegnere</strong> è già difficile di per sé, ed essere una donna complica un impegno già intricato. Perché per noi, digiuni di costruzioni, pare impossibile che si riescano a tenere insieme tante compatibilità, tanti limiti minimi e massimi di tolleranza, tante professionalità. Non c’è pezzo del lavoro descritto il cui completamento non paia, a noi profani, un miracolo.</p>



<p>“Ci sono ruoli, incarichi, compiti ben precisi e definiti, regolati da una normativa molto chiara in alcune parti, del tutto nebulosa in altre”. E qui le zone d’ombra rendono i confini inapplicabili.</p>



<p>Ci sono però anche <strong>momenti di allegria</strong>, quando si completa un lavoro, quando arriva un tecnico che usa con grande perizia una macchina e risolve i problemi, quando tutto il cantiere sembra essere un organismo unitario, che vive e lavora in simbiosi, senza conflitti né gelosie.</p>



<p>C’è, in questa <strong>visione di un lavoro di cui tutti sono orgogliosi</strong>, di un’umanità compatta che si sente capace di condividere sforzi e soddisfazioni, <strong>qualcosa di quasi mistico</strong>. E che Nina sia donna allora se lo dimenticano tutti, e quello che è fatica in un momento si tramuta in gioia, perché essere contenti del lavoro che si è fatto è una delle cose più belle della vita.</p>


