Che senso ha il femminismo se poi bastava chiedere?

Un fumetto mette di fronte a dieci situazioni quotidiane che mostrano come siamo ancora lontani dalla parità, e come i bias di genere siano radicati anche nelle abitudini di chi crede di esserne immune. Recensiamo “Bastava chiedere!” di Emma Clit.

Vale davvero la pena leggere un fumetto femminista, per di più se è un fumetto femminista con la copertina tutta rosa e che – si capisce al primo sfoglio – una trama vera non ce l’ha?

Il dubbio è di quelli che potrebbero far fare avanti indietro dalla libreria, indecisi se arricchire o meno la propria pila di libri sul comodino con una copia di “Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano”. Disegnato, più che scritto, dalla fumettista francese Emma Clit, il fumetto è stato tradotto e pubblicato in Italia da Laterza a inizio 2020. Giusto qualche mese prima che il lockdown facesse schizzare i numeri delle violenze domestiche subite, più che denunciate, da italiane di ogni età, professione e status economico; poco prima che le conseguenze della crisi ci mettessero davanti, non poi così a sorpresa, a una stragrande maggioranza di licenziamenti subiti da lavoratrici donne.

Quanto basta a essere tentati di rispondere che sì, non solo vale la pena di leggere Bastava chiedere!, ma serve regalarlo alle piccole di casa; imporne la lettura a scuola nell’ora di educazione sentimentale, ammesso che ci siano scuole coraggiose in cui esista ancora; dimenticarne casualmente una copia sul comodino del partner, sulla poltrona di papà, sulla scrivania del collega dalle battutine impertinenti, ma anche su quella della collega fintamente comprensiva.

Bastava chiedere!, il fumetto femminista che racconta il maschiocentrismo del quotidiano

Non una storia, ma il racconto (realistico) di quelle situazioni che ogni giorno sono la prova della cultura maschiocentrica occidentale.

Il fumetto racconta infatti, come da premesse del sottotitolo, dieci situazioni piuttosto comuni nella vita di tutti i giorni, capaci di svelare come sia duro a morire un certo costrutto maschiocentrico, più ancora che maschilistico, della società occidentale.

C’è il marito che aspetta inerme che la cena sia pronta mentre la moglie si arrabatta, letteralmente, tra il dare da mangiare ai figli e il mantenere alta la conversazione con gli ospiti. Il collega che guarda di sottecchi, e non con troppa simpatia, la collega più giovane non trattenersi oltre l’orario di lavoro per fare in tempo ad andare a prendere i figli a scuola. Il compagno che non si fa remore a organizzare l’ennesima uscita serale con gli amici, mentre dopo il lavoro la parte femminile della coppia è assillata dal pensiero di fare la spesa, sistemare la biancheria e sbrigare innumerevoli altre faccende domestico-familiari. Ci sono, persino, le amiche impegnate a non risparmiarsi commenti su come e in che tempi ci si stia riprendendo dal parto: non è un mistero, del resto, che le peggiori nemiche delle donne siano spesso altre donne.

A ciascuna di queste situazioni Emma dedica una piccola storia, davvero piccola, almeno narrativamente: probabilmente, se ci si provasse, non si riuscirebbe infatti a tirare fuori da Bastava chiedere! nemmeno una cartella piena di testo, ed è forse questo che più fa storcere il naso a chi si aspettava una graphic novel, e di novel ha trovato davvero ben poco.

La questione del “carico mentale” delle donne

Letteratura e finzione si perdono qui nelle trame, non meno incredibili e capaci di lasciare a bocca aperta, di dati sui tassi di occupazione femminile, sulle misure economico-assistenziali riservate alle donne in momenti segnanti della propria vita (come la maternità appunto) o di curiosità su come siano nati alcuni stereotipi ancora così duri a morire nelle relazioni di coppia. E, più in generale, in quelle tra l’universo femminile e l’universo maschile.

Certo, forse la storia del termineisteria” usato inizialmente in maniera decisamente poco scientifica e per bollare un disturbo psichico che si pensava avesse esclusivamente a che vedere con questioni ormonali e uterine, può risultare sentita e risentita, protagonista com’è stata in questi anni di innumerevoli romanzi, bio pic, serie TV, adattamenti cinematografici.

La stessa impressione la si potrebbe avere per una serie di altri argomenti già cavalcati abbondantemente da certa letteratura “pop” femminista. Forse, però, repetita non iuvant tanto quanto si potrebbe immaginare se a ogni donna, di qualsiasi età e in qualsiasi contesto, capita ancora così spesso di farsi carico mentale del benessere di chi le sta intorno: l’espressione è quella, felice, con cui già in altri fumetti Emma ha descritto quella tendenza, tipicamente femminile, a sentirsi responsabile della felicità di mariti, compagni, amanti, figli, fratelli, genitori anziani, colleghi, amici, più e prima che della propria.

C’entra l’educazione ricevuta fin da bambine, certo, ma senza dubbio anche una certa narrazione matriarcale – ed è questo il succo dell’introduzione di Michela Murgia alla traduzione italiana di Bastava chiedere! – sterile, almeno quanto capace di confondere l’empowerment femminile, quello vero, con una necessità di avere tutto sotto controllo, da parte delle donne, in famiglia, sul lavoro, eccetera. Una necessità che giova agli altri più che a sé.

Due ragioni (più una) per leggere Bastava chiedere! di Emma Clit

Perché leggere Bastava chiedere!, insomma?

Per avere la risposta immediatamente pronta, anche fosse più emotiva che verbale, quando arriverà il prossimo “bastava chiedere!” del compagno affamato se si è fatto tardi e non c’è ancora niente che borbotta sul fornello per cena. Un po’ meno per approfondire il discorso femminista o per il puro piacere di leggere una storia femminista a lieto fine.

Va letto più per mettere alla prova la propria professione di femminismo: ogni capitolo di Bastava chiedere! potrebbe far crollare, infatti, il proprio castello di credenze. Potrebbe aiutare anche chi è cresciuto in una famiglia in cui la divisione di ruoli tra maschi e femmine era precisa al millesimo a rendersi conto di come certi bias di genere agiscano più inconsciamente di quanto si sia disposti ad ammettere.

Il disagio è assicurato, ma a volte è il disagio che fa muovere le cose.

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