Ci vorrebbe qualche Senigallia in più

Nato in Romagna, nella patria indiscussa del divertimento, oggi il CaterRaduno fa tappa fissa a Senigallia. Anzi, l’oggi è un’indicazione temporale po’ riduttiva, visto che in realtà sono tredici anni che il festival è attraccato a Senigallia e non sgancia l’ancora. Perché lasciare la Romagna e il suo immenso pubblico per spostarsi nelle Marche? Certo, […]

Nato in Romagna, nella patria indiscussa del divertimento, oggi il CaterRaduno fa tappa fissa a Senigallia. Anzi, l’oggi è un’indicazione temporale po’ riduttiva, visto che in realtà sono tredici anni che il festival è attraccato a Senigallia e non sgancia l’ancora. Perché lasciare la Romagna e il suo immenso pubblico per spostarsi nelle Marche? Certo, Senigallia ha il suo fascino e il Summer Jamboree lo dimostra, ma a un primo sguardo sembra difficile che possa competere con l’organizzazione, il piglio e l’efficienza dei romagnoli.

Sono partiti da qui gli interrogativi di questa intervista. Perché Senigallia? La persona migliore con cui parlarne è Renzo Ceresa, direttore artistico del CaterRaduno dalla prima all’ultima edizione. Prima edizione che si è svolta in forma sperimentale a Brisighella. Si voleva portare in Rai un modo diverso di approcciare il pubblico. Un modo diretto, fatto di eventi territoriali e incontri. Da allora sono passati vent’anni.

Sulla sinistra Renzo Ceresa con lo staff del CateRaduno

 

 

La Rai in quel periodo non era abituata a quel tipo di attività.

È vero, ma la trasmissione Caterpillar aveva avuto un forte impatto e si poteva provare. Così nel ‘98, dopo un anno dalla nascita di Caterpillar, è nato anche il CaterRaduno. La prima edizione durò due giorni e mezzo e i protagonisti erano Alessandro Bergonzoni e la Banda Osiris. In tutto è costato 38 milioni di lire. Abbiamo approfittato della disponibilità degli artisti che sono venuti per costi irrisori e anche noi redattori, registi e conduttori abbiamo organizzato l’evento gratuitamente.

Quanto siete stati a Brisighella?

Solo il primo anno perché l’idea iniziale era di un festival itinerante. Volevamo letteralmente incontrare i territori ed era necessario spostarsi, quindi abbiamo fatto tre edizioni a Cervia, due a Santarcangelo di Romagna, una a Cattolica e le ultime tredici a Senigallia.

Perché vi siete fermati a Senigallia?

Le ragioni sono due. Una indiscutibilmente pratica: essere itineranti significava ogni volta incontrare nuovi comuni, spiegare la manifestazione, rinnovare la collaborazione, e questo allungava e complicava i tempi.

E la seconda ragione?

Senigallia si è dimostrata un luogo territorialmente felice. Aveva il mare, un centro molto bello e soprattutto è letteralmente al centro d’Italia, e questo ci permetteva di andare incontro a tutti gli ascoltatori che ci raggiungevano da nord a sud. Questa città ci ha convinto a fermare l’itinerario della manifestazione perché qui valeva la pena avere un approdo fisso e sicuro. Inoltre abbiamo sempre avuto ottimi rapporti con il Comune, che ci ha lasciato una grande libertà ideativa, creativa e organizzativa. In ogni occasione sono venuti incontro alle nostre esigenze, anche quelle più impegnative, come la gestione e l’organizzazione delle cene per 1500 persone in piazza.

E il pubblico come ha risposto?

Abbiamo trovato una mentalità molto aperta e un territorio che reagiva perfettamente alla nostra manifestazione. Noi puntualmente convochiamo i nostri ascoltatori, ma a Senigallia un intero nuovo territorio si è riversato sulla manifestazione e hanno partecipato centinaia di persone che non erano ascoltatori del programma. Un sacco di marchigiani, e poi a un certo punto è stato evidente che Senigallia e i suoi cittadini sentivano la manifestazione come propria. Non erano ospiti dell’evento, ma parte attiva di tutto il programma.