Donne sull&#8217;argine di una crisi di nervi

<p>Dal 19 al 21 novembre 2021 si è tenuta l’undicesima edizione della <strong>Leopolda</strong>, e per un attimo, su giornali e tg l’attenzione si è spostata dal Covid a quella che sembrava una “notizia”.</p>
<p>Il convegno organizzato a Firenze da <strong>Matteo Renzi</strong> è stata invece l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e abbandonarsi a qualche intervento di sana apologia politica. Come nel caso dell’imprenditore bocconiano <strong>Davide Serra</strong>, tra i principali finanziatori di Italia Viva.</p>
<p>Nel primo giorno della manifestazione, Serra ha cercato di dimostrare che l’Italia avrebbe avuto un <strong>forte aumento del PIL</strong> grazie all’arrivo di <strong>Mario Draghi</strong>, il quale insieme a Renzi avrebbe creato una miriade di <strong>posti di lavoro</strong>, <strong>al contrario degli altri governi</strong>. Un vero e proprio Rinascimento post-pandemico come ama ripetere Renzi ad ogni latitudine. E prima di Draghi, il diluvio: termine di paragone in negativo, manco a dirlo, è il precedente <strong>Governo Conte II</strong>, di cui i Renziani dimenticano sempre di essere stati attivi contribuenti sia alla nascita che al naufragio.</p>
<p>Per corroborare la sua tesi, l’imprenditore ha impiegato grafici e dati sull’andamento dell’economia italiana ed europea durante gli ultimi anni. Sforzo encomiabile; peccato che <strong>quanto afferma non sia vero</strong>.</p>
<p><em>SenzaFiltro </em>ha analizzato il suo intervento e l’utilizzo che ha fatto dei dati e delle due l’una: o Serra – imprenditore nonché bocconiano, giova ricordarlo – non sa analizzare l’andamento dell’economia, il che metterebbe in serio pericolo la reputazione della scuola di economia più costosa del nostro Paese, oppure <strong>ha interpretato i dati in maniera parziale</strong>, forse folgorato sulla via di Rignano.</p>
<p>Vediamo perché, punto per punto.</p>
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<h2 id="h-ultimi-con-conte-primi-con-draghi-il-wishful-thinking-del-renziano-davide-serra">“Ultimi con Conte, primi con Draghi”: il wishful thinking del renziano Davide Serra</h2>
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<p>Il primo grafico di Davide Serra, inerente alla situazione economica e da lui stesso prodotto, è mostrato nella <strong>F</strong><strong>igura 1</strong>. Indica il tasso di crescita del PIL dal terzo trimestre del 2018 all’ultimo disponibile, ovvero il secondo del 2020. Serra ne desume due tesi:</p>
<ul>
<li>per colpa dei <strong>Governi Conte I e II</strong>, l’Italia durante il <strong>2020</strong> avrebbe avuto un <strong>tasso di crescita del PIL inferiore</strong> agli altri Paesi europei;</li>
<li>grazie al <strong>Governo Draghi</strong>, dal <strong>2021</strong> l’Italia sarebbe <strong>cresciuta di più rispetto </strong>agli altri Paesi europei.</li>
</ul>
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<p class="has-text-align-center"><strong><em>Figura 1</em></strong></p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Immagine1-1.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" class="wp-image-47217" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Immagine1-1.jpg" alt="" width="641" height="364" /></a><figcaption><em>Fonte: Eurostat, elaborata da Davide Serra</em></figcaption></figure>
</div>
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<p>Il grafico in <strong>Figura</strong><strong> 2</strong>, di nostra elaborazione, è stato creato utilizzando sempre i dati sul PIL reale dell’Eurostat, ricavati dagli stessi Paesi del grafico di Serra.</p>
<p>La differenza è che tutti i dati trimestrali del PIL sono rapportati a quelli dell’<strong>ultimo trimestre del 2019</strong> (2019-Q4), cioè l’ultimo in una situazione di normalità. Il nostro grafico quindi considera i Paesi a partire da un <strong>valore pari a 100</strong>: in questo modo è più facile vedere chi è andato meglio e chi peggio, partendo dallo stesso equivalente.</p>
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<p class="has-text-align-center"><strong><em>Figura 2</em></strong></p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Immagine2-1.png"><img loading="lazy" decoding="async" class="wp-image-47214" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Immagine2-1.png" alt="" width="648" height="356" /></a><figcaption><em>Fonte: Eurostat, elaborata da Alessandro Guerriero per SenzaFiltro</em></figcaption></figure>
</div>
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<h2>L’analista della Leopolda si scorda della pandemia per attaccare Conte</h2>
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<p>Come si osserva dal nostro grafico, il valore del PIL del secondo trimestre 2020 (Q2-2020) era pari a poco più dell’80% del dato di riferimento (2019-Q4). <strong>La Francia </strong>ha osservato una<strong> caduta addirittura più forte </strong>rispetto a quella italiana. In generale, è evidente che tutti i Paesi sono stati colpiti da un cosiddetto <strong>shock esogeno, ovvero la pandemia</strong>.</p>
<p>Dove sta il trucco?</p>
<p>Serra non tiene conto del fatto che <strong>è quasi impossibile vedere l’effetto dei governi sul PIL</strong>, visto che il COVID-19 ha inciso in maniera nettamente superiore rispetto a qualunque altro evento in questi ultimi tempi. L’imprenditore sembra poi dimenticare che <strong>l’Italia è stato il Paese europeo più colpito dal virus</strong> durante la prima ondata, e che è stato il primo a adottare un lockdown assai restrittivo, con un forte impatto sull’economia. Se la Germania avesse iniziato il lockdown prima dell’Italia, con lo stesso numero di contagi e tagli alla sanità simili a quelli italiani, il suo PIL sarebbe stato così superiore?</p>
<p>È difficile dare una risposta. L’unica certezza è che <strong>non si può imputare un crollo così forte del PIL al Governo Conte</strong>, <strong>ma alla pandemia</strong>. Se facessimo il contrario, sarebbe come incolpare gli inquilini per i danni a un edificio a causa delle fondamenta.</p>
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<h2 id="h-il-pil-italiano-cresce-ma-draghi-non-c-entra-questione-di-rimbalzo">Il PIL italiano cresce, ma Draghi non c’entra: è questione di rimbalzo</h2>
