Bologna la grassa? Sì, ma sugli affitti

Il turismo nel capoluogo emiliano ha provocato una crisi abitativa e ha messo a rischio la tenuta del tessuto sociale: gli studentati costano fino a 1.100 euro al mese, con prezzi esosi anche per case fatiscenti. Ma gli immobili sfitti, in città, sono migliaia, pubblici e privati

Proteste per gli affitti a Bologna: studenti lanciano fumogeni sotto i portici

Bologna, sede dell’ateneo più antico del mondo, prima provincia italiana per qualità della vita nel 2022 secondo l’annuale classifica del Sole 24 Ore; ma anche città sempre meno inclusiva, nella quale ormai anche chi ha uno stipendio, ma non rientra in quel 62% di cittadini proprietari di case, non può permettersi un tetto sopra la testa.

Secondo uno studio UIL dello scorso ottobre, qui il prezzo medio di un affitto è di 925 euro in zona semi centrale. Una cifra che ne fa il terzo capoluogo più caro in termini di affitti e che è confermata anche dal portale Idealista.it, che ha calcolato come, in un anno, il prezzo medio delle locazioni al metro quadro sia cresciuto del 23,1%, arrivando a 18,5 euro. E se il 33% dei cittadini nel 2020 ha dichiarato un reddito inferiore ai 33.000 euro, è evidente che parliamo di valori fuori dalla portata di gran parte dei bolognesi.

Bologna non era pronta per il turismo: impennata degli affitti e tessuto sociale a rischio

Le cifre citate parlano di una città che sta cambiando, e non in meglio, caratterizzata dalla sua vocazione turistica. La sensazione è che Bologna si sia aperta al turismo, ma che non lo sappia gestire, con riflessi anche sulla questione abitativa.

Nel 2022 il capoluogo ha avuto un milione e mezzo di arrivi, per un totale di tre milioni di pernottamenti, e il suo aeroporto ha registrato 8,5 milioni di passeggeri complessivi. E poiché Bologna è nota nel mondo per la sua cucina, è sembrato naturale fare del cibo l’attrattiva principale: in quest’ottica nel 2017 è stato inaugurato il Fico Eataly World, dedicato al settore agroalimentare; il centro storico sembra un grande ristorante a cielo aperto.

Il risultato è che i proprietari di immobili preferiscono affittare ai turisti, con tre conseguenze fatali per il tessuto umano e sociale della città: lo spopolamento del centro storico da parte dei residenti, la crescente scarsità di offerta per locazioni medio-lunghe e l’impennata dei prezzi degli affitti.

Alcuni dati di Inside Airbnb danno la dimensione del fenomeno: a inizio maggio erano 4.065 gli annunci disponibili sulla piattaforma di locazioni brevi in città, 200 in più rispetto a sei mesi prima e più che raddoppiati negli ultimi cinque anni. Si tratta quasi sempre di interi appartamenti, siti soprattutto dentro le mura e nella prima periferia, e il 57,8% dei proprietari ha più di un annuncio a proprio nome. Se si pensa che il ricavo medio di una casa affittata con locazione tradizionale è di circa 13.000 euro l’anno, mentre per un affitto breve a parità di metri quadri e di zona si sale a 16.650 euro, in assenza di una regolamentazione da parte delle istituzioni è evidente quale sarà sempre l’opzione preferita dai proprietari.

La Bolognina simbolo degli affitti insostenibili. E fioriscono le occupazioni

La scarsità di offerta rispetto alla domanda e la difficoltà di trovare alloggi a prezzi accessibili spinge i cittadini a organizzarsi per rivendicare il proprio diritto ad avere una casa, anche occupando edifici da tempo in stato di abbandono. È quanto sta avvenendo, per esempio, nel quartiere Bolognina.

Per chi non è di Bologna questo nome evocherà forse la “svolta” occhettiana del 1989, quella che sancì la metamorfosi del PCI in PDS. Per chi ci vive è uno storico quartiere operaio a ridosso della stazione centrale, dove si possono vedere ancora oggi le case una volta abitate dai ferrovieri. Per lungo tempo considerato il quartiere cinese della città, nel corso degli anni ha assunto un carattere sempre più multietnico. Questo ha significato, fino all’altro ieri, un tessuto sociale popolare e canoni d’affitto abbordabili a pochi passi dal centro storico.

Ma oggi la Bolognina è in rapida trasformazione: qui ha trovato posto la moderna sede del Municipio, nuovo nucleo amministrativo della città, e il recente Tecnopolo – rete di infrastrutture dedicate all’innovazione industriale e al trasferimento tecnologico – sorge proprio alle spalle del quartiere. Ci lavorano più di duemila persone, per la maggior parte molto qualificate e con alta capacità di spesa, fattore che incide fortemente rispetto alla possibilità di accesso alla casa.

In questo la Bolognina diventa davvero il simbolo di una città che si apre sempre più a una popolazione benestante, si tratti di studenti, turisti o lavoratori, a scapito delle fasce più fragili di cittadini. Ecco perché anche qui, in via Raimondi, è stato occupato un edificio vuoto da quasi nove anni, ormai fatiscente. Autori dell’iniziativa sono i ragazzi del collettivo PLAT, che a marzo 2022 hanno aperto uno sportello di ascolto e supporto a persone con difficoltà abitativa.

“Nel 2022 come sportello abbiamo incontrato un centinaio di nuclei famigliari”, spiega Raffaele”. “Persone che guadagnano, ma non abbastanza da permettersi una casa. Il problema ci è sembrato così enorme e le risposte delle istituzioni così inadeguate che abbiamo occupato questo immobile, proprietà di Comune, Città metropolitana e ASP, l’azienda pubblica di servizi alla persona di Bologna. Questa occupazione è un esperimento che abbiamo chiamato Radical Housing: un abitare collettivo ed emancipativo che si adopera per l’auto-recupero, senza costi per la collettività, di un edificio di proprietà pubblica dismesso da anni”.

