Fascicolo Sanitario Elettronico: il “Google della sanità” c’è ma non si vede

La digitalizzazione della sanità procede, ma a rilento, coinvolgendo regioni, software house, medici di famiglia – e anche i pazienti.

Il pasticcio lombardo non diventerà una ricetta da postare, come le pizze sfornate sotto il lockdown. Questa volta nessun video tutorial a ingolosirci, perché il risultato non è una teglia fumante, ma danni incalcolabili all’economia, se di fumante manca l’oggetto più ricercato: la pistola. Vale a dire, chi ha sbagliato nel pasticcio dei dati di contagio che hanno sbattuto la regione in zona rossa, salvo successiva correzione in arancione.

Quel che è emerso è quanto sapevamo già: non solo la trasmissione, ma, prima ancora, la raccolta dei dati della pandemia si è inceppata, scatenando prima le ispezioni in Campania, poi il toto commissario in Calabria, quindi la sorprendente banalità dell’errore lombardo.

È la pandemia, bellezza, che tira fuori il meglio, la ricerca scientifica che corre a tempi record, e il peggio, l’impreparazione di un sistema burocratico che resiste al cambiamento.

I dati COVID-19 raccolti al telefono: sarebbe bastato un clic

“Se pensiamo che per raccogliere i dati dei positivi al COVID-19 siamo ricorsi alle telefonate delle prefetture con i comuni e le regioni quando sarebbe bastato schiacciare un pulsante e avere la fotografia della situazione del contagio, capiamo il prezzo altissimo che stiamo pagando per la rete di sorveglianza di questo Paese”.

Mauro Moruzzi, bolognese, pioniere della sanità digitale, è colui che ha inventato il CUP (Centro Unico di Prenotazione) e ha ideato il Fascicolo Sanitario Elettronico. “Le dico solo che nel 2005 – racconta tra una chiamata col ministero e l’Istituto Superiore di Sanità – c’era già il primo Fascicolo funzionante”.

All’origine fu il governo Monti: poi piccoli passi

In sedici anni qualcosa si è mosso, ma l’emergenza pandemica ci ha catapultato davanti a uno specchio dove abbiamo scoperto di non aver corso abbastanza, e quella che sembrava una maratona era solo una fase di riscaldamento, se durante la gara ci siamo accasciati facendoci da parte.

Il Fascicolo, ovvero il nostro diario sanitario digitale, è stato istituito con legge dal governo Monti nel 2013, per poi subire modifiche di semplificazione fino al maggio 2020, con il decreto “Rilancio”. Tre sono le finalità: cura, per l’assistito, ricerca, per la collettività, governo, per la programmazione sanitaria.

Il “Google della sanità”: la mappa del contagio da COVID-19

“Pensiamo a come questi dati, in forma anonima, possano essere usati per una mappa della pandemia”, prosegue Moruzzi. “Se io so quali sono le malattie pregresse più diffuse in una zona in cui si muore di più di COVID-19, posso decidere di intervenire. Ad esempio posso dire che alcune persone, a rischio diabete, è ora che si diano da fare per evitare conseguenze gravi. Con i dati messi a sistema, anonimizzati, abbinati a un algoritmo, potremmo arrivare a quella che è la medicina predittiva”.

L’orizzonte, insomma, ci consegna quello che lo stesso Moruzzi chiama il “Google della sanità, dove la profilazione non serve a fini commerciali, ma anticipa gli scenari più a rischio e fa scattare alert quando necessario: “C’è bisogno che i sindaci entrino in campo, perché è un problema di salute pubblica. L’innovazione è dura, ma va portata avanti con forza”.

I vaccini esclusi dal Fascicolo: “Un errore”

Le conseguenze, in caso contrario, le vediamo ogni giorno nel bollettino dei morti. Quanti se ne potrebbero evitare con la medicina predittiva? Impossibile dirlo, ma forse varrebbe la pena provarci. Allo stesso modo, varrebbe la pena organizzare una sorveglianza nel lungo periodo sulla campagna vaccinale contro il COVID-19, se i vaccini anti pandemia al momento sono fuori dai dati raccolti nel Fascicolo Sanitario Elettronico: “Un errore”, dice senza mezzi termini Moruzzi.

Oltre la stretta attualità pandemica, però, qualcosa si muove se nel Recovery Plan è stato destinato un miliardo di euro all’innovazione digitale nella sanità, e se il recente accordo firmato a dicembre tra Ministero della Salute e Consorzio interuniversitario Cineca va nella direzione di un “data lake unico” per il motore di ricerca della sanità.

La giungla delle regioni: digitalizziamo, anzi no

Nel frattempo la visione si scontra con la declinazione territoriale, dove medicina predittiva e sanità digitale vengono visti come americanate, perché la corsa giornaliera prevede testa bassa, pur perseverando nell’errore.

È il caso della seconda piattaforma, oltre quella nazionale e anonima, dei fascicoli sanitari regionali, perché se la cura è affare delle regioni allora devono essere queste a occuparsene, con tutti i limiti del caso. Così, se tutti i lombardi hanno attivato il Fascicolo, nessun campano lo ha fatto, così come nessun abruzzese, mentre solo due marchigiani su cento si sono registrati.