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<p>La seconda tesi, invece, asserisce che grazie a Draghi <strong>l’economia italiana starebbe facendo meglio delle altre</strong>.</p>
<p>Anche qui, nella Figura 2 possiamo vedere che con Draghi il valore del PIL italiano non è tornato ai livelli pre-pandemia (equivalente a 100), e che <strong>i Paesi selezionati ora sono più o meno allo stesso livello</strong>, pari al <strong>95% del PIL pre-pandemico</strong>. Il PIL italiano è andato bene nel secondo trimestre del Governo Draghi (Q2-2021), ma la sua crescita è comunque rimasta in linea con quella degli altri Stati.</p>
<p>Anche qui, com’è possibile valutare il Governo Draghi basandosi soltanto su un dato trimestrale sul PIL, senza contare gli <strong>effetti esogeni della pandemia</strong> sul dato stesso? L’Italia ha avuto una caduta del PIL più importante rispetto agli altri Paesi, dunque <strong>il cosiddetto rimbalzo è stato più forte</strong>. Lo stesso è valso per la <strong>Francia</strong>, dove l’aumento del PIL è arrivato qualche mese prima di quello italiano; ma il livello di Germania, Francia, Italia e della media europea è rimasto lo stesso.</p>
<p>È importante ricordare che gli effetti esogeni della pandemia sono molto influenti, ed è difficile rintracciare il merito del governo sulla crescita del PIL, come detto in precedenza per Conte. In tutti i casi non è possibile discernerlo con la sicumera di Serra, che <strong>sembra sapere già in anticipo che cosa sta cercando nei dati</strong>.</p>
<p>Per rendere l’idea: applicando il ragionamento dell’analista della Leopolda, tra il secondo e il terzo trimestre del 2020 in termini di PIL <strong>il Governo Conte avrebbe ottenuto un risultato migliore</strong> rispetto alla media europea e alla Francia. Continuando a ragionare come Serra, dovremmo dire che Conte in quel periodo ha fatto bene all’economia italiana, cosa che l’imprenditore italovivo si guarda bene dal far notare.</p>
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<h2 id="h-posti-di-lavoro-perch-non-una-gara-a-chi-ne-ha-creati-di-pi">Posti di lavoro, perché non è una gara a chi ne ha “creati” di più</h2>
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<p>Un altro grafico mostrato da Serra (<strong>Figura 3</strong>) è quello sui <strong>posti di lavoro creati o persi</strong> dai vari governi partendo da quello presieduto da Silvio Berlusconi nel 1994.</p>
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<p class="has-text-align-center"><strong><em>Figura 3</em></strong></p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Immagine4-1.png"><img loading="lazy" decoding="async" class="wp-image-47216" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/11/Immagine4-1.png" alt="" width="647" height="404" /></a><figcaption><em>Fonte: Eurostat, elaborata da Davide Serra</em></figcaption></figure>
</div>
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<p>Anche qui Davide Serra fa intendere che il Governo Draghi e il Governo Renzi avrebbero aumentato di molto i posti di lavoro, mentre il Governo Conte no. Ma imputare il crollo dell’occupazione a Conte significa essere in malafede: di nuovo, <strong>sembra che Serra dimentichi l’esistenza del COVID-19</strong>. Lo stesso vale quando si osserva il dato durante il Governo Draghi, perché è ovvio che dopo l’allentamento delle restrizioni e l’avvento dei vaccini sia l’occupazione che la produzione (e quindi il PIL) siano aumentati.</p>
<p>Andando a ritroso fino al periodo di Renzi primo ministro, Serra dà mostra di un’altra sciatteria analitica, poiché non tiene conto dei <strong>cicli economici</strong>, ovvero dell’andamento dell’economia italiana. In un momento di crescita (che può dipendere da fattori esterni) la produzione tende ad aumentare, e per questo ha bisogno di assunzioni di nuovi lavoratori. I governi precedenti a Renzi hanno dovuto affrontare una situazione economica di stagnazione o decrescita per via della <strong>crisi del 2008</strong> e dei debiti sovrani del 2012, mentre durante il Governo Renzi la situazione era ben migliorata per via del rimbalzo dell’economia.</p>
<p>Viene attribuito al <strong>Jobs Act</strong> l’aumento dell’occupazione, ma vari studi economici dimostrano che l’allentamento delle tutele non crea più occupazione. In realtà, il risultato del Jobs Act è stato la <strong>precarizzazione</strong> di molti lavoratori e la riduzione dei loro diritti.</p>
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<h2 id="h-l-effetto-draghi-sull-informazione-i-serra-parlano-i-giornalisti-annuiscono">L’effetto Draghi sull’informazione: i Serra parlano, i giornalisti annuiscono</h2>
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<p>Ecco alcune ragioni per <strong>diffidare</strong> da chi vorrebbe valutare l’operato di un governo utilizzando <strong>soltanto l</strong><strong>’indicatore del PIL</strong>, che misura la produzione di un Paese, ma non il suo <strong>benessere</strong>. Per esempio: che cosa è successo ai salari in questi ultimi anni? E alle disuguaglianze?</p>
<p>I dati e i grafici si prestano a interpretazioni controverse, specie presso i non addetti ai lavori, e c’è sempre qualcuno pronto ad approfittarne. Fa specie, tuttavia, che <strong>nessuno nel mondo dell</strong><strong>’informazione si sia preoccupato di verificare</strong> quanto è stato affermato su un palco che ha goduto di una simile risonanza a livello nazionale.</p>
<p>Dispiace dare un freno all’ennesimo tentativo di incensare il taumaturgo dell’economia Mario Draghi, ma <strong>la realtà è ben più complessa</strong> di favole così confezionate. Esistono molteplici dati e indicatori che bisognerebbe osservare per determinare la bontà delle azioni di un governo, ma soprattutto servirebbe osservarle in un <strong>lasso di tempo maggiore</strong>. Sperando che la pandemia in cui siamo ancora immersi non abbia più nulla da dire.</p>
<p>Vorremmo essere capaci di credere a ciò che ha affermato Davide Serra. Al momento, però, ci riesce davvero difficile: il Paese racconta una storia ben diversa.</p>
<p>Per esempio quella di un Paese che ha i salari più bassi di Europa e che non crescono da 30 anni.</p>
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<p><em>Photo by static.nexilia.it</em></p>


