Perché, nonostante l’esplosione dei social, non la si considera una professione? “Perché non c’è conoscenza di quello che si fa e si pensa che gestire i social sia solo pubblicare qualche post quando, invece, si lavora a una strategia che porti dei risultati alle aziende; c’è bisogno di pianificazione, bisogna avere tutta una serie di conoscenze sia tecniche che legali legate al copyright. Per non parlare poi delle crisi sui social, delle shitstorm (le bufere d’opinione che si scatenano sui social media, N.d.R.) e così via: moderare le community, quindi gestire delle masse, vuol dire anche avere conoscenze di psicologia sociale”.
Un altro aspetto concatenato è quello legato alla retribuzione, non sempre commisurata al lavoro che si fa: è qualcosa di cui si lamentano spesso gli associati dell’ANSMM, che in tutto sono circa 1.650 tra social media manager e chi sposa la causa, come ci spiega Pirrone.
“Dal canto nostro, cerchiamo di sensibilizzare i nostri associati dando loro dei range di riferimento. Per esempio, per la gestione di una pagina con due post a settimana, suggeriamo di non chiedere meno di 400-500 euro al mese. Certo, poi la questione cambia a seconda del fatto che si lavori per un negozio o un brand nazionale, così come influiscono anche il luogo in cui si lavora, le responsabilità che si hanno, se bisogna sponsorizzare dei post – quindi gestire un budget, pensare all’e-commerce ecc. Questo è un consiglio di partenza, considerando che spesso per un lavoro simile, specie al Sud, si viene remunerati addirittura 100 euro al mese.”
Altro problema molto frequente è il ritardo nei pagamenti. “L’Associazione – continua Pirrone – si avvale del supporto dell’avvocato Alberta Antonucci che offre una consulenza iniziale gratuita per poi seguire le pratiche con una convenzione”. Ne fanno parte, come si legge sul sito, altre figure professionali come commercialisti, esperti di fisco e finanza e altre figure, per un totale di dieci professionisti di estrazione diversa, non social media manager, che costituiscono il Comitato Tecnico Scientifico”.
Le battaglie dell’Associazione non si fermano comunque al CCNL, ma proseguono anche nella direzione di ottenere un codice ATECO per i social media manager, importante per chi apre una partita IVA e fa questo lavoro.
A oggi chi svolge la professione di social media manager, come abbiamo avuto modo di verificare parlando con alcuni di loro, deve utilizzare altri codici, come il 73.11.01, pensato per chi si occupa di ideazione di campagne pubblicitarie, creazione e sviluppo, ma non per gestire budget del cliente (cosa che succede molto spesso, invece) o il 73.11.02 che prevede la conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari con la gestione del budget (ma non specifico per tutte le attività social).