Biella città creativa

A Biella e dintorni si respira un’aria rivoluzionaria. Non solo perché il settore produttivo locale, basato da sempre sulla tessitura, è costretto ora a ripensarsi, puntando sui titoli di “Città creativa dell’Unesco” e distretto di riferimento dell’Unione europea per la sostenibilità della filiera tessile. C’è quell’aria anche perché qui è nata la rivoluzione industriale italiana. […]

A Biella e dintorni si respira un’aria rivoluzionaria. Non solo perché il settore produttivo locale, basato da sempre sulla tessitura, è costretto ora a ripensarsi, puntando sui titoli di “Città creativa dell’Unesco” e distretto di riferimento dell’Unione europea per la sostenibilità della filiera tessile. C’è quell’aria anche perché qui è nata la rivoluzione industriale italiana. Infatti i primi telai meccanici, inventati in Inghilterra, arrivarono nel Bel Paese nel 1816, allorché Pietro Sella li fece installare nella Valle di Mosso, alle porte di Biella; l’abbondanza di acqua garantiva la forza cinetica per far funzionare gli “avveniristici” macchinari inglesi, e favorì nell’Ottocento la costruzione di numerosi stabilimenti nel fondovalle. L’acqua dello Strona e dei suoi affluenti era utilizzata anche nelle attività di tintura e di lavaggio dei tessuti.

L’archeologia industriale sul Torrente Cervo, Biella photo@Luca Murta Cardoso

 

Biella e il tessile, una storia lunga secoli

La vocazione del Biellese in questo campo era nota già nel Medioevo, sebbene ci siano tracce addirittura preromane. La posizione ai piedi delle Alpi favoriva gli allevamenti di ovini piuttosto che le grandi coltivazioni, cosicché si diffuse l’utilizzo della lana per ottenere filati e tessuti. Ben presto le richieste dei prodotti biellesi diventarono tali da richiedere la stipula di patti commerciali. Pertanto tra 1275 e 1419 le singole “arti” – sartoria, tessitura e drapperia – adottarono statuti definitivi.

Questa storia di lavoro e impresa è entrata nel dna dei biellesi così tanto che in zona – per far capire l’immediata disponibilità a svolgere un incarico – si usa l’espressione “sono pronto all’ago”; significa che, più o meno metaforicamente, si ha già in mano l’ago necessario per tessere. Risultato: oggi Biella, nonostante la crisi del settore, è sinonimo di tessuti di qualità, grazie a una tradizione unica, secolare e stratificata; non per nulla, il caso è stato molto studiato negli anni Ottanta e Novanta per cercare di carpire – invano – la ricetta di quel successo.

Oggi è l’unico distretto industriale europeo a conservare l’intera filiera produttiva del tessile, dal trattamento delle fibre “sudice” al capo finito. Questa fama ancora oggi si percepisce più all’estero che non nella nostra disattenta Italia. Anche perché – come si legge in un documento della Camera di Commercio di Biella – “il distretto industriale nel suo complesso non ha mai promosso in modo coordinato la propria produzione di alta qualità. I principali veicoli di promozione in qualche modo strutturati sono state le fiere, in primo luogo ‘Ideabiella’ (da qualche anno confluita nella più ampia ‘Milano Unica’) per i tessuti, e ‘Filo per i filati’, destinate però agli operatori di settore e non ai consumatori finali”.

Arte e tessile, photo@Expi

 

Tuttavia la fama oltre confine è una delle ragioni per cui in gennaio è stato aperto, per ora con cinque dipendenti, il primo ufficio commerciale della Xinao Textiles Europa, società italiana controllata da Xinao Textiles Inc, che ha fatturati stratosferici ed è quotata a Shanghai. Da queste parti, dove sono abituati alle incursioni di imprese straniere attratte dalla vocazione tessile, l’arrivo dell’azienda cinese – capitanata da Alberto Gaia, tornato nella sua città dall’estero – è commentata con la classica flemma, un po’ scorbutica, dei biellesi: “Se vengono per portarci lavoro, bene. Se vengono per portarcelo via, no”, dice a Senza Filtro una sindacalista, che preferisce restare anonima.