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Effetto Serra sulla Leopolda: il taglia e cuci dei dati per adulare Draghi

Dal palco della kermesse renziana il finanziere Davide Serra ha magnificato gli effetti del Governo Draghi rispetto ai precedenti. Analizziamo i dati per valutare se è proprio come dice.

Effetto Serra sulla Leopolda: il taglia e cuci dei dati per adulare Draghi - Informazione senza filtro

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<p>Vincitore di molti premi letterari, <strong><em>Ipotesi di una sconfitta</em></strong> di <strong>Giorgio Falco</strong>, Einaudi Big, è un romanzo che mette a confronto due generazioni e due modi diversi di vivere e lavorare.</p>



<p>Da un lato <strong>un padre</strong>, proveniente da una famiglia di agricoltori siciliani, che si era trasferito a Milano diventando autista presso l’Azienda dei Trasporti Milanesi (<strong>ATM</strong>), “da lui chiamata l’Azienda”. Un padre che aveva quello che in gergo si chiamava un socio, Nino, ex soldato di stanza in Somalia, assunto in ATM al suo rientro. Entrambi con un lavoro stabile e un contratto a tempo indeterminato, che garantiva uno stipendio fisso e la possibilità di comprare “una Fiat Seicento, più per status sociale, che per necessità”.</p>



<p>Dall’altro lato invece <strong>Giorgio</strong>, appartenente alla generazione che ha solo sentito parlare di contratto a tempo indeterminato e che <strong>di lavori ne cambia in continuazione</strong>. Lavori che spesso non hanno nulla a che fare con il suo percorso di studi, né con le sue inclinazioni.</p>



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<h2 id="h-padri-contro-figli-lo-strappo-del-lavoro-attraversa-due-generazioni">Padri contro figli: lo strappo del lavoro attraversa due generazioni</h2>



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<p>La generazione del padre di Giorgio e del suo socio Nino è capace di ascoltare, osservare, apprezzare anche il <strong>valore del silenzio</strong>. È una generazione di donne e di uomini che si spaccano la schiena, che hanno grandi valori, che credono nell’onestà e vivono ogni piccola conquista come un successo. I tranvieri vedono ogni giorno passare davanti ai loro occhi un’umanità in cammino, come se su quegli autobus andasse in scena lo spettacolo della vita quotidiana. “I passeggeri degli autobus mutavano in rapporto all’orario: dopo gli operai salivano gli impiegati, commessi, studenti”. I soldi che guadagnano sono frutto di tanto impegno, ma non bastano mai, e i sacrifici da affrontare sono sempre molti.</p>