Dal 19 aprile qui vive Nabil, con la moglie e i due figli di 6 e 7 anni. Un contratto a tempo indeterminato come magazziniere, 1.500 euro di stipendio, quest’uomo, arrivato dalla Tunisia nel 2015, prima viveva con la sua famiglia a Sala Bolognese, un paese dell’hinterland a una decina di minuti di treno dal capoluogo. Il proprietario dell’appartamento all’inizio gli ha fatto un contratto di comodato d’uso gratuito, facendosi pagare in nero 380 euro al mese. Alla scadenza, però, non gli ha rinnovato la locazione, e per spingerlo a lasciare l’appartamento gli ha staccato acqua e gas. Per due mesi Nabil ha resistito in questa situazione, affidandosi prima agli assistenti sociali, poi a un’agenzia di intermediazione, che gli ha preso 250 euro per non risolvergli il problema. Disperato, ha occupato un immobile sfitto di proprietà del Comune, ma naturalmente è stato fatto sgombrare.

“A quel punto ho iniziato a cercare casa anche fuori dal paese”, ci racconta Nabil. “A San Ruffillo mi hanno chiesto 680 euro per un appartamento davvero piccolissimo, a San Giovanni in Persiceto ho invece trovato una casa a 700 euro, ma chiedevano una fideiussione bancaria e non era arredato. Alla fine sono arrivato in via Raimondi, ma il senso di precarietà non mi abbandona mai”.

Bologna, studentati e case fatiscenti con prezzi da capogiro nella città degli immobili sfitti

La rapida trasformazione turistica del capoluogo sta portando alla luce fragilità sedimentate in decenni di assenza di una politica abitativa di lunga durata, dove la progressiva apertura all’iniziativa privata è andata tutta a detrimento dell’edilizia pubblica.

È vero però che per fronteggiare l’emergenza il Comune ha stanziato 1,3 milioni per incentivare i proprietari a stipulare contratti a canone concordato e ha chiesto una regolazione nazionale dei contratti Airbnb. Inoltre, ad aprile ha presentato il “Piano per l’abitare”: 10.000 alloggi in dieci anni, di cui 3.000 dedicati alle fasce marginali, 5.000 di edilizia privata e 2.000 destinati alle alte professionalità occupate nel Tecnopolo e nelle aziende del territorio. Ma, ancora una volta, le proporzioni sono tutte a vantaggio dei privati.

Per rendersene conto basta guardarsi intorno e vedere i nuovi edifici sorti in città, a partire dagli studentati. Sì, perché l’altra categoria penalizzata dall’inaccessibilità del mercato immobiliare felsineo sono gli studenti fuorisede, 41.000 ragazzi nel 2022, quasi la metà degli 86.000 iscritti all’Alma Mater.

Il primo attore locale in questo settore è stato Camplus, un colosso con 170 case private in gestione, sei residenze studentesche, tre collegi di merito (strutture all inclusive con vitto, alloggio e servizi come tutor, workshop e career service) e 60 camere per studenti, turisti e lavoratori. I prezzi possono superare i 100 euro a notte per una camera matrimoniale.

Nel 2020 è poi arrivata la catena olandese The Social Hub, che accoglie sia studenti che professionisti e viaggiatori. In tutto, 361 sistemazioni per oltre 600 posti letto. I prezzi partono da 850 euro al mese per una stanza singola e 650 per una doppia.

Infine, a ottobre 2022, sbarca a Bologna Beyoo Laude Living, della britannica Stonehill: un grattacielo di 16 piani con 513 posti letto che seguono il modello del microliving, miniappartamenti dotati di letto, spazio studio, angolo cucina, bagno. I prezzi vanno da 899 a circa 1.100 euro al mese.

Per chi non si può permettere questi prezzi, la realtà è fatta di alloggi piccoli in condivisione con altri studenti, spesso fatiscenti e sempre a prezzi esosi.

“Io sono studentessa lavoratrice e quest’anno ho rischiato di saltare la sessione estiva degli esami perché ho dovuto lavorare il più possibile per pagare l’affitto”, dice Valentina, studentessa di Lettere moderne. “Fino alla fine dell’anno scorso vivevo in nero in un appartamento con altre quattro ragazze, pagando 400 euro una doppia. Quando ho chiesto di essere messa in regola il padrone di casa mi ha chiesto come garanzia un contratto a tempo indeterminato o una fideiussione bancaria, così me ne sono dovuta andare. Attraverso il passaparola ho trovato un’altra stanza, sempre in condivisione, ma la casa è fatiscente, il bagno è pieno di muffa e siamo in sei a dividerci un bagno e una cucina piccolissima”.

E dire che gli immobili sfitti, pubblici e privati, in città sono migliaia. Sono 167 quelli dell’ASP, l’Azienda pubblica di Servizi alla Persona, e oltre 700 quelli di ACER, Azienda Casa Emilia-Romagna, mentre secondo i dati di Confabitare Bologna gli alloggi privati sfitti nel capoluogo sono 7.000, cui bisogna aggiungere i 4.000 della provincia. Insomma, una città nella città che potrebbe essere messa a disposizione delle fasce deboli della grassa Bologna. Per realizzarlo, però, c’è bisogno di una politica che abbia un progetto di città aperto e inclusivo.

 

 

 

Photo credits: radiondadurto.org

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