Da medici di base a scribacchini: l’eredità della sanità privata convenzionata

La sanità convenzionata rende i medici di base sempre più marginali. Ma come sono entrati i privati nella sanità italiana? I responsabili hanno un nome e un cognome.

Missing. Scomparsi dalla scena della sanità pubblica. O se si preferisce, ridotti a fare i passacarte dei medici specializzati che lavorano prevalentemente nei grandi istituti privati convenzionati. I medici di famiglia operano ancora sul territorio, ma in misura sempre più ridotta, e soprattutto negli ultimi vent’anni il loro ruolo è radicalmente mutato.

Il custode della salute delle famiglie italiane, quello che veniva interpellato se tuo figlio aveva un’influenza o una bronchite, se tuo nonno aveva la febbre alta o un dolore intestinale, non esiste più, e comunque a stare ai dati ufficiali è in via di estinzione: entro il 2025 smetteranno di lavorare circa 15.000 medici di famiglia, e secondo la FIMMG 14 milioni di italiani potrebbero rimanere senza i medici di base. Entro il 2028, se non si inverte questa tendenza, la carenza di medici di base potrebbe superare le 33.000 unità.

La lenta scomparsa dei medici di base: “Siamo diventati scribacchini”

Sarebbe stata un’estinzione silenziosa, alimentata dai drammatici tagli alla sanità degli ultimi decenni e al dirottamento di fiumi di denaro verso i grandi gruppi privati che controllano oggi l’eccellenza, se il pianeta non fosse stato aggredito dal COVID-19, la pandemia che ha messo a nudo senza pietà l’imbarazzante buco nero formato dalla mancanza dei medici di base.

Come ha spiegato di recente l’immunologa Antonella Viola, una delle cause dell’alta mortalità per COVID-19 in Italia è proprio l’assenza di una cintura di sicurezza e cura che doveva essere affidata ai medici di base, per tamponare la virulenza con la quale il Coronavirus ci ha aggrediti. La loro assenza, nel momento dell’esplosione del virus, ha spinto migliaia di persone verso i pronto soccorso e gli ospedali, provocando intasamento delle corsie, delle terapie intensive, e diverse morti.

Vincenzo Cazzato, 51 anni, medico di base, ortopedico e consulente del tribunale di Lecce, opera a Presicce, un piccolo paese del Salento abitato da poco meno di seimila persone. Quando gli chiedo se anche lui in paese è diventato un semplice passacarte per visite specialistiche scuote la testa, e con un’espressione di rassegnazione conferma: “È proprio così. Siamo diventati degli scribacchini, degli abili scrittori di prescrizioni per visite specialistiche; eppure avremmo le competenze per curare pazienti anche nei casi di patologie complesse. La cosa più pericolosa sarebbe mettere in conflitto la medicina di base con quella specialistica. In realtà alcuni casi gravi che sto trattando mi dicono che una collaborazione tra i medici di base e gli specialisti è essenziale: sono gli stessi specialisti che lo chiedono. Ma negli ultimi anni è cambiato tutto. Il denaro è andato altrove e la medicina di base si è atrofizzata”.

Quindi la leggenda per la quale i medici di base nei piccoli paesi sono ancora la spina dorsale non è vera. “Vorrei che fosse così, ma anche da noi l’orientamento è quello che mi citava lei: grandi gruppi industriali privati che dal Nord sono sbarcati al Sud, hanno acquistato strutture decadenti e le hanno trasformate in eccellenze convenzionate con il potere pubblico. È accaduto a Bari e a Taranto e anche in città minori. Sia chiaro, per la sanità pugliese è stato un grande beneficio, ma questo è avvenuto a scapito della struttura dei medici di base. E le assicuro che durante la pandemia questa carenza ha provocato non pochi guai agli ospedali”.

“Le faccio un esempio che riguarda l’oggi: lei non immagina quante telefonate ricevo dai miei pazienti che mi chiedono di fare il vaccino. Perché i medici di base non possono fare i vaccini alla popolazione, in modo da accelerare l’unica difesa che abbiamo contro il COVID-19? È vero, se si tratta del vaccino Pfizer non saremmo attrezzati perché va tenuto a bassissime temperature, ma per gli altri vaccini potremmo operare tranquillamente. La verità è che in questi anni gli investimenti hanno sviluppato la tecnologia, ma hanno trascurato la formazione, l’aggiornamento, in una parola il fattore umano. Un grave errore che è emerso in tutta la sua drammaticità quando è esplosa la pandemia.”

Il responsabile della privatizzazione della sanità ha un nome e un cognome

Quando nasce, dove si sviluppa questo vulnus? Dove ha origine la potenziale estinzione dei medici di base?