<p><strong>Giorgio fa diverse esperienze lavorative</strong>: stampatore di medagliette, assistenza a compratori stranieri, venditore porta a porta, attivatore di carte SIM, raccoglitore di reclami, con un continuo cambiamento di ambienti, di ritmi di produzione, di colleghi. Un processo inesorabile, che investe un’intera generazione, diversamente da quella dei padri, che ha vissuto la <strong>crisi</strong> solo nella fase del <strong>prepensionamento</strong>: “La fine della sua vita automobilistica aveva accelerato la fine della sua vita biologica (…). Si era compiuta così la corrispondenza temporale tra la morte di un uomo e la fine del suo lavoro. Mio padre sarebbe morto a causa di una questione clinica, certo, (…) ma sarebbe morto anche perché la sua frase ossessiva, oscura pur nella sua semplicità – <strong>sta diventando impossibile</strong> – si era concretizzata, diventando anche la morte di mio padre, oltre che il nostro vivere contemporaneo”.</p>



<p>I figli crescono osservando l’immagine dei <strong>genitori piegati dalla stanchezza</strong>, sognano di ripagarli delle loro fatiche, ma sognano anche di non doversi sporcare le mani. In pochi anni infatti si è sviluppata una mentalità per cui ancor prima della stabilità nella posizione lavorativa si ambisce a una sorta di <strong>prestigio</strong>, per cui le più gettonate diventano le professioni da scrivania.</p>



<p>“Qualora mio padre manifestasse un interessamento per la mia situazione lavorativa, Nino si dilegua; a quel punto interveniva mia madre, ideologa occulta della mia sconfitta lavorativa, contraria al fatto che lavorassi in ATM (…). Mia madre, senza volerlo, mi spingeva dentro il percorso accidentato grazie al quale sarei diventato uno scrittore.”</p>



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<h2 id="h-il-male-di-scrivere-il-male-del-lavoro">Il male di scrivere, il male del lavoro</h2>



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<p>Un mestiere nobile, quello dello <strong>scrittore</strong>, considerato però da molti fuori dalle righe, un <strong>non mestiere</strong>. “Nino aveva chiesto se lavorassi. Eh, ho saputo dei libri. Aveva usato il tono con cui si condivide la pena per una disgrazia. Poi, per tornare a qualcosa di più concreto e al tempo stesso evanescente, aveva aggiunto: se sapevo che eri senza lavoro, potevo fare qualcosa, mi informavo per un posto all’ATM, fino all’anno scorso potevo fare qualcosa. Fino all’anno scorso potevo fare qualcosa. Una frase sentita tante altre volte, molto tempo fa”.</p>



<p>Il protagonista arriva a cercare una <strong>clinica del lavoro</strong>, con la consapevolezza però, di non essere lui il vero malato. “<strong>Il malato è il lavoro</strong> ed è questo che deve essere curato, non l’individuo”. Giorgio si fa visitare, dialoga con i medici, che alla fine gli diagnosticano una “personalità compensata e un interesse limitato, con risorse progettuali limitate”. Scrive in modo quasi compulsivo, cancella ciò che scrive, pubblica tre libri in quindici mesi e si dà anche alle scommesse.</p>



<p>“Quando ti rifugi così nella scrittura, dubiti della vita. Mi sentivo convalescente, ma non ero deluso del lavoro. Soffrivo, dall’età di diciassette anni, di una <strong>nevrosi politica ed economica</strong>, più che individuale.”</p>



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<h2 id="h-perch-leggere-ipotesi-di-una-sconfitta">Perché leggere <em>Ipotesi di una sconfitta</em></h2>



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<p>Il romanzo di Giorgio Falco restituisce la <strong>fotografia di due generazioni</strong> che si confrontano sul tema del lavoro, rivelando un cambiamento graduale ed epocale, che ha coinvolto l’approccio stesso al mondo lavorativo.</p>



<p>La conclusione di questo confronto è triste, amara. La generazione dei giovani ne esce come spenta, demotivata: “La risata collettiva si era trasformata nella maschera individuale della finzione, che si sarebbe inchiodata ai loro volti lavorativi abituali, accompagnandoli, sempre più isolati, fino alle scrivanie. Non credevano in niente, solo alla propria sconfitta che arrivava ogni giorno”. <strong>Ma è il lavoro che appare svuotato del suo significato</strong>. </p>



<p>L’opera è un’<strong>autobiografia</strong> e al tempo stesso un’<strong>indagine antropologica e sociale</strong>. <em>Ipotesi di una sconfitta</em> immortala un momento storico importante, a cavallo tra due epoche irripetibili e al tempo stesso defunte. Un libro che la prossima generazione dovrà leggere, per capire dove ha gradualmente portato un capitalismo tossico e disumanizzante.</p>


La malattia del lavoro ha un romanzo per diagnosi


<p>L’introduzione del <strong>Green pass nel settore delle lavoratrici e dei lavoratori domestici</strong> aveva sollevato fortissime preoccupazioni rispetto a possibili problematiche e disservizi che avrebbero pesato negativamente sul benessere di famiglie e anziani. Diversamente, a quasi due settimane dall’entrata in vigore dell’obbligatorietà della certificazione, la situazione non sembra essere così tesa e complessa, almeno per quanto riguarda la parte in chiaro del comparto. Ma quali sono le motivazioni e i comportamenti che stanno dietro a questa calma?</p>



