Bidibibodibiboo: l’incantesimo del lavoro si è spezzato a teatro

Al teatro Grassi di Milano uno spettacolo di Francesco Alberici che parla di mobbing, ma anche di un mondo del lavoro basato sulle performance e della vergogna che si prova a essere scartati. Una storia vera che forse crediamo di riconoscere, ma che di certo non conosciamo prima di vederla sul palcoscenico

25.02.2024
Un momento dello spettacolo sul lavoro Bidibibodibiboo, del Piccolo Teatro di Milano

Se c’è qualcosa che riesce a colpire come un pugno nello stomaco, ancor di più di quanto possano fare dei post su LinkedIn, dei libri o delle interviste lette qua e là, è vedere il lavoro a teatro. Il lavoro rappresentato per quello che spesso è; il lavoro che non abbiamo il coraggio di dirci, ossia un incantesimo che si è spezzato ormai tanti anni or sono. Il lavoro che certo, in un attimo “potrebbe cambiare tutto”, ma che in diverse occasioni diventa un abisso dentro cui nessuno ha il coraggio di guardare, finché non succede un episodio che squarcia il velo.

Bidibibodibiboo, che ho visto durante la prima al Teatro Grassi di Milano (sarà in scena fino al 3 marzo) è uno spettacolo che in 105 minuti racconta le traversie di Pietro, assunto a tempo indeterminato da una grande azienda. Inspiegabilmente preso di mira da un suo superiore, Pietro precipita lentamente in una spirale persecutoria che trasforma in un incubo le ore trascorse sul posto di lavoro. Il fratello Daniele, drammaturgo teatrale, sceglie di raccontarne pubblicamente la vicenda, trasformandola nel soggetto di uno spettacolo, mettendo in discussione ogni certezza e distinzione tra realtà e finzione.

Bidibibodibiboo, quello straniamento necessario a riconoscere i mali del lavoro

Bidibibodibiboo è soprattutto uno spettacolo che ti mescola l’anima con diverse emozioni: lo stupore iniziale quando si chiede agli spettatori di leggere in cinque minuti il libretto consegnato all’ingresso, con una serie di email che fanno capire il contesto in cui è nato quello che vedremo di lì a poco. Quello stupore che continua quando il regista Francesco Alberici, che è anche attore, spiega lo scambio di ruoli che ci sarà per tutta la durata dello spettacolo, e che in alcuni casi sconfinerà nel metateatro. Non svelo di più per rovinare la sorpresa.

Per poi passare alla tristezza, all’indignazione, al sentirsi parte di quel sistema che si sta vedendo sul palco (dove le luci resteranno spesso aperte), allo straniamento, al riconoscimento di situazioni che spesso viviamo e di cui non ci rendiamo conto fino a quando non le vediamo “da fuori”.

Una tra tutte quella in cui il protagonista Pietro, vittima di mobbing nella sua azienda, alla macchinetta del caffè ha un incontro all’apparenza informale con la sua manager, la quale, mentre gli spiega i benefici del latte vegetale rispetto al latte vaccino, gli dice che le sue performance sono valutate in modo negativo. E facendogli una confidenza – quindi quasi un “regalo” – gli preannuncia che sarà sottoposto a una nuova valutazione alla fine della quale si potrà capire quale destino avrà in azienda.

Il mobbing, la vergogna delle vittime, la rabbia degli altri

Le emozioni continuano a mescolarsi in Bidibibodibiboo: di fronte a un sistema che valuta in maniera asettica le persone, come fossero delle macchine, prevale l’indignazione che, come si dice durante lo spettacolo “si spegne tanto presto quanto si accende”.

Si respira poi il senso di vergogna che il protagonista prova nell’essere vittima di mobbing, il che gli impedisce di condividere con i suoi cari quanto sta passando (sebbene non voglia affatto essere rappresentato dal fratello come una vittima). E c’è poi la rabbia del fratello Daniele, che non ha capito niente di quello che Pietro stava vivendo e, non riuscendo a prendersela con sé stesso, fa l’unica cosa che tutti noi facciamo quando capiamo la nostra “ineluttabilità”: ce la prendiamo con gli altri che non ci hanno detto nulla.

Detto così sembrerebbe uno spettacolo crudo, in cui non ci si diverte né tantomeno c’è alcuna catarsi. E invece lo spettacolo è condito da un’ironia che alleggerisce la vicenda, da battute divertenti, da situazioni che fanno sorridere e allo stesso tempo riflettere. Il tutto grazie a questo scambio di ruoli dichiarato dall’inizio (ma che non resterà tale per tutto lo spettacolo) e all’avvicendarsi di situazioni accompagnate da una scenografia che di volta in volta si adatta alla scena, cambiando l’aspetto del palcoscenico.

Un palco, quello di Bidibibodibiboo, che all’inizio accoglie lo spettatore con degli scatoloni con il compito di rivelare di volta in volta degli elementi che rafforzano la storia e ne diventano protagonisti.

La normalizzazione di un mondo del lavoro in cui “siamo passati tutti”

Francesco Alberici, classe 1988, tra i cinque finalisti della 56° edizione del Premio Riccione con questo testo (tradotto in quattro lingue), ha preso una storia vera e ne ha fatto teatro, facendo diventare il lavoro parte della vita e la vita parte del lavoro. C’è il mobbing, certo, ma ci sono anche i rapporti famigliari che viaggiano sugli stessi binari delle situazioni lavorative; ci sono le aspettative che gli altri hanno su di noi e quelle che abbiamo su noi stessi.

C’è quel colloquio che speri di non passare e che poi determina la tua vita per quello che sarà; la normalizzazione di un ambiente di lavoro “sbagliato” che ha il suo culmine nella frase detta dal fratello del protagonista e dalla madre: “Lo conosciamo il mondo del lavoro, ci siamo passati già prima di te”.

Bidibibodibiboo è uno spettacolo che fa ridere, commuovere, stupire, arrabbiare, e soprattutto riflettere su chi si è oggi, chi si è stati e chi si può essere, attraverso la lente del lavoro, tuttora fondamentale per costruirsi un’identità.

In tante parti ho pensato “è la mia storia”, visto che conosco il mobbing in prima persona e anche io ho subito determinate situazioni. Ma anche se non si è mai arrivati a questo punto, la sensazione che si ha – l’abbiamo avuta io e l’amica che mi ha accompagnato – è che spesso il lavoro è quel luogo in cui rimaniamo incastrati nostro malgrado. E anche quando siamo contenti può avere sempre qualche nota stonata, che se non ce ne rendiamo conto si può trasformare in poco tempo in un concerto sbagliato.

Da vedere, perché è la storia di tutti. Chi più, chi meno.

 

P.S.: Se vi state chiedendo il perché del titolo Bidibibodibiboo, ha a che fare con un’opera di Maurizio Cattelan con protagonista uno scoiattolo suicida riverso su un tavolo di fòrmica gialla all’interno di una cucina. La stessa scenografia dello spettacolo si ispira a quest’opera, riproducendo un classico interno di una cucina anni Cinquanta con tavoli in fòrmica, lavelli con piatti sporchi e altro.

 

 

 

 

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Photo credits: foto di scena di Francesco Capitani

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