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Elezioni Lombardia: Pierfrancesco Majorino risponde alle cinque domande sul lavoro di SenzaFiltro
Il candidato di PD e M5S alla guida della Regione Lombardia espone il suo programma in chiave lavorativa: “Pensato per le nuove generazioni”
Pierfrancesco Majorino, candidato alla presidenza della Regione Lombardia per il centrosinistra, è un esponente PD nato nel 1973 a Milano, dove dal 2011 al 2019 è stato assessore alle Politiche sociali, alla salute e ai diritti del Comune, prima nella giunta guidata da Giuliano Pisapia (dal 2011 al 2016) e poi in quella guidata da Beppe Sala (dal 2016). Durante le Giunte Pisapia e Sala ha coordinato l’azione di accoglienza dei migranti, che ha offerto, dal 18 ottobre del 2013, una sistemazione temporanea a 128.000 persone, di cui oltre 25.000 bambini e ragazzi.
Nel 1998 è stato nominato consigliere del Dipartimento Affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri, dopo aver iniziato la propria carriera ancora studente diventando presidente nazionale dell’Unione degli Studenti e della Rete Studentesca. Dal 2019 è parlamentare europeo, impegnato contro la povertà e le disuguaglianze globali come vicepresidente della Commissione DEVE, sul lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori nella commissione EMPL, e come membro della sottocommissione Sicurezza e difesa della Commissione Affari Esteri AFET e della sua sottocommissione che si occupa di Sicurezza e difesa (SEDE); è membro della delegazione parlamentare UE-Turchia, della delegazione per le relazioni con la Palestina, e dell’assemblea parlamentare per l’Unione per il Mediterraneo; è membro della sottocommissione Diritti umani (DROI) e co-presidente dell’Interguppo per la Lotta alla Povertà estrema. È anche coordinatore S&D nella Commissione speciale INGE contro la disinformazione e le ingerenze straniere nei processi democratici europei, e promotore della risoluzione contro gli abusi dei diritti umani in Egitto approvata dal Parlamento il 18 dicembre 2020.
Si candida alla guida della Lombardia con una coalizione sostenuta da PD, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle e dalla la sua lista civica.
Le risposte di Pierfrancesco Majorino alle cinque domande di SenzaFiltro
Trenord è l’unica azienda a offrire servizio di trasporto pubblico regionale. Che cosa proponete di fare per migliorare l’esperienza di servizio dei pendolari lombardi, che ogni giorno si muovono in treno per recarsi al lavoro?
Il primo cambio da farsi è a livello di management. Deve completamente essere rivista l’impostazione organizzativa con un rilancio del rapporto con RFI, e poi vanno ascoltati i comitati pendolari che per cinque anni hanno trovato le porte chiuse da Fontana. La questione trasporto pubblico locale è fondamentale. Deve essere affrontata la questione del concentramento del traffico merci sulla stazione centrale di Milano, che è una delle cause dei ritardi e delle soppressioni: non solo su ferro, ma anche su gomma per collegare meglio le aree interne. I disagi dei pendolari devono essere risolti, perché sono imbarazzanti.
Qual è il modello di lavoro che la Regione Lombardia intende seguire in ottica di smart working, anche alla luce dell’accordo siglato proprio sullo smart working per i lavoratori del settore pubblico?
La pandemia ha portato una piccola rivoluzione nelle modalità di lavoro, superando vari tabù per quanto riguarda le modalità di lavoro. Nella nostra visione, gli aspetti positivi dello smart working non vanno dispersi, ma valorizzati, naturalmente sempre nella convinzione che le interazioni sociali e le relazioni che si sviluppano “in presenza” rimangono un elemento insostituibile, oltre al fatto che ci sono interi settori per cui quella del lavoro a distanza non è una opzione percorribile. Per il resto, lo smart working può avere straordinari benefici. Penso soprattutto a tre direzioni. Primo, quella ambientale: introdurre la possibilità di smart working una o più volte a settimana significa meno spostamenti, e dunque meno emissioni, se consideriamo che più di tre milioni di lombardi fanno i pendolari ogni giorno, con la maggior parte che si muove su gomma. In secondo luogo, lo smart working rappresenta un’opportunità per le “periferie” della nostra Regione, per tornare ad abitarle senza che ci sia l’obbligo di dover scegliere tra il posto in cui si vuole vivere e quello in cui si deve lavorare. Infine, penso allo smart working come strumento di sostegno al prendersi cura delle persone care: oltre allo smart working per i genitori con figli under 14, pensiamo anche a tutti coloro i quali si prendono cura di persone in condizione di fragilità o non autosufficienza; lo smart working può “creare tempo” per le nostre relazioni, azzerando i tempi di pendolarismo.
Tema dei giovani sul lavoro: in Italia ci sono tre milioni di “scoraggiati” tra i 15 e i 34 anni, e due su tre sono del tutto inattivi, i NEET. In Lombardia quale formazione si ha in mente per rappresentare in maniera più efficace il ponte ideale per trovare lavoro?