<p>Ne abbiamo parlato con <strong>Alberto Gallas</strong>, CEO e Founder di Gallas Group; <strong>Andrea Zini</strong>, presidente Assindatcolf; ed <strong>Emanuela Loretone</strong>, Responsabile FILCAMS CGIL Nazionale del CCNL per il Lavoro Domestico.</p>



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<h2 id="h-badanti-solo-il-10-non-vaccinato-ma-aumentano-i-licenziamenti">Badanti, solo il 10% non è vaccinato. Ma aumentano i licenziamenti</h2>



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<p>“Appena uscito il decreto ufficiale si era pensato che la maggior parte delle badanti (in prevalenza straniere) sarebbe tornata nei Paesi d’origine, e che ci sarebbe stato un grosso problema nel coprire le assistenze”, racconta Alberto Gallas, di Gallas Group (un’agenzia del lavoro specializzata nella ricerca e nella selezione del personale domestico, che conta ventisei filiali distribuite nelle regioni di Nord e Centro Italia). “In realtà da quel momento in poi <strong>la maggior parte delle lavoratrici ha provveduto a vaccinarsi</strong>”, continua. “Le nostre filiali seguono 8.000 badanti, e ad oggi quelle che hanno deciso di non vaccinarsi sono circa il 10%, una percentuale molto più bassa delle aspettative iniziali”.</p>



<p>Un dato che, secondo Gallas, è dovuto a <strong>ragioni prettamente economiche</strong>: “Molte di queste lavoratrici hanno un grande bisogno di lavorare, e questo ha prevalso sulla paura e la diffidenza nei confronti del vaccino. <strong>Tante famiglie</strong>, inoltre, pur di non perdere le loro collaboratrici si sono rese disponibili a <strong>sostenere il costo dei tamponi</strong>. Questa decisione è stata presa soprattutto nel caso di rapporti consolidati e duraturi, la cui interruzione avrebbe comportato un danno alla famiglia o all’assistito”.</p>



<p>Negli altri casi, secondo Gallas, lavoratori e datori hanno risolto la questione nelle settimane precedenti l’introduzione della certificazione facendo ricorso a <strong>dimissioni</strong> e <strong>licenziamenti</strong>. “La nostra associazione ha registrato <strong>un ottobre anomalo</strong> rispetto agli anni precedenti: generalmente per noi è un mese tranquillo, con poche sostituzioni e tanti lavoratori disponibili da cui attingere per eventuali selezioni. Quest’anno invece abbiamo conteggiato un leggero aumento dei licenziamenti e un 15-20% di richieste in più per sostituire le badanti che sono tornate nei loro Paesi, oltre a una minore disponibilità di lavoratori liberi. Per noi è comunque <strong>un numero contenuto</strong>, viste le stime drastiche che erano state fatte”.</p>



<p>Dello stesso parere si dice anche <strong>Andrea Zini</strong>, presidente del sindacato Assindatcolf: “Quei 15-20 giorni di anticipo prima dell’introduzione del Green pass hanno permesso alle famiglie di organizzarsi per sistemare le cose. Nei giorni precedenti all’introduzione del certificato verde c’è stato un <strong>aumento dei licenziamenti da parte delle famiglie </strong>(+7-8%), a cui mi aspetto seguirà un progressivo aumento delle assunzioni di nuovo personale dotato di Green pass”.</p>



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<h2 id="h-sanzioni-e-sospensione-alloggio-che-cosa-rischiano-badanti-e-datori-di-lavoro">Sanzioni e sospensione alloggio: che cosa rischiano badanti e datori di lavoro</h2>



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<p>La correlazione tra questi licenziamenti e l’assenza di Green pass resta speculativa, dato che da un lato le FAQ sul sito del Governo non indicano che un lavoratore domestico possa essere licenziato in assenza di Green pass, e che dall’altro il CCNL prevede che si possa licenziare un lavoratore domestico senza dover precisare una motivazione specifica.</p>



<p>Vengono invece specificate dal Governo le <strong>sanzioni</strong> a cui vanno incontro badanti e famiglie (da 600 a 1.500 euro per i lavoratori e da 400 a 1.000 euro per il datore), e viene indicato che se il lavoratore domestico non possiede una versione valida del Green pass deve essere considerato assente ingiustificato. Questa condizione comporta fin dal primo giorno la sospensione della retribuzione e di tutti gli emolumenti (compreso il vitto e l’alloggio in caso di convivenza) e lo stop al pagamento dei contributi INPS e CAS.SA.COLF.</p>



<p>Si è espressa su questo tema <strong>Emanuela Loretone</strong>, responsabile FILCAMS CGIL Nazionale del CCNL per il lavoro domestico: “Servono delle risposte in tempi rapidi da parte del Governo su tale questione. La <strong>sospensione dell’alloggio</strong> per molti di questi lavoratori può essere un serio problema, soprattutto se teniamo conto che tra coloro che sono <strong>sprovvisti di Green pass</strong> non ci sono solo quelli che non si vogliono vaccinare, ma anche coloro che hanno fatto un <strong>vaccino non riconosciuto nel nostro Paese</strong>, come lo <strong>Sputnik</strong>”.</p>



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<h2 id="h-gli-esodati-del-vaccino-con-lo-sputnik-niente-green-pass">Gli esodati del vaccino: con lo Sputnik niente Green pass</h2>