 

Un’industria sostenibile, ma che fatica sul mercato

Il fatto è che il Biellese oggi trema. Le imprese sono di dimensioni medio-piccole e il territorio è mal collegato, visto che non arrivano né autostrade né una ferrovia elettrificata; poi la concorrenza dell’Est Europa e quella dei Paesi asiatici si è fatta sentire molto. In teoria, di fronte a queste carenze strutturali, è già un miracolo che il tessile qui esista ancora. I dati, però, a prima vista sono scioccanti. Nel 2000 le aziende del comparto (tessile, confezioni, abbigliamento) erano 1.300; nel 2009 erano già diventate 918, oggi sono 669, cioè il 27% in meno in un decennio. Anche i lavoratori del settore ovviamente sono diminuiti: alla fine degli anni Settanta erano più di 40.000, quindi 20.000 nel 2000, nel 2009 erano 10.000, nel 2019 sono diminuiti ancora. Una situazione che si riflette anche sul fronte demografico: oggi la provincia conta 177.000 abitanti, quasi 30.000 in meno rispetto al 1970; con 259 anziani ogni 100 bambini è tra le più vecchie d’Italia e d’Europa.

In compenso è aumentata la vocazione internazionale: nel 2018 le esportazioni manifatturiere di alta gamma sono arrivate a 1,9 miliardi di euro (+75% rispetto a dieci anni prima), mentre tessile e abbigliamento puntano a 1,5 miliardi (+69%), sebbene la tendenza di espansione, nei primi mesi del 2019, si sia arrestata. Dunque reggono, grazie alle esportazioni, le aziende che propongono prodotti di super-nicchia; le altre boccheggiano.

Come guardare al futuro? “Delle previsioni degli imprenditori piemontesi per il secondo trimestre del 2019, quelle biellesi sono le più pessimistiche, segnate dal peso di un’incertezza ormai strutturale”, ha detto il 6 giugno Carlo Piacenza, presidente dell’Unione industriale biellese, in occasione dell’assemblea generale. “È un distretto che, per certi versi, gioca in difesa. Ma non si dà per vinto, tutt’altro”. È il caso della candidatura di Biella per entrare a far parte del circuito delle “Città Creativedell’Unesco. Un modo per valorizzare tutte le qualità territoriali: non solo il tessile, ma anche ambiente, arte, enogastronomia, design.

“Quale territorio altamente industrializzato come il nostro – si domanda Piacenza – ha saputo rispettare la natura come Biella? Le fabbriche e la montagna sono due caratteristiche distintive che gli industriali hanno voluto tutelare nel rispetto centrale per l’acqua, non solo come materia prima principale di ogni lavorazione, ma anche come risorsa preziosa e vitale per tutta la comunità. Sostenibilità, tracciabilità e innovazione tecnologica sono le coordinate su cui orientare lo sviluppo”.

 

Biella, città creativa: i piani per il rilancio del territorio

Intanto istituzioni locali, sindacati e industriali si stanno dando da fare per orientare i giovani e le loro famiglie, mettendo al centro aspettative e attitudini accanto alle informazioni reali sulle figure professionali che le imprese cercano. Oggi esiste Città Studi come punto di riferimento per la formazione specializzata per il settore tessile, collegata alla sede locale del CNR Stiima (Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali per il Manifatturiero Avanzato), al Polo di Innovazione tessile e al Politecnico di Torino. L’offerta formativa va dalle Academy ai master post laurea, dall’Istituto tecnico superiore TAM (Tessile Abbigliamento Moda) all’ipotesi di una laurea dedicata. L’obiettivo: “Attrarre talenti, far circolare idee e persone, ridare nuova linfa al territorio”, afferma Piacenza.

C’è buona volontà, che però cozza un po’ contro alcuni forti sintomi di isolamento sul fronte delle infrastrutture, come se si stesse scoprendo adesso che bisogna essere interconnessi: col mondo, ma prima di tutto almeno col resto del Nord Italia. È difficile spiegare altrimenti il fatto che l’autostrada sia “ferma” a 23 chilometri dal capoluogo. Oppure che nel 2019 si stia ancora parlando, nel Biellese, della necessità di una linea ferroviaria elettrificata. Oggi per andare in treno da Biella a Torino – 75 chilometri – ci vuole un’ora e mezza, con cambio a Santhià; poco meno di due ore, invece, per raggiungere Milano, a 100 chilometri. E siamo nel cuore della Val Padana industrializzata. Sembra che, grazie ai lavori per l’elettrificazione della linea Biella-Santhià, entro la fine del 2020 partirà il primo treno diretto per Torino Porta Susa: in 50 minuti arriverà nel capoluogo regionale, poi dovrebbe toccare al collegamento veloce con Milano. “Non è difficile immaginare il vantaggio per il territorio in termini di risveglio immobiliare, sviluppo della residenzialità, traino al turismo, attrazione di talenti, crescita dell’indotto legato ai servizi, miglioramento della sostenibilità ambientale e della qualità della vita”, dice, profetico, Piacenza. Vedremo.