Il quadro dei giovani in Italia è senza dubbio preoccupante, e la Lombardia non è immune dalle problematiche correlate. Le difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, talvolta l’impossibilità, tirocini continuamente rinnovati senza prospettive di stabilità, salari bassi, sono tutti elementi che alimentano una vera e propria precarietà esistenziale per molti giovani, che si riversa prima di tutto sul loro benessere mentale, poi sulla dimensione progettuale e famigliare, passando per un diritto all’abitare sempre più difficile da esercitare. Tutto è legato in un circolo vizioso da spezzare, perché una comunità che non mette al centro i propri giovani è una comunità che non ha futuro. So che sono anni che questo si ripete senza che poi avvenga nulla, ed è anche questa una motivazione forte che mi ha spinto a mettermi in gioco e a fare un programma che è prima di tutto per loro, per le nuove generazioni. Da un piano composto da varie misure per contrastare il fenomeno dei NEET all’aumento e miglioramento dell’offerta di ITS grazie a una programmazione condivisa con imprese e università, dal potenziamento dell’apprendistato alla lotta contro l’abuso dello strumento degli stage, aumentando, tra l’altro, la loro retribuzione minima ad almeno 800€ (oggi è a 500€), fino alla formazione per giovani imprenditori in vari ambiti; queste sono solo alcune delle azioni che metteremo in campo per le nuove generazioni. A loro dobbiamo restituire la possibilità di una vera indipendenza, un vero diritto al futuro, agendo in maniera trasversale, ma a partire dalle aree fondamentali che consentono di costruire la propria emancipazione: lavoro, casa, famiglia e benessere mentale.
Collocamento e ricollocamento di donne e over 50 che escono dal mondo del lavoro: quale tipologia di formazione e quali politiche attive occorrono per favorire il loro reinserimento professionale?
L’occupazione femminile deve essere per la nostra Regione una priorità. Non ci può essere, infatti, lavoro giusto se continuano a sussistere disparità salariali tra donne e uomini e se non si mettono in campo piani per il sostegno all’occupazione femminile. Le donne sono le più soggette a “part-time involontario”, che significa meno ore lavorate e meno soldi. Dobbiamo porre il lavoro al centro di una visione di sviluppo che consenta di tornare a perseguire l’obiettivo di una buona e piena occupazione. Raggiungere questo obiettivo implica sviluppare uno sforzo collettivo per proteggere i posti di lavoro attuali e crearne di nuovi (a cominciare da quelli “verdi”) proprio per quelle categorie che attualmente registrano più difficoltà a intercettare opportunità lavorative, e quindi proprio le donne e gli over 50. Servono investimenti in upskilling e reskilling della forza lavoro esistente, rendendo imprese e lavoratori più resilienti, e dunque in grado di rispondere ai cambiamenti dei mercati. Lavoratori e lavoratrici con competenze aggiornate e rafforzate sono più forti perché sono meno esposti alle intemperie dei mercati, oggi e nel futuro. Vogliamo promuovere un forte impegno al reinserimento dei soggetti più deboli e lontani dal mondo del lavoro, sia potenziando i centri per l’impiego, riorganizzandone le funzioni, comprendendo attività di incontro tra domanda e offerta di lavoro, orientamento professionale, riqualificazione e formazione professionale per disoccupati e occupati, servizi di auto-impiego e auto imprenditorialità, sia rafforzando il ruolo sussidiario del privato sociale e del Terzo settore. Prevediamo l’introduzione di servizi e percorsi di assistenza intensiva per i soggetti di più difficile ricollocamento (disoccupati di lungo periodo, over 50). Ma per l’occupazione femminile dobbiamo pensare a politiche “di sistema”, ad esempio investendo nei servizi per l’infanzia che vogliamo portare a una copertura del 50% (a fronte dell’attuale 30,5%) e nell’aiuto alle famiglie con anziani non autosufficienti.
In tema di sanità qual è la vostra idea sulla qualità del lavoro per i professionisti del settore, che dopo il COVID-19 sono fuggiti dalle strutture sanitarie pubbliche? Quali risorse saranno necessarie per attivare le nuove strutture sanitarie territoriali finanziate dal PNRR?
Nel nostro programma abbiamo previsto un netto cambio di passo sulla sanità, perché la situazione, disastrosa, è sotto gli occhi di tutti. Uno dei pilastri della nostra idea di sanità è proprio un grande investimento per i professionisti del settore: medici, infermieri e tutto il personale sociosanitario. È grazie ai loro sacrifici, alla loro professionalità e alla loro determinazione che il servizio sanitario regionale ha retto durante l’uragano della pandemia. La Lombardia è la Regione più a rischio dal punto di vista del personale del settore: mancano circa 10.000 infermieri, e nei prossimi anni il pensionamento di migliaia di medici di medicina generale rischia di rendere la situazione attuale ancora più critica. Per quanto riguarda gli infermieri, prevediamo un investimento nel capitale umano, con la verifica dei fabbisogni di personale e di tutti gli spazi assunzionali e di stabilizzazione previsti dalle norme nazionali, oltre a riconoscere la necessità di maggiore remunerazione per le figure professionali. Per i medici di medicina generale serve una vera valorizzazione del loro ruolo e misure per favorire un ricambio generazionale, oltre a incentivare la componente clinica dell’attività medica rispetto a quella amministrativa creando ruoli amministrativi per l’assolvimento dei carichi burocratici, perché non è possibile che oggi molti medici passino molto più tempo al computer piuttosto che a curare e visitare pazienti. Sulla medicina territoriale, la Lombardia è un altro buco nero: con l’80% degli accessi al Pronto Soccorso rappresentato da codici verdi e bianchi siamo la peggiore Regione del Nord Italia. Con una sanità territoriale, molti di questi interventi potrebbero essere tranquillamente assorbiti da prestazioni ambulatoriali semplici. Purtroppo vediamo per adesso che molte delle case di comunità inaugurate per soddisfare i requisiti del PNRR o rimangono “scatole vuote” o, peggio ancora, sono strutture esistenti a cui si cambia la targa all’ingresso. Non può funzionare così: sono una straordinaria opportunità per rivoluzionare la nostra Regione e non possono rimanere un’operazione di facciata, ma devono essere il cuore di una riorganizzazione territoriale del welfare che “integri finalmente il sanitario con il sociale”, come ci ha insegnato don Virginio Colmegna.
Photo credits: laprovinciadicomo.it
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