di Ugo Albano
Uno dei dati più rilevanti nell’analisi demografica italiana è proprio l’aumento esponenziale del numero degli anziani: da una parte la fascia della società concepita nell’epoca del boom della natalità, fortemente incentivato dal sistema fascista (sebbene falcidiata dal COVID-19), e dall’altra le attuali condizioni di sicurezza sanitaria nel nostro Paese (che prolungano la vita, ma non si sa come), stanno incrementando la consistenza numerica della cosiddetta “quarta età”, vale a dire la popolazione in età avanzata bisognosa di forte protezione.
La stessa O.M.S. parla di un futuro di “convivenza con la patologia senile” e invita a predisporre i sistemi di cura in tal senso: nel nostro Paese, già carente sulle strutture residenziali, si ritorna sulla cara, vecchia (ed economica) famiglia, convinta (o costretta) dai benefici monetari dell’INPS.
A ciò fa da contraltare la stessa evoluzione della famiglia italiana: secondo gli ultimi rapporti del Censis questa è sempre più nucleare, sempre più proiettata all’esterno per motivi economici e sempre meno orientata a gestire direttamente l’assistenza al parente anziano; a complemento di ciò si assiste a un arretramento delle prestazioni di supporto messe in campo dall’Ente pubblico per la gestione della cura domiciliare, sostituite da provvidenze economiche finalizzate, come i buoni-servizio e gli assegni di cura, che vanno a sommarsi alle provvidenze INPS. Ne consegue quindi la faticosa impresa, da parte della famiglia, di finanziare direttamente la gestione domiciliare del parente anziano secondo logiche di libera ricerca nel libero mercato, con tutto ciò che comporta.
L’altro aspetto della questione è la “bassa appetibilità” da parte degli italiani del lavoro di cura, specie quello di tipo assistenziale diretto, ragion per cui si assiste a una scelta lavorativa di questo tipo solo per ripiego. Questo richiama spesso personale a bassa motivazione, più difficile da addestrare alla “relazione di cura”, oltre che alla mera incombenza pratico-gestionale.
Queste attività sono viste come ausiliarie o esecutive, ad alta ripetitività e frustrazione; ne consegue che vengono spesso considerate appannaggio delle classi sociali ritenute “basse” o interessate a una stabilizzazione sociale. Si parla, quindi, dei cittadini stranieri.