Concerto di Irene Grandi All’alba

 

Questo sfata tutti i luoghi comuni sulla mentalità dei marchigiani, generalmente considerati un po’ chiusi.

Senigallia è reattiva e propositiva. Ovviamente anche la manifestazione fa la sua parte, perché va incontro al territorio cercando di unire e sovrapporre elementi di spettacolo tradizionali, come i concerti, a elementi di giocosità e animazione da villaggio turistico. Ma il tutto è legato a una creatività particolare, che contiene elementi di solidarietà. Ad esempio Libera è presente tutti gli anni. Poi facciamo convocazioni teatrali, incontri con personaggi, e il tutto si amalgama in una formula ibrida che al territorio è piaciuta. Di solito i festival sono molto centrati, convocano e mirano a target specifici, noi abbiamo sempre avuto un’idea più larga che mescolava diverse componenti sociali.

Tra l’altro in questi tredici anni alluvioni e terremoti hanno squarciato le Marche da tutti i lati, anche socialmente. Come hanno inciso questi eventi sulla vostra programmazione?

L’anno dell’alluvione era il 2014 ed era maggio, quindi un periodo vicinissimo all’evento. Ovviamente eravamo preoccupati e pensavamo addirittura di non poter fare il CaterRaduno. Invece in tempi strettissimi la città è stata ripulita e ci aspettavano come tutti gli altri anni. Prontissimi. Noi abbiamo cercato di ricambiare dimostrandoci vicini alle persone, e quell’anno l’iniziativa di raccolta fondi di Libera è stata dedicata ai bisogni del territorio.

Anche per il terremoto avete fatto una raccolta fondi?

Abbiamo organizzato una cena in piazza per 1500 persone. Tolti i costi, tutta la raccolta è andata ai paesi che ci sono stati segnalati dopo il sisma. Abbiamo cercato di restituire un po’ di socialità. Per noi è stato importante dare un contributo alla regione che ci ospita e nel caso del terremoto le abbiamo dedicato anche molto spazio nel racconto radiofonico.

E il territorio vi ha risposto?

La community del programma ha una sensibilità molto forte e noi abbiamo cercato di trasferirla sul posto, ma l’abbiamo anche già trovata in loco. Le sensibilità erano comuni e questo ci ha permesso di portare avanti la manifestazione senza sforzi, senza doverci spiegare le cose troppo a lungo. È stato facile.

Insomma Senigallia si conferma un’isola felice non solo nelle Marche, ma forse in tutta Italia.

Io voglio pensare che ci siano altre isole felici. Anche in Romagna abbiamo trovato un’ottima accoglienza e un’importante cultura dello spettacolo. Però Senigallia la consiglierei a tutti. Tredici anni fa c’erano politiche diverse, ma l’evento non ha mai sofferto e in questo lungo periodo non si è mai “stancato”. C’è un accoppiamento felice con le istituzioni, tutti gli anni è come se tornassimo a casa. Il CaterRaduno nasce come evento di chiusura della stagione radiofonica e di incontro dei conduttori con il loro pubblico, ma oggi ha anche una sua autonomia e un suo immaginario organizzativo: c’è una felicità di approdo finale che coincide con Senigallia. Poi non voglio farla sembrare Disneyland, ma davvero la consiglierei a tutti. E spero che i suoi cittadini abbiano sempre voglia di fare e di immaginare i loro luoghi come spazi di incontro, con le persone e i racconti che si svolgono nel paese.

Noi abbiamo titolato questo reportage “le Marche tremanti”, e purtroppo quello che è venuto fuori fino a ora è che c’è poca volontà di reagire, c’è molta insicurezza. Ovvio che il terremoto ha tante responsabilità, ma l’atteggiamento dei marchigiani finora ci è sembrato remissivo, non reattivo.

Senigallia non trema, su questo non c’è ombra di dubbio.

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