Come la Confindustria di Carlo Bonomi ha tentato di far saltare i contratti dell’alimentare durante l’emergenza

Un atteggiamento definito “arrogante” e “sprezzante” dai sindacati: così Confindustria si è opposta ai premi produzione per i lavoratori dell’alimentare, uno dei pochi settori che hanno guadagnato durante la pandemia.

La pandemia ha seminato malattia e morte, e ha provocato una crisi economica e occupazionale che non ha eguali nel secondo dopoguerra. Qualche economista illustre ha paragonato la crisi attuale alla crisi del 1929, e le cifre ci dicono che non è affatto un paragone azzardato. Anche perché si tratta una crisi planetaria: dall’Europa alla Cina, dagli Stati Uniti all’America Latina, dalla Russia al Giappone.

Ma se in Italia si spulciano i bilanci preventivi di alcune grandi aziende e di alcuni settori industriali, si scopre che il COVID-19 ha seminato anche favolosi fatturati. I settori che sono stati premiati dalla pandemia, non soltanto in Italia, sono i farmaceutici, la grande distribuzione alimentare e le aziende alimentari.

Ricchi grazie alla pandemia: di quali aziende si parla?

Tanto per dare qualche cifra, il settore alimentare è cresciuto in termini aggregati del 9,6%. Se a questi si aggiungono i settori tecnologici e i giganti tipo Amazon, che hanno prodotto in pochi mesi utili e fatturato che si producevano in anni, si capisce che il fenomeno non è di poco conto.

Il quesito è semplice, forse ingenuo, ma per nulla scontato: i lavoratori di queste aziende e di questi settori godranno almeno in parte di questo aumento di fatturato? Ci sarà una redistribuzione dei fatturati sotto forma di premi di produzione, aumenti salariali, contratti che tengano conto dell’emergenza nella quale i lavoratori sono stati costretti dalla pandemia?

La domanda non è retorica. Nei casi in cui le aziende sono state colpite dalla crisi, sono scattati i meccanismi di protezione, come il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione per i lavoratori dipendenti o il bonus per i liberi professionisti. Allo stesso modo, nei settori in cui la pandemia ha consentito fatturati eccezionali, sarebbe equo che non solo le aziende, ma anche i lavoratori godessero di questa congiuntura favorevole.

Per questo motivo abbiamo provato a indagare in alcune aree della grande distribuzione alimentare e delle aziende alimentari per capire che cosa è avvenuto all’ombra del COVID-19.

I sindacati: “Confindustria arrogante e ostile a qualsiasi forma di redistribuzione”

In questo breve viaggio la prima notizia che lascia attoniti chiama in causa proprio la principale associazione industriale, la Confindustria.

I più ostili a qualsiasi forma di redistribuzione sono proprio i vertici di Confindustria. L’associazione imprenditoriale guidata da Carlo Bonomi fin dal primo giorno ha tenuto un atteggiamento arrogante rispetto ai contratti nei settori, come l’alimentare, che pure hanno registrato fatturati in forte crescita”, ci racconta Ubaldo Gualerzi, della segreteria nazionale della CGIL alimentaristi. “Grazie a Dio il fronte confindustriale non è compatto, e molte aziende non hanno accettato i diktat di Carlo Bonomi”.

Brutte notizie per i lavoratori arrivano anche dalla grande distribuzione alimentare, ci spiega il sindacalista Alessio Di Labio. ”Ci sono gruppi come Eurospin o Conad che si rifiutano addirittura, malgrado il fatturato in crescita, di fare contrattazione aziendale. E questo è inaccettabile”.

Prima di farci raccontare da Ubaldo Gualerzi come la Confindustria di Bonomi abbia tentato, senza riuscirci, di far saltare il contratto degli alimentaristi chiedendo alle principali associazioni del settore di non firmare, andiamo a sentire cosa ci racconta Davide, dipendente di una delle tante Esselunga di Milano.

Non abbiamo visto un euro. Premi di produzione per aver lavorato in emergenza e a rischio? Neanche l’ombra. Anzi, direi che siamo spesso sottorganico proprio a causa del fatto che ci sono stati casi di COVID-19. È capitato, ad esempio, che qualcuno venisse in contatto con un lavoratore che era risultato positivo e a quel punto iniziava un piccolo calvario. Alcuni nostri colleghi, ad esempio, hanno dovuto fare il tampone, e in attesa dei risultati, alcune volte pochi giorni ma talvolta anche una o due settimane, si sono dovuti prendere dei permessi o delle ferie. Altro che beneficio per i lavoratori!”

Lo scontro senza precedenti tra Confindustria e i sindacati

La storia più intrigante, quella dello scontro tra la Confindustria di Carlo Bonomi e le principali associazioni che raggruppano le aziende dell’alimentare, ce la racconta nel dettaglio Ubaldo Gualerzi della segreteria nazionale della CGIL; uno dei sindacalisti che ha di recente firmato il contratto degli alimentaristi malgrado l’opposizione di Confindustria e dei vertici di Federalimentare.

Come nasce questo inedito contrasto o scontro dentro le fila degli imprenditori? “Lo può tranquillamente definire uno scontro. La firma di questo travagliato contratto arriva alla fine di un vero e proprio conflitto dentro il fronte confindustriale. Quando a marzo del 2020 è iniziato il COVID-19, il sindacato, che era già in trattativa con Federalimentare per la chiusura del contratto 2019-2023, ha deciso responsabilmente di rinviare tutto ad aprile, vista l’emergenza sanitaria. Quando alla fine di aprile ci siamo ripresentati al tavolo della trattativa, con un atteggiamento sprezzante Federalimentari ci ha fatto sapere che non avevano tempo da perdere”.

“A quel punto le confederazioni sindacali hanno messo in moto un’operazione che non era mai stata fatta: hanno scritto a tutte le tredici associazioni che rappresentano le aziende nel settore alimentare, chiedendo loro di sedersi al tavolo della trattativa pena una fortissima agitazione sindacale che si sarebbe messa in moto malgrado la pandemia. A maggio di quest’anno Union Food, dove sono associate le grandi multinazionali e gruppi importanti, come ad esempio Barilla e Ferrero, Assobirre e Ancit, ci hanno convocati e hanno dichiarato che erano disposti a firmare il contratto di categoria, che tra le altre cose prevedeva un aumento di 119 euro. In un mese di trattativa siamo riusciti a far firmare il contratto a tutte le associazioni che raggruppano le aziende alimentari.”

È a questo punto che è scattata la posizione oltranzista di Confindustria? “Quando i vertici di Confindustria hanno capito che il potere di contrattazione di Federalimentare si stava svuotando, Carlo Bonomi ha lanciato il grido d’allarme con la celebre affermazione: ‘Bisogna essere rivoluzionari’, che per l’intraprendente capo di Confindustria significa non firmare alcun contratto che prevedesse aumenti salariali. Un’idea piuttosto singolare di rivoluzione”.

Questo atteggiamento ostile di Confindustria “ha creato in certi momenti tensione ai tavoli della trattativa, perché gli imprenditori si presentavano dicendo che non avevano il mandato di Confindustria per firmare. Ma il 31 luglio siamo arrivati finalmente alla firma del contratto, pur in presenza di una spaccatura inedita in Confindustria. Tenga conto che anche noi abbiamo dovuto cedere qualcosa nella mediazione, ma a Confindustria non bastava. Alla fine, vedendo che l’80% delle grandi aziende hanno firmato, i vertici confindustriali si sono rassegnati; ma questo è un precedente importante nelle relazioni industriali tra confederazioni sindacali e Confindustria”.

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