Di fatto Campania, Calabria, Sicilia e Abruzzo sono ancora nel Novecento quanto a sanità digitale, mentre al Nord è il Piemonte a scontare ritardi. E forse non è un caso che lo stesso assessore alla sanità piemontese, Luigi Genesio Icardi, coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, abbia più volte schivato richieste di interviste sul tema.

Siamo in Italia, insomma, e se il tema sanità delle regioni viene coordinato da chi ha scarsa dimestichezza con la salute digitale, vale a dire con il presente e il futuro, capiamo perché i feudi regionali siano in forte ritardo, e perché, avendo chiesto lumi anche alla stessa Conferenza ci abbiano risposto: “Senta la Regione Piemonte che segue la salute”. Un corto circuito, che sappiamo già dove va a finire.

I medici di famiglia: fidarsi è bene, non fidarsi è peggio

Nel mezzo ci sono i medici di famiglia, vero collettore tra le paure dei cittadini e gli ingorghi del sistema.

“Se io dico a un mio paziente di vaccinarsi lo fa. Allo stesso modo, se gli dico che deve attivare il Fascicolo Sanitario Elettronico provvederà a farlo. Noi siamo i responsabili della fiducia totale dei nostri assistiti, ma siamo parte di un sistema che non si fida di noi”. Paolo Misericordia, medico, è responsabile dell’Area ICT della FIMMG, la Federazione dei Medici di Medicina Generale, tra i più rappresentativi sindacati dei sanitari di prossimità.

Le parole di Misericordia sono quelle di chi è al fronte ed è chiamato a essere medico, tecnico informatico e psicologo. “Molte delle prescrizioni che rilasciamo – prosegue – non vengono accettate dalla piattaforma regionale di riferimento. Così noi ci mettiamo la faccia, ma abbiamo bisogno di garanzie”. Sta parlando di un incentivo economico? “No, sto parlando di un riconoscimento istituzionale, perché noi vediamo il 95 % dei nostri assistiti almeno una volta all’anno. Quindi, o ci si fida del medico di famiglia, oppure no”.

Il senso, insomma, è nel rendere più chiaro il percorso, senza la contestazione sulla singola prestazione e, se necessario, con un nuovo accordo.

La guerra dei software: pago quindi aggiorno

Poi ci sono le difficoltà informatiche, che nel caso del Fascicolo diventano vitali.

Esiste un braccio di ferro poco raccontato tra le regioni e le software house che forniscono i gestionali ai medici di famiglia. Ovvero, ogni medico paga una cifra che va dai 400 ai 1.000 euro all’anno a società che forniscono il software. Queste aziende, poi, chiedono una cifra alle regioni per “collegare” i software dei singoli medici alle ventuno piattaforme regionali. Una somma considerata eccessiva da alcune regioni, con il risultato che all’appello mancano aggiornamenti dei dati dei pazienti (il vaccino influenzale tra i vari) perché il collegamento funziona a metà, oppure è stato interrotto del tutto, come avvenuto di recente nella regione Marche.

In un’economia di mercato localizzato, così, si arriva a un rimpallo tra la “cifra troppo alta” secondo gli uffici regionali e il “non pagate il dovuto” delle software house in risposta. “Sarebbe necessaria un’interfaccia intermedia – spiega Misericordia – per cui non sia la singola regione a trattare con la singola azienda, considerando che in ogni regione sono presenti più software”.

Una sorte di struttura commissariale per i programmi di gestione dei dati sanitari, insomma, oppure una centrale acquisti “per fare economie di scala”. “Difficile che questo avvenga”, ribattono dalla Conferenza delle Regioni, perché vorrebbe dire mettere le mani nell’autonomia regionale. E così, avanti con liti e piattaforme aggiornate a metà.

Troppi feudi, ma fermarsi è sbagliato

“La frammentazione dei fornitori è sbagliata, ma non è da demonizzare”, fa eco Moruzzi. Che sia la centrale acquisti Consip o un altro ente, l’obiettivo è “un’architettura chiara in un sistema informativo avanzato”.

“L’importante è non fermarsi”. Andare avanti, insomma, “non accampando scuse come la poca digitalizzazione degli anziani, considerando che su Facebook ci sono circa 30 milioni di italiani, compresi gli ultraottantenni”.

“Il Grande Fratello della Sanità”: se l’obiettivo è cambiare canale

Altrimenti siamo come alla discussione di anni fa sul telecomando: “Si pensava che gli anziani non sapessero usarlo, e poi mi sembra che abbiano imparato bene”.

Insomma se il “Google della sanità” ha bisogno di coraggio e tempo, pur nell’emergenza pandemica, allora è necessario guardare oltre il prossimo pasticcio, che sia lombardo o campano, sapendo che non ci sarà il “Grande Fratello della Sanità” a dirci che abbiamo messo troppo olio nella nostra ricetta, ma ci dirà che siamo più a rischio.

A quel punto decideremo noi il finale: se cambiare canale, o se fermarsi davanti all’abitudine di non voler impugnare neppure un telecomando.

Foto di copertina: fai.informazione.it

CONDIVIDI

Leggi anche