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<p>La questione dei <strong>vaccini stranieri</strong> richiede necessariamente una risposta in tempi rapidi in un settore caratterizzato da un’alta presenza di lavoratori provenienti da altri Paesi. Sono infatti <strong>150.000 </strong>i lavoratori in Italia a essere sprovvisti di Green pass pur essendo vaccinati, di cui 50.000 nel settore dei lavoratori domestici.</p>



<p>A tal proposito, Loretone sottolinea il pericolo che molti lavoratori si trovino costretti giocoforza a <strong>ripetere il vaccino</strong> con uno di quelli riconosciuti pur di poter lavorare, anche se la sicurezza o meno di questa scelta sulla salute non è stata ancora chiarita. Su questo tema interviene anche Gallas, secondo cui al momento molte famiglie hanno mantenuto attivi i rapporti di lavoro con persone che hanno fatto un vaccino non riconosciuto nel nostro Paese, considerando comunque il lavoratore come vaccinato.</p>



<p>Per ora il Governo non si è espresso, ma la speranza dei sindacati è che venga adottata una soluzione simile a quella dell’<strong>accordo con San Marino</strong>, prorogato al 31 dicembre.</p>



<p>E c’è attesa di chiarimenti anche rispetto ai <strong>controlli</strong> sia da parte dei datori di lavoro che da parte delle istituzioni, anche se ad oggi le realtà intervistate non hanno ricevuto segnalazione di verifiche e di multe afferenti all’assenza di Green pass per la categoria dei lavoratori domestici. Per i datori di lavoro non è stato precisato come risolvere le situazioni di difficoltà a fare il controllo, come nel caso di persone – magari anziane e sole – sprovviste di smartphone o prive di competenze digitali per effettuare queste verifiche.</p>



<p>Inoltre non sono state fornite indicazioni neanche rispetto alle <strong>modalità di controllo nelle abitazioni private da parte di soggetti esterni</strong>. D’altro canto il tema dei controlli è sempre stato una spina nel fianco per questo settore, anche rispetto al lavoro nero. Come evidenzia Zini, infatti, è probabile che le persone che continueranno a non volersi vaccinare troveranno una nuova occupazione solo senza contratti formali.</p>



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<h2 id="h-la-piaga-del-lavoro-nero-impedisce-di-applicare-le-norme-sul-green-pass">La piaga del lavoro nero impedisce di applicare le norme sul Green pass</h2>



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<p>L’<strong>ampia estensione del lavoro nero </strong>è un fenomeno che da sempre caratterizza questo settore: a fronte di circa due milioni di operatori del settore, infatti, solo 850.000 hanno un rapporto di lavoro dichiarato, mentre il restante 60% lavora senza contratto.</p>



<p>Su questo tema Loretone dichiara: “Il lavoro nero è un problema atavico di questo settore, che nasce ben prima del Green pass e richiede una sua regolazione in tempi rapidi. Il PNRR ad esempio prevede lo stanziamento di fondi per la <strong>regolarizzazione del lavoro femminile</strong>: questa è un’occasione importante per fare in modo che ci sia una regolarizzazione di chi entra nel nostro Paese a svolgere questo lavoro. Alcuni passi avanti erano stati fatti negli ultimi anni con il Decreto Flussi, grazie al quale c’è stato un aumento nella regolarizzazione di colf e badanti, che però non basta”.</p>



<p>Ci troviamo così di fronte a un paradosso per cui, vista la <strong>percentuale di lavoratori in nero</strong> nel settore, <strong>non è possibile</strong> garantire l’applicazione della normativa legata al <strong>Green pass</strong> proprio in un comparto che è invece fondamentale per la salute della famiglia e della persona. In aggiunta alle risposte pronte rispetto ai vuoti normativi legati all’introduzione del Green pass, ciò che sembra ancora più urgente rispetto al settore del lavoro domestico è quindi un’azione forte del Governo rispetto alla questione del lavoro nero.</p>



<p>L’attenzione dei sindacati e degli altri portatori di interesse resta alta. La speranza è che le nuove misure previste dal Governo nel <strong>PNRR</strong> potranno far fare dei passi in avanti alla regolarizzazione di tanti rapporti di lavoro, che negli anni invece sono rimasti nell’ambito del lavoro sommerso.</p>



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<p><em>Photo credits: primalavaltellina.it</em></p>


Caos badanti. Quando il saggio indica il lavoro nero, lo Stato guarda il Green Pass

