Aziende, gli specialisti non bastano: serve qualcuno che li coordini

Le sfide di domani richiedono di gestire l’incertezza. La chiave per farlo è abbracciare la complessità, con un approccio interdisciplinare che integri le competenze specialistiche “verticali”. Un lavoro per il fusionista.

Il COVID-19 ha portato all’attenzione di tutti noi, attori dell’ecosistema del business e non solo di esso, l’importanza delle competenze e delle informazioni quantitative. Spesso causando una sovraesposizione alle informazioni e alle analisi.

Nel corso dell’evoluzione delle discipline manageriali e della letteratura accademica sulla formazione, le competenze sono sempre state correlate a uno sviluppo del sapere verticale. I numeri e gli aspetti quantitativi hanno sempre accompagnato i concetti di esecuzione e di raggiungimento dei risultati. Questo tipo di approccio e di profondità è stato per anni celebrato come la via principale per l’affermazione individuale, professionale e dei ruoli aziendali professionali, ma anche per le dinamiche all’interno delle aziende, rendendolo un vero e proprio fattore di chiave del successo e dell’affermarsi delle differenti specializzazioni.

Ideologicamente questo approccio è stato sempre messo in contrapposizione con i famosi “surfistidel sapere e “barbaridella conoscenza. Coloro che navigano e sintetizzano il molto dal poco. Un’alternativa tacciata, in modo eufemistico, di essere di poco valore in un mondo che chiedeva il sapere particolare, tecnico e specifico, nella convinzione che l’execution possa arrivare dalla conoscenza capillare.

Unire i puntini, ma in modo diverso: le soluzioni complesse a un futuro incerto

Il futuro e il presente ci hanno mostrato il loro vero volto, quello dell’incertezza.

Il futuro è sempre stato incerto e di difficile interpretazione. Per anni abbiamo citato sulle slide Peter Drucker (forse?), “il miglior modo di prevedere il futuro è crearlo”, ma la nostra capacità di creare e di rispondere a questa incertezza è stata minata dalla continua e crescente dominazione della visione specifica e verticale. È vero che porta a conoscere, ma impedisce di vedere i modi con cui la conoscenza può essere accettata, adatta e adottata in altri ambiti.

Oggi possiamo affermare che l’ampiezza della prospettiva prevale sulla profondità della conoscenza al crescere della complessità, e non della complicazione. La quantità delle cose da sapere, la profondità delle cose da sapere e la capacità di riconoscere il valore di quello che si deve sapere rende la gestione dell’incertezza sempre più complessa. Forse si stanno modificando i rapporti di forza fra “surfisti” e “specialisti”.

Poter contare su un’ampiezza di prospettiva sempre più estesa e sulla capacità di integrare ambiti diversi (i proverbiali puntini), ovvero le caratteristiche tipiche di chi viene indicato come generalista (o, utilizzando modelli aggiornati, T-shape), sarà importante quanto la profondità delle competenze e la capacità di generare nuove conoscenze, attività tipiche degli specialisti.

Il sapere “verticale” degli specialisti non basta: il futuro è orizzontale

Pandemia, mondo VUCA, logiche esponenziali e sviluppo tecnologico stanno modificando gli schemi di apprendimento, stanno introducendo nuove modalità e strumenti di formazione della conoscenza e dell’esperienza. Stanno introducendo nuovi modelli organizzativi, di collaborazione e di carriera all’interno delle aziende.

Questa complessità porta alla luce, tra le competenze, la capacità di interpretare e di progettare in un contesto mutevole e poco definito. Fenomeno testimoniato dalle annuali classifiche degli studi sul mondo del lavoro del World Economic Forum, che vedono scalare fino in cima al ranking il pensiero critico, la creatività e il problem solving, mettendo in crisi le parole d’ordine che hanno caratterizzato la consulenza aziendale negli ultimi anni e gli approcci di molte business school.

Queste ultime sono fautrici dello sviluppo di una specializzazione che ha sempre promesso il successo professionale e l’identificazione in un ruolo, fino a moltiplicare i ruoli in una struttura ad albero quasi infinita: concentrati sullo sviluppo di una competenza e sarai riconoscibile.

Se c’è una cosa che la storia dell’innovazione ci insegna è proprio quella di riuscire a mettere in discussione le soluzioni del passato quando il contesto muta nelle sue parti più profonde, quando la complessità supera la complicazione. Anche il rapporto tra visione orizzontale e applicazione verticale viene messo in discussione e ridefinito.

Chi è il fusionista, l’esperto di connessioni tra le discipline

Oggi occorre essere un/una fusionista. Un termine derivato dalla dimensione politica americana, in cui il “fusionismo” è indicato per la prima volta da Frank Straus Meyer (1909-1972, filosofo e attivista politico americano), che individua una filosofia politica che unisce elementi di libertarismo e tradizionalismo.

La logica del/della fusionista che ci interessa, quella di fusionism, non è ovviamente nel contesto politico, ma indica le competenze, gli strumenti e il ruolo di colui o colei che lavorerà, penserà e progetterà in modo da connettere le differenti aree della tecnologia, dell’umanesimo, dell’arte, dell’ingegneria, della ricerca e della scienza. La sua competenza principale sarà il pensiero critico e costruttivo per avere una visione pragmatica e operativa, senza creare interruzioni tra le discipline, fondendo insieme il loro utilizzo più idoneo all’interno dei progetti e delle attività.

Pur essendo ancora esperto in abilità di progettazione classica, il fusionista mescolerà queste abilità verticali con un approcciogeneralista” lavorando attraverso le discipline e i differenti stakeholder. Gli ambiti che sarà in grado di gestire richiederanno di espandere le proprie capacità. Avrà bisogno di essere un collaboratore esperto e comunicatore, estendendo i suoi linguaggi in modo da decodificare la sua visione in elementi verticali su cui gli specialisti possano lavorare.

Professionisti della complessità al centro delle aziende di domani

Le sfide globali che ci attendono possono essere risolte solo con una collaborazione di menti e vocazioni e una diversità di vedute.

Questo sta già accadendo nei campi emergenti della bio-fabbricazione, delle bio-tecnologie, bio-medicina. È un fiorire di contesti interdisciplinari tra il design e la scienza, tra la sostenibilità e l’innovazione, tra fisico e digitale. Non sarà raro vedere artisti e biologi seduti insieme ad affrontare lo stesso problema. I fusionisti saranno i ponti tra le competenze per creare nuovi settori, nuovi modelli di business, nuove applicazioni.

L’affermarsi di questa nuova professione sarà accompagnato dalla centralità del pensiero sistemico e della complessità, dove le interconnessioni tra i settori determinano i cambiamenti. I fusionisti attingeranno da una serie di strumenti già disponibili nel design, nell’innovazione, nelle materie umanistiche, che adatteranno in modo dinamico nel corso del progetto man mano che le attività produrranno i risultati.

Molte aziende stanno ridefinendo le proprie politiche di assunzione e di gestione dei team di progetto privilegiando le figure che possiamo identificare come multi-potenziali, come cognitivi orizzontali, come irrequieti e, a volte, come ribelli. Una nuova declinazione del concetto di talento? Non penso. Queste competenze e questi profili vanno oltre il concetto di talento, che spesso viene concepito come capacità verticale.

Quello che non dovrà esserci è un approccio dogmatico. Abbiamo un’unica certezza: il futuro è incerto e abbiamo bisogno di un approccio che possa rappresentare un reale e nuovo mix tra competenze verticali, la capacità di generare nuovi punti, e le competenze da fusionista. Un nuovo modo di pensare per unire i famosi punti in modo differente.

Photo credits: dailyadvent.com

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