E se la quarta mafia fosse l’università?

Baroni e lobbisti sono solo la punta dell’iceberg: chi ci lavora definisce l’accademia “mafia di Stato”. Vediamo perché nella recensione di “Mala università”, di Giambattista Scirè.

Leggere il libro di Giambattista Scirè, Mala università, è uno schiaffo in pieno viso il cui segno rimane impresso per parecchio tempo.

Scirè è ricercatore universitario e storico, con all’attivo diversi saggi, che ha vinto il concorso da ricercatore di Storia contemporanea presso l’Università di Catania nel dicembre 2011 ma non ha ottenuto il posto perché era stato assegnato a una laureata in Architettura tramite un concorso truccato. Un caso clamoroso, di cui hanno parlato tutta la stampa e le tv nazionali. Da allora Giambattista Scirè prosegue la sua battaglia contro l’Università di Catania per avere un contratto (che non ha ancora avuto, tranne quattro mesi di lavoro su tre anni dovuti), nonostante le sentenze amministrative e penali a suo favore.

Mala università, la rabbia contro la corruzione dell’accademia

Ho dovuto metabolizzare Mala università per parecchi giorni prima di scriverci su.

La rabbia con cui l’autore ci guida in questo sistema malato è viva in ogni pagina e mi ha colto di sorpresa: pensavo di essere già preparata – assuefatta – alla cattiva gestione delle risorse pubbliche in Italia. E invece no.

Non si è mai troppo consapevoli dei disastri pianificati a tavolino dai vertici di potere, settari ed elitari. Darei ragione a Scirè nel definirli “delinquenti col curriculum riuniti in bande”, che stanno contribuendo da decenni a privarci del futuro, di un pensiero critico, di un ascensore sociale, di una meritocrazia essenziale non solo nella teoria, ma soprattutto nella pratica.

Perché il danno, come Scirè intitola un capitolo del libro, non colpisce solo le vittime dei concorsi truccati, estromesse a priori da un accesso al ruolo, ma si riflette su tutti i cittadini. Pensiamo alla sanità, a quanto è sconvolgente comprendere come il Servizio sanitario nazionale non sia in mano ai più bravi e competenti, ma a logiche di potere (accademiche e politiche) che hanno sistematicamente la meglio sull’esigenza primaria di un servizio medico-assistenziale pubblico ottimale. Il diritto del cittadino a essere curato al meglio è pura utopia oppure questione di fortuna, effettiva o evocata a suon di telefonate.

L’università come mafia di Stato

L’Università è unpostificioreferenziato, “gerarchico, verticistico, piramidale”; è prigioniera di un sistema di potere che la ricatta e la gestisce, dall’interno ma soprattutto dall’esterno, come fosse una proprietà privata, “una cosa nostra.

Oltre il solito capitolo sulle molestie, di cui da donna ho la nausea, una sezione del libro davvero inquietante e da approfondire è quella che racconta perché la “masso-mafia” gode di protezioni e coperture ad alti livelli politico-istituzionali: per l’utile e l’interesse che ne deriva. La recente vicenda della depenalizzazione del reato di abuso d’ufficio all’interno dei concorsi universitari (voluta fortemente dal governo Conte, tramite il decreto Semplificazioni, a settembre 2020) dimostra con chiarezza questa interconnessione cronica tra accademia e politica.

Le lobby accademiche, potenti e stimate, fanno parte di ogni partito e movimento politico, e consolidano il rapporto tra la politica e l’università attraverso fondazioni, istituzioni e associazioni, le quali mettono spesso a disposizione “ingenti somme di denaro” per costruire borse di studio pubbliche e assegni di ricerca, con i relativi vincitori già predeterminati.

Questa è l’università pubblica, oggi: un’enorme marchetta culturale dove girano interessi, contatti, reti e soldi in corsi, progetti, master e simili, utili solo a sistemare i parenti e non ad accrescere la qualità etica, culturale e sociale di noi cittadini, che paghiamo tasse su tasse ignari di finanziare un sistema intoccabile e dedito al profitto.

L’autore non usa giri di parole nel definire mafia di Stato la masso-mafia accademica, dove i cattedratici usufruiscono delle università pubbliche come se fossero loro feudi privati, con metodi e arroganza degni di esponenti della malavita organizzata.

Università corrotta, un’alternativa esiste

L’ultimo capitolo è dedicato al gruppo fondato da Scirè il 10 novembre 2017 “Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo”, un punto di riferimento, di ascolto e di supporto per tutti coloro che intendano contrapporsi a questi abusi, segnalandoli a chi di dovere e sollecitando l’opinione pubblica.

Ad oggi il gruppo di difesa raduna 743 studiosi tra i ventidue e i settantacinque anni, provenienti da quasi tutti i settori scientifici, divisi in 140 professori ordinari e associati, 326 tra ricercatori a tempo indeterminato e determinato e 227 tipologie di studiosi (contrattisti, dottori di ricerca, borsisti).

Anche personaggi importanti del dibattito pubblico come Andrea Crisanti, scienziato di fama internazionale, e Tommaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, hanno deciso di aderire e diventare ambassador del gruppo, approvandone i valori e le cause.

Perché leggere Mala università

Ritengo che leggere Mala università sia necessario per comprendere appieno quanto gli interessi clientelari, settari, maschilisti e mafiosi di un sistema così elitario innalzino pochi e sottraggano a tutti.

Da cittadina non posso permettere che il mio senso etico e culturale sia annebbiato e rovinato da un sistema così corrotto: solo costruendo una mia base autonoma di pensiero con letture come questa posso creare e diffondere un pensiero critico che in tanti, troppi, non conoscono o hanno paura di propagare. Perché soltanto capendo realmente il valore dell’università come massimo sistema di democrazia pubblica si può risollevare l’Italia dalla crisi culturale e valoriale in cui brancola da decenni.

L’unica critica che sento di dover fare a questo libro è la tipografia da cui proviene, ossia Grafica Veneta Spa (Trebaseleghe), salita tristemente alla cronaca come caso emblematico di caporalato e razzismo. È un peccato che un saggio di denuncia di questo tipo sia attaccabile proprio sul piano etico-culturale.

Iniziamo da questi piccoli accorgimenti a prendere coraggio e denunciare quello che non riteniamo corretto. Un libro non può certo cambiare un sistema, ma può avviarlo al cambiamento.

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