<p>Il <strong>reddito di cittadinanza</strong> è una delle misure più discusse degli ultimi anni, ed ancora di più in questi giorni visto che il Governo sta modificando alcune sue parti.</p>
<p>Hanno fatto molto rumore le dichiarazioni fatte dal Presidente di Confindustria <strong>Carlo Bonomi</strong> al 36° convegno dei giovani imprenditori svolto a Napoli lo scorso fine settimana, in cui, oltre ad aver commentato positivamente la manovra proposta dalla Ministra Carfagna sulla proproga della decontribuzione per le aziende del Sud, il suo intervento si è concentrato in un attacco diretto al Reddito di Cittadinanza come ormai è solito fare dal momento del suo insediamento.</p>
<p><a href="https://www.adnkronos.com/manovra-2022-bonomi-non-ce-nulla-per-i-giovani_7qHQQ97V19Zr18FFeHofJy" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Come riportano l’agenzia Adnkronos</a>, <a href="https://www.ilgiornale.it/news/politica/grande-flop-reddito-cittadinanza-solo-423-su-800mila-hanno-1984230.html" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">il Giornale</a>, <a href="https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/29182085/reddito-cittadinanza-costo-400mila-euro-persona.html" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Libero</a>, <a href="https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/10/21/news/confindustria_napoli_vito_grassi_al_governo_invertire_la_rotta_e_non_lasciare_indietro_il_sud_-323186323/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Repubblica</a> – e tutte le testate nazionali e i telegiornali senza verificarne la veridicità – secondo Bonomi “<em>i numeri ci dicono che il reddito di cittadinanza non sta funzionando</em>” aggiungendo che “<em>il reddito non sta funzionando né per la parte di contrasto alla povertà, che è giusto che ci sia, perché non sta intercettando gli incapienti del Nord e scoraggia fortemente le assunzioni al Sud, non va bene per la parte delle politiche attive del lavoro: con i navigator ci sono stati 423 assunti, nel triennio 2019-2021 sono stati stanziati 516 milioni. Vuol dire che ognuno ci è costato 400mila euro all’anno</em>”.</p>
<figure class="wp-block-embed is-type-video is-provider-youtube wp-block-embed-youtube wp-embed-aspect-16-9 wp-has-aspect-ratio">
<div class="wp-block-embed__wrapper"></div><figcaption>Le dichiarazioni del Presidente Bonomi sul Reddito di Cittadinanza. Ripresa anche <a href="https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/manovra-bonomi-manca-visione-d-insieme-bisogna-creare-crescita/AE4Ku9r">dal sito del Sole24Ore</a></figcaption></figure>
<p>È interessante analizzare alcuni punti delle frasi di Bonomi per vedere se, numeri alla mano, abbia ragione oppure no.</p>
<h2 id="h-cosa-ha-detto-carlo-bonomi-all-assemblea-dei-giovani-di-confindustria">Cosa ha detto Carlo Bonomi all’Assemblea dei Giovani di Confindustria</h2>
<p>La prima questione sollevata è che il reddito di cittadinanza non abbia intercettato la povertà del Nord Italia.</p>
<p>Secondo <a href="https://www.inps.it/dati-ricerche-e-bilanci/osservatori-statistici-e-altre-statistiche/dati-cartacei-rdc">i dati dell’INPS</a> tra gennaio e agosto 2021 sono state coinvolte circa 800 mila persone e 400 mila nuclei familiari solo al Nord, con un importo medio di 474,91 euro a nucleo.</p>
<p>Il 27,9% dei nuclei richiedenti il reddito di cittadinanza vive al Nord, mentre il 54,8% al Sud; un dato che non dovrebbe sorprendere, condizionato dalla povertà, incontrovertibilmente più estesa nel Mezzogiorno che nel Settentrione e dalla evidente minor presenza di industrie e attività produttive.</p>
<p>È interessante inoltre osservare la percentuale di famiglie in povertà relativa con la persona di riferimento disoccupata, ovvero colui/colei che possiede il reddito più alto all’interno della famiglia.</p>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/10/Schermata-2021-10-29-alle-09.34.54.png"><img loading="lazy" decoding="async" class="wp-image-46850" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/10/Schermata-2021-10-29-alle-09.34.54-1024x557.png" alt="" width="1024" height="557" /></a><figcaption>Figura 1 – incidenza di povertà relativa familiare con persona di riferimento disoccupata (Fonte: ISTAT 2021)</figcaption></figure>
<p>Come si può osservare dal grafico, tra il 2018 e il 2019 il dato è diminuito notevolmente. Nel primo anno non esisteva il reddito di cittadinanza, mentre nel secondo sì. Anche nel 2020, anno della pandemia, il dato è diminuito al contrario delle possibili aspettative. Ciò è avvenuto anche <strong>grazie alle politiche di supporto alla povertà del governo come il reddito di emergenza</strong>.</p>
<p>È utile ricordare che <strong>i beneficiari del reddito di cittadinanza devono sottoscrivere un patto per il lavoro</strong> e ricercare un’occupazione, pena la sospensione del sussidio. Proprio per questo, tutti coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza e che possono lavorare sono considerati disoccupati nelle statistiche. In conclusione, è proprio tra i disoccupati che si può vedere più facilmente l’effetto sulla povertà del reddito di cittadinanza.</p>
<p>Certo, la povertà rimane alta tra i disoccupati nel Nord, e proprio per questo <strong>si potrebbe decidere di stanziare più fondi per aumentare gli importi dei beneficiari </strong>e allentare alcuni paletti stringenti che non fanno avere l’accesso al beneficio ad alcune persone che sono comunque povere. Ma Bonomi sarebbe d’accordo?</p>
<h2>“Il RdC crea disincentivo al lavoro”. Ma i posti vacanti sono sempre gli stessi.</h2>
<p>Il Presidente di Confindustria inoltre afferma che il reddito di cittadinanza ha creato un disincentivo al lavoro nel Mezzogiorno. Anche questa dichiarazione non è corretta, ma se fosse vera sarebbe anche peggiore. In primis bisogna evidenziare che i cosiddetti posti vacanti, ovvero il numero assoluto di lavoratori ricercati ma non trovati dalle aziende, non sono aumentati né diminuiti durante l’introduzione del reddito di cittadinanza.</p>
<p>L’Istat fornisce solo i dati nazionali e non quelli regionali, ma il dato è chiaro:</p>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/10/Schermata-2021-10-29-alle-09.38.42.png"><img loading="lazy" decoding="async" class="wp-image-46851" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/10/Schermata-2021-10-29-alle-09.38.42-1024x626.png" alt="" width="1024" height="626" /></a><figcaption>Tasso di posti vacanti in Italia (Fonte: ISTAT 2021)</figcaption></figure>
<p>Nell’ultimo trimestre precedente all’introduzione del reddito di cittadinanza, ovvero il quarto del 2018, il tasso di posti vacanti era pari all’1,4%. Dal trimestre successivo, in cui è stato introdotto il reddito di cittadinanza, fino all’ultimo del 2019, il dato è rimasto esattamente lo stesso. <strong>Se il reddito di cittadinanza avesse disincentivato realmente i disoccupati, allora il dato avrebbe potuto subire uno shock che invece non si è verificato. </strong></p>
<h2>Se Bonomi avesse ragione, significherebbe che le aziende offrono stipendi al di sotto dei 500 euro al mese</h2>
<p>Ma se Bonomi avesse ragione e se i lavoratori fossero disincentivati ad accettare un’occupazione, allora questo sarebbe un grande problema: infatti, l’importo medio del reddito di cittadinanza al Sud è pari a 582,63 euro per nucleo familiare. Il disincentivo a lavorare si creerebbe solo se questo importo facesse concorrenza ai salari, ma a questo punto il problema non sarebbe il reddito di cittadinanza, bensì i salari troppo bassi. Ed è anche per questo che il reddito di cittadinanza può funzionare, ovvero perché mette le persone in condizioni di povertà in posizione di poter rifiutare lavori per qualche euro l’ora, e quindi di essere sfruttate solo per mancanza di altre soluzioni.</p>
<h2>Un errore a due zeri: possibile che nessuno se ne sia reso conto?</h2>
<p>Bonomi alla fine del discorso ai Giovani Imprenditori spiega che, grazie ai navigator, sono state assunte 423 persone e che ci sono costate all’incirca 400 mila euro ciascuno all’anno, per una somma nel triennio pari a 513 milioni di euro. Anche questa affermazione è priva di senso.</p>
<p>Infatti dai dati <a href="https://www.anpalservizi.it/notizie/-/asset_publisher/Z9OHUPdBwLTI/content/reddito-di-cittadina-23?inheritRedirect=false&amp;redirect=https%3A%2F%2Fwww.anpalservizi.it%2Fnotizie%3Fp_p_id%3D101_INSTANCE_Z9OHUPdBwLTI%26p_p_lifecycle%3D0%26p_p_state%3Dnormal%26p_p_mode%3Dview%26p_p_col_id%3Dcolumn-1%26p_p_col_count%3D1%26_101_INSTANCE_Z9OHUPdBwLTI_advancedSearch%3Dfalse%26_101_INSTANCE_Z9OHUPdBwLTI_keywords%3D%26_101_INSTANCE_Z9OHUPdBwLTI_delta%3D10%26p_r_p_564233524_resetCur%3Dfalse%26_101_INSTANCE_Z9OHUPdBwLTI_cur%3D11%26_101_INSTANCE_Z9OHUPdBwLTI_andOperator%3Dtrue">ANPAL dell’inizio del 2020 sono stati circa 40 mila i nuovi occupati che prima percepivano il reddito di cittadinanza</a>. Insomma, qui l’errore sarebbe addirittura di due zeri.</p>
<p><strong>Bonomi ha invece fatto una osservazione condivisibile</strong>: le politiche attive del lavoro non funzionano.</p>
<p>Leggendo le statistiche <strong>solo il 4,7% dei percettori che potevano lavorare aveva trovato un’occupazione prima della pandemia</strong>. Un dato troppo basso che fa pensare che stanziare un ulteriore miliardo non aiuterà i percettori, poiché, se il lavoro manca, qualsiasi politica attiva del lavoro non funzionerà: se si cercherà di formare i percettori del reddito di cittadinanza alla fine del processo avremmo una persona più preparata, ma probabilmente ancora disoccupata.</p>
<p>Vedremo dunque se quanto previsto dal Governo Draghi in materia di ulteriori investimenti sul Reddito di Cittadinanza come annunciato in occasione della sua visita a Bari, sarà supportato poi da una sostanziale riforma delle politiche attive a supporto del Reddito. A cominciare dalla tracciabilità sia di chi rifiuta l’opportunità, ma anche di chi la offre, in modo da evitare dei cortocircuiti per i quali certi stipendi sono meno appetibili del reddito.</p>
<p>L’unico dato certo è che, <strong>ogni volta che si parla di misure economiche, e in particolare del reddito di cittadinanza, si cerca di sferrare attacchi ideologici</strong> senza andare a vedere se ciò che si afferma è conforme alla realtà. È sbagliato giudicare il reddito di cittadinanza solo perché sui giornali si leggono interviste di imprenditori famosi che dichiarano la mancanza di manodopera per colpa di tale misura. <a href="https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/07/06/lavoro-narrazione/">Bisognerebbe cercare di basarsi di più su dati ufficiali pubblicati da enti istituzionali e fatti oggettivi</a> rispetto a punti di vista soggettivi basati su circostanze nel proprio ambito specifico di lavoro o guidati da obbiettivi politici e ordini “di scuderia”.</p>


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Bonomi dà i numeri sul Reddito di Cittadinanza. Ma sono tutti errati

Abbiamo fatto analizzare i dati sul reddito di cittadinanza spiattellati dal Presidente di Confindustria e sono tutti platealmente sbagliati

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Alessandro Guerriero

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