Trapianto di fegato da record: a Padova una risorsa in più contro i tumori

Quando la sanità funziona: l’équipe del professor Umberto Cillo ha realizzato il primo multitrapianto di fegato da più donatori in Italia. Così si abbassano i rischi per chi dona e si accorciano le liste d’attesa, con nuove prospettive per la ricerca

03.01.2024
Trapianto di fegato all'avanguardia a Padova: il professor Umberto Cillo durante l'intervento

Delle criticità strutturali della sanità pubblica italiana se ne parla dall’inizio della pandemia e se ne è discusso per tutto il 2023, come dimostrano anche i recenti scioperi di medici e infermieri. SenzaFiltro vuole però aprire l’anno con un’esperienza positiva di sanità: il racconto di un intervento all’avanguardia che apre incoraggianti opportunità terapeutiche.

È stato realizzato per la prima volta in Italia, all’Azienda Ospedale Università di Padova, un multitrapianto di fegato da più donatori viventi in un unico ricevente, effettuato solo in due casi in Europa fino a oggi.

Aumenta la richiesta per i trapianti di fegato. Le criticità degli interventi tradizionali

L’Italia dei trapianti continua a crescere. Lo segnala il report analitico 2022 del Centro nazionale trapianti (CNT) pubblicato a inizio novembre. Le donazioni di organi hanno, infatti, superato quota 1.800 e, in termini di tasso per milione di popolazione, collocano il nostro Paese ai primi posti a livello europeo, dietro la Spagna, leader mondiale, e insieme alla Francia.

“In Italia aumentano donazioni e trapianti, ma crescono anche le indicazioni oncologiche che richiedono questo intervento. Il nostro centro effettua ogni anno 130 trapianti di fegato, di cui il 60% dovuti non alla cirrosi, come molti pensano, ma all’epatocarcinoma (tumore primitivo del fegato, N.d.R.)”, spiega Umberto Cillo, direttore della Chirurgia epatobiliare e dei trapianti epatici dell’Azienda Ospedale Università di Padova. Anche il colangiocarcinoma, altro tumore primitivo del fegato, sta aumentando la propria incidenza nella popolazione.

“Ogni anno almeno 25.000 malati di tumore al colon sviluppano metastasi al fegato, ma solo una piccola parte – il 10-20% – può essere efficacemente operata tramite l’asportazione delle metastasi. Ed è così che per pochi casi selezionati, dotati di biologia favorevole e allo stadio iniziale, il trapianto del fegato sembra essere la migliore soluzione possibile”. La lista di attesa è però lunga, la richiesta è superiore all’effettiva disponibilità di organi. Diventa allora essenziale il contributo del trapianto da vivente, che però “nel nostro Paese non è mai decollato (1,8% di tutti i trapianti), soprattutto per quanto riguarda il fegato”, precisa Cillo.

“Il trapianto di rene – continua il professore – da donatore vivente funziona di più anche per la conformazione, già divisa, dei reni. Invece le donazioni tradizionali di fegato da viventi prevedono l’asportazione del 60-65% dell’organo (lobo destro) del singolo donatore, con un intervento impegnativo per entrambi: donatore e ricevente”.

Ciò limita, in primis per ragioni psicologiche, il ricorso a questo tipo di trapianto. “Quando spieghi alla famiglia del paziente che c’è la necessità di un donatore disposto a cedere una frazione così consistente del proprio fegato, è raro che qualcuno si offra. Non dimentichiamoci che il fegato si rigenera in un mese, ma in questo lasso di tempo possono subentrare complicazioni e si registra una mortalità del donatore dello 0,5-1%”, aggiunge il direttore della Chirurgia epatobiliare e dei trapianti epatici. “È il paziente stesso che di solito rifiuta il trapianto, perché non vuole far correre rischi ad altri membri della sua famiglia”.

L’eccezionalità del multitrapianto di Padova: due nipoti donano il fegato alla zia

L’approccio, e la disponibilità, cambiano del tutto quando il sacrificio chiesto al donatore – in questo caso, ai due donatori – si fa più contenuto. L’asportazione di una porzione più piccola del fegato minimizza, infatti, l’invasività dell’intervento sui donatori e assicura al contempo la buona riuscita dell’operazione nel ricevente.