Tutte le strade portano a un nome: Roberto Formigoni. L’esponente democristiano che ha governato la regione Lombardia per 17 anni, dal 1995 al 2012, e che ha lasciato la sua impronta sul sistema sanitario lombardo e nazionale per decenni. Caduto in disgrazia per ragioni giudiziarie, Formigoni ha alimentato il sistema della sanità convenzionata, e secondo alcuni protagonisti dell’epoca è stato il principale regista del dirottamento di denaro dalle strutture di base ai grandi gruppi privati convenzionati che oggi dominano la sanità lombarda, come lo IEO, Istituto Europeo di Oncologia (controllato da soci come Mediobanca, Leonardo Del Vecchio, Intesa San Paolo, Generali, Ligresti, Pirelli, Berlusconi ecc.), l’Humanitas (controllato dalla famiglia Rocca), il San Raffaele, l’Istituto Auxologico Italiano, per citarne solo alcuni.

Di recente Roberto Formigoni, interpellato sul suo sistema a proposito del COVID-19, l’ha definito “rivoluzionario” perché consentiva ai poveri di farsi curare e operare da luminari della medicina. Ma non tutti la pensano così, e comunque l’epoca di Formigoni coincide con l’abbandono della medicina territoriale.

Nuccio Abbondanza: “Veronesi, Mediobanca e la politica. Ecco come i privati sono entrati nella sanità”

Per capire che cosa accadde allora ho provato a sentire l’opinione di un vecchio amico, Nuccio Abbondanza, ex presidente dell’Istituto dei Tumori di Milano, esponente del PSI dell’epoca in veste di responsabile della sanità e di recente autore di un libro affilato, Cari mostri. Abbondanza non ha dubbi.

Quella politica fu la ragione principale dell’abbandono del territorio. Non so se la tua famiglia aveva un medico di base. A casa mia c’era. Aveva un ruolo cruciale anche quando si trattava di curare patologie importanti. Lo smantellamento della medicina di base è avvenuto quando la sanità è passata sotto il controllo delle regioni, che soprattutto al Nord adottarono la politica delle convenzioni, che consisteva nel dirottare gli investimenti verso i privati trascurando la preziosissima medicina di base. Ci fu naturalmente anche la responsabilità dei governi che accolsero quell’orientamento.”

“Tieni conto, a proposito delle polemiche sulle regioni, che non è sempre stato così. Quando fui nominato presidente dell’Istituto dei Tumori gli enti come l’istituto erano più autonomi; la mia nomina fu decisa e firmata dal Presidente della Repubblica. Era l’epoca in cui, per rispondere a coloro che guardano con scetticismo la sanità pubblica, l’Istituto dei Tumori era considerato la Scala della sanità. Ricordo a questo proposito un episodio che dà la misura di quello che stava accadendo e del ruolo che avrebbero avuto i privati”.

“Un giorno nel mio studio venne a farmi visita Umberto Veronesi, che già allora era considerato uno dei luminari dell’istituto. Umberto mi disse che c’era la possibilità di costruire una struttura importante con investimenti privati. Si trattava dello IEO. Facemmo una riunione in Mediobanca e lì conobbi Enrico Cuccia, che detto tra parentesi mi sembrava più interessato a parlare delle Memorie d’oltretomba di Chateaubriand che di sanità. Comunque, i suoi uomini erano molto interessati a far sì che Mediobanca entrasse nel business della sanità.”

“Dopo un anno Veronesi mi disse che c’erano delle difficoltà finanziarie per il progetto IEO e mi chiese di spingere sulla regione Lombardia per avere maggiori finanziamenti. In quell’occasione risposi che, come presidente dell’Istituto dei Tumori,  non potevo fare pressione sulla regione, visto che lo IEO nasceva in diretta concorrenza con l’istituto da me presieduto. Poi, comunque, anche senza le mie pressioni i finanziamenti regionali arrivarono, e lo IEO dopo qualche anno vide la luce. All’epoca anche all’interno del mio partito mi opposi a questo enorme trasferimento di risorse dalla sanità pubblica territoriale a quella privata convenzionata, ma non ci fu nulla da fare”.

“La linea di difesa dei sostenitori di questo sistema è che la sanità convenzionata funziona bene. È vero, funziona benissimo, ma non ci si può meravigliare e scoprire d’improvviso il valore della medicina territoriale. La sua crisi è da addebitare a quelle scelte. E ti dirò di più, anche il business delle RSA ha a che fare con quanto avvenne allora. Una volta gli anziani venivano curati a casa, oggi vengono ammassati nelle RSA. La tragedia è che proprio in quelle strutture il COVID-19 si è presentato con la sua carica di morte.”

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