Qualcuno ottimista esiste: è il biellese Alberto Gaia, manager dell’azienda cinese Xinao Textiles Europe, anche se per ora il suo è solo un avamposto commerciale: “Noi vogliamo integrarci nel settore tessile di quest’area, in modo da poter realizzare prodotti di alta qualità contraddistinti da un gusto italiano. Biella è riconosciuta anche in Cina come un centro laniero internazionale di altissimo livello, importante sul fronte della ricerca e dello stile. Ed eccoci qui, con il progetto di rispondere alle esigenze del mercato europeo”, spiega a Senza Filtro. A Biella che cosa immaginate di creare? “Una delle prospettive è quella di fare confluire qui il settore di ricerca di Xinao”.

Dunque, la bandiera cinese si è aggiunta a quella del fondo anglo-svedese Njord Partners, che da luglio 2018 controlla, da Londra, il Lanificio Cerruti, nato nel 1881 (la famiglia Cerruti mantiene il restante 20%). In attesa di sviluppi, il segretario biellese della Filctem Cgil, Filippo Sasso, ha già telefonato a Gaia. Racconta a Senza Filtro: “Mi sono informato su quello che vogliono fare. Visto che stiamo perdendo altri posti di lavoro, ho già fatto presente che – se hanno bisogno di lavoratori – noi ne abbiamo un bel po’ pronti all’ago, come si dice dalle nostre parti, cioè pronti a iniziare subito”. Perché, in attesa della nuova ferrovia, occorre affrontare subito una crisi quotidiana. “Altrimenti finirà che, appena avremo i nuovi treni, la gente, se andrà bene, si metterà a fare la pendolare con Torino per riuscire a lavorare”, afferma.

 

Capitali avvelenati dall’estero: il caso di Brandamour

Intanto può capitare che gli investimenti provenienti dall’estero nascondano insidie. Alla Cerruti, con 330 dipendenti, da alcuni mesi si naviga tra timori per i posti di lavoro e contratti di solidarietà. Inoltre il sindacalista cita il caso di Brandamour: nome curioso dietro al quale si cela la cassa integrazione appena concessa a 103 dipendenti, che però, senza stipendio da aprile, non vedranno un centesimo fino a settembre. “Per sostenerli è stato aperto un fondo di solidarietà che coinvolge lavoratori e aziende biellesi, come ai tempi delle Società di mutuo soccorso ottocentesche”, racconta Botta.

La storia è, come si suol dire, emblematica. L’epicentro è nella Val di Mosso: la Srl biellese Need nel giugno 2016 aveva acquistato la Botto-Fila e, grazie a un fondo di investimento australiano con sede a Dubai e operatività a Londra, aveva dato il via a un ipotetico rilancio; così era nata, a settembre 2016, la società per azioni Brandamour, nella quale sono confluiti Need, Luigi Botto, Cabalane e F.lli Ormezzano (altri marchi storici acquisiti in precedenza); avevano anche provato ad acquisire la Cerruti. “Alla fine del 2018 è diventato impossibile dialogare con la proprietà – spiega Sasso – e senza preavviso è stato annunciato che Brandamour voleva fermarsi. Intanto stiamo cercando di capire chi ci sia dietro il fondo australiano”.

Insomma: in attesa del titolo di Città Creativa, di un treno degno di questo nome, dell’efficacia dei progetti di rilancio del territorio sul fronte del turismo e non solo, i lavoratori e le imprese biellesi devono confrontarsi con la realtà di tutti i giorni. Servirebbe proprio un’idea “rivoluzionaria”, come quella che ebbe Pietro Sella 203 anni fa.

 

 

Foto di copertina by Paolo Barrichello, “Uomo Bike”, scultura di Paolo Barrichello in Piazza Duomo a Biella.

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