Con la tecnica del dual liver transplantation, l’équipe diretta dal professor Cillo ha prelevato con asportazione in mini-invasività i piccoli lobi sinistri (il 25% del fegato, che rigenera in quattro settimane) di due donatori maschi per impiantarli nella paziente, consentendone la rigenerazione del fegato. Uno dei due lobi sinistri donati è stato rovesciato e trapiantato a destra. Sono stati due fratelli – rispettivamente di 28 e 30 anni – a compiere il generoso gesto verso la zia, una donna di 52 anni affetta da metastasi non resecabili da tumore del colon (adenocarcinoma), che non era arruolabile in protocolli trapiantologici. Per i due nipoti donatori il postoperatorio si è concluso senza problemi al quarto giorno.

La quantità minima necessaria per la sopravvivenza è pari a circa 1% del peso corporeo; si resta sempre sotto la soglia di sicurezza del 30% di prelevamento dal donatore. L’asportazione di un solo lobo da un singolo donatore non sarebbe stata sufficiente: “Per questo abbiamo avuto bisogno di due donatori per raggiungere una massa totale compatibile con la vita del ricevente”.

I lobi sinistri dei due fratelli hanno garantito la giusta massa per la zia, e soprattutto il fondamentale ruolo svolto dal fegato (nella funzione renale, cerebrale, polmonare, nel metabolismo e nello smaltimento di tossine e farmaci).

“Cuore, polmoni e reni sono organi supportabili dalle macchine. Se il trapianto di fegato non riesce, il paziente può sopravvivere solo poche ore. Nell’immaginario collettivo è ancora troppo sottovalutata l’importanza del fegato per il funzionamento del nostro organismo”.

Vantaggi e complessità del trapianto da donatori viventi

Con il successo del multitrapianto di Padova si aprono chance di cura a pazienti oggi considerati inoperabili, stimolando le donazioni da viventi e superando la competizione per un fegato da donatore non vivente. Quali sono però le criticità di questo intervento?

“Si spostano sul ricevente: serve un’elevata complessità tecnica e organizzativa”. L’intervento, durato circa venti ore, ha infatti richiesto tre sale operatorie in contemporanea, quindici chirurghi, quattro anestesisti, tre coordinatori, trenta tra infermieri e OSS. È più facile ora capire perché questa tipologia di trapianti non è ancora largamente praticata in Europa e in Italia.

“L’expertise nelle tecniche microchirurgiche, il volume delle chirurgie resettive e il primato degli interventi su tumori epatici (dati Agenas) raggiunti dalla nostra struttura ci hanno permesso di compiere questo salto di qualità tecnico che libera il donatore – e la famiglia – da rischi e remore.”

L'équipe della Chirurgia Epatobiliare che ha realizzato il trapianto
L'équipe della Chirurgia Epatobiliare che ha realizzato il trapianto

CERTEV Prometeo, la rete regionale che amplia le prospettive di ricerca

Il centro padovano diretto da Cillo è l’unico in Italia a effettuare trapianti con la tecnica Rapid. Come funziona: una porzione di fegato da donatore vivente viene trapiantata nel paziente a fianco del fegato malato. Dopo la rigenerazione del frammento, che deve raggiungere un volume tale da sostenere la vita, l’organo metastatico viene rimosso in maniera mininvasiva.

Queste terapie innovative trarranno ulteriore slancio dal Centro per la Ricerca clinica e traslazionale in Chirurgia e Trapiantologia dei tumori epatobiliari primitivi e secondari del Veneto, CERTEV – Prometeo: una rete regionale per lo sviluppo della ricerca traslazionale nell’ambito della chirurgia epatica oncologica che sta entrando nella fase operativa, e dovrebbe avere come capofila proprio l’Azienda Ospedale Università di Padova, coinvolgendo le università di Treviso, Verona e Vicenza.

“Oggi il chirurgo di alta complessità, in particolar modo il chirurgo dei trapianti, non si limita a tagliare e cucire, ma necessita di una visione traslazionale. CERTEV sarà un ponte tra ricerca di base e ricerca clinica d’avanguardia, che permetterà ai diversi partner di condividere competenze e best practice”, conclude Umberto Cillo.

 

 

 

In copertina Umberto Cillo, direttore della Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti epatici, durante il